Verticali a Montalcino. Poggio di Sotto, o degli archetipi

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Mi ritrovo a parlare di Piero Palmucci, e della sua Poggio di Sotto, pur avendone già parlato ampiamente sulle pagine de L’AcquaBuona. Eppure non posso esimermi, questo è. Intendiamoci: nessun obbligo nemmen lontanamente coercitivo. E’ che se vi capita di “godere” della verticale completa dei suoi Brunello, dalla prima all’ultima annata, vedrete che prevarrà istintivamente l’urgenza di parlarne, non c’è nulla da fare. E’ quasi un obbligo morale, prima ancora che editoriale. Non importa sottolineare che l’esperienza – aldilà della immedesimazione – è stata utilissima per capire di differenze e per verificare a bocce ferme se la magia incantata dei Sangiovese di Poggio di Sotto – vini come sospesi nel tempo per l’innata grazia e la finissima silhouette- resiste intatta o in qualche modo si incrini agli attacchi del tempo. Se insomma c’è una ragione in più che ci spieghi le cause di una identità così individua. Perché qui, signori, a ben vedere non ci si confronta con i vini pari tipologia, ma con la summa enologica internazionale. E alla fine di tutto mi pare di poter confermare (guarda un po’ me lo aspettavo!) che le ragioni di una bellezza così conclamata non dimorano nelle stelle o nei manuali di marketing. Le ragioni stanno nelle attenzioni maniacali verso la materia prima, che ci proviene da vigneti curatissimi; le ragioni stanno nella esemplare estrazione tannica, nella volontà di non interferire con tecniche interventiste e nel lasciare sviluppare il più liberamente possibile i vini. Le ragioni stanno nel dargli tempo a quei vini, il loro tempo.

Piero Palmucci ama definirli “spremute d’uva”. Alla luce dell’assaggio approfondito di un giorno possiamo concludere che i vini di Poggio di Sotto, spremute d’uva, hanno la capacità di resistere al tempo senza perdere un grammo della loro classe, evidenza eclatante se solo ci riferiamo a vendemmie sulla carta (e non solo sulla carta) piuttosto deboli come 1991, 1994 e 1998, qui rappresentate di contro da vini emblematici e belli. Insomma, se si escludono le prestazioni del 1996 (in questa sessione offuscato da una bottiglia probabilmente non perfetta) del 1993 e del 1997 (buono ma sostanzialmente in linea con quanto ci si deve attendere da una annata che è stata tutto men che del secolo, quantomeno in termini di qualità tannica), il resto non solo parla la lingua della autenticità, non solo rappresenta una sorta di archetipo del sangiovese di Montalcino, ma ha il dono grande di suscitare emozioni; ha la capacità, finalmente, di bloccare il flusso dei pensieri, i più razionali, che ti costringono a scrivere di numeri, giudizi, gradi di intensità, persistenza, peso, colore…. In loro compagnia tutto ciò si confonde, beatamente si confonde, e passa volentieri in secondo (o terzo) piano. Ed è così con grande sforzo che vi lascio qui sotto le mie suggestioni di un giorno, consapevole come non mai della loro inutile vanità. Più importante invece aggiungere due ultime considerazioni: intanto ribadire che è possibile fare grandi vini a base sangiovese anche se provenienti da affinamenti più brevi, leggi Rossi di Montalcino, perché se incontri sul cammino vini come il Rosso 2004 – sangiovese da brivido uscito da poco sul mercato – o il Rosso 2002 (anche qui annata piccola per un vino emblematico e sensuale), beh, non hai che da ricrederti sui tuoi eventuali dubbi. Poi, annotare che anche in casa Palmucci ogni tanto si spariglia. Mi riferisco alla uscita del Decennale 2001, primo vino a igt prodotto da Poggio di Sotto, che intende festeggiare in questo modo i dieci anni di vendemmie in Montalcino. Chissà, forse Piero Palmucci avrebbe voluto chiamarlo Brunello Riserva…..fatto sta che il commovente abbraccio del Decennale, vino puro e raffinato, non fa che confermare il raro spessore di cui si ammanta una produzione senza compromessi, tutta giocata a viso aperto; una produzione dove – e qui mi ripeto senza vergogna- il sangiovese è nudo, e pure re.

Brunello di Montalcino 2001
Qui un naso elegante e sentimentale, di straordinaria nitidezza e leggiadria aromatica, matrimonio d’amore fra la florealità più seducente che c’è e la candida solarità del frutto rosso, corroborato dagli aromi di timo e macchia, e dalle spezie fini. Qui una bocca delicata eppure vibrante, dallo sviluppo struggente per intensità e sapore. Il finale si fa inarrestabile, punteggiato da una grana tannica finissima, a reclamare tridimensionalità e bellezza.

Brunello di Montalcino 2000
Una mineralità decisa informa di sè un naso tutto sommato ancor da attendere, nel quale l’immancabile cerasa ne illumina fin d’ora il tratto aromatico. Al palato invero vanno a braccetto istinto e complessità. Sapido e armonioso, d’acidità fremente e beva traditrice, con una scorta tannica dolce ed infiltrante, questo vino ha la dote immensa del calibro e della misura, ciò che nell’ascolto attento si tramuta in incanto.

Brunello di Montalcino 1999
Aromaticamente intrigante per quella beata commistione di erbe aromatiche e spezie, è vino vibrante, “elettrico”, quintessenziale, sentitamente minerale, di giovanile vitalità. Lunghissimo e stilizzato, flemmatico e roccioso, nei contorni e nell’essenza è razza pura.

Brunello di Montalcino 1998
Carnoso, pieno, è cerasa nera e minerale. Bocca di bell’attacco fruttato, calorosa, solare, di salmodiante e paciosa melodia gustativa, ancora dolce nel lungo finale. Sia pur con un briciolo di tonicità in meno rispetto ai vini precedenti, rappresenta un fulgido, raro conseguimento per l’annata.

Brunello di Montalcino 1997
Dopo un naso intenso, espressivo, spigliato, di piccoli frutti rossi, pietra e spezie, ecco che se ne esce un palato succoso, calorico, rotondo, di sostanziale compiutezza, ma forse non caleidoscopico né profondo come in altre annate.

Brunello di Montalcino 1996
Qualche asciuttezza di troppo e un leggibile calor’alcolico non tolgono l’aura di purezza al vino ma indubbiamente ne erodono la proverbiale finezza dei tratti. Forse la bottiglia è infelice e problematica, perché fra le maglie ne comprendi la reale persistenza, e anche per questo imprechi alla sfortuna.

Brunello di Montalcino 1995
Naso ricco, boschivo, intenso, per una bocca d’impatto, energica e sensuale insieme. Qui progressione, integrità, capacità di penetrazione, orgoglio e generosità, per un vino che morde il freno e ad ogni nuovo assaggio accelera.

Brunello di Montalcino 1994
Naso pieno e carnoso, di seducente speziatura ed eclatante mineralità. Bocca stratosferica per compiutezza, disegno e densità. Ancora giovane e bello, costituisce una sorpresa lietissima, perché è vino noncurante -e forse ignaro- di essere figlio di una annata tutto men che memorabile. Incredibile!

Brunello di Montalcino 1993
Naso compassato, di un certo ostentato rigore, non troppo espansivo, sulle sue, eppure intrigante, da cercare. Palato tonico, inflessibile ma anche sostanzialmente rigido. Il vino pare attraversare una fase di introversione, perché sotto sotto lo senti vitale, reattivo. Quel finale dignitoso, ma asciutto, ribadisce l’asserto.

Brunello di Montalcino 1991
Frutto dichiarato, espressivo, fragrante, che respiri in un naso di inusuale vitalità, con le spezie fini a contorno. Realmente caleidoscopico, è naso da odorare ancora e ancora. Bocca integra e vitale, di ottima beva. Non l’espansione e la complessità dei millesimi migliori, ma sorprendente la verve per l’età e l’annata in gioco. Con la scorta di una acidità vibrante (anche se un poco vetrosa), dimostra in quel finale compatto e tutto d’un pezzo di non fare una piega al tempo.

Guest

Rosso di Montalcino 2004
Naso di “ricca essenzialità”: minerale, speziato, rigoroso, puro, per una bocca ritmata, contrastata, dinamica, espressiva, dalla progressione gustativa incalzante. Grande vino di territorio. Nobilitazione massima del miglior sangiovese. Raro conseguimento.

Rosso di Montalcino 2003
Naso pieno, sensuale, dolce, con accenti malinconici. Bocca candida, paciosa, rotonda, fruttata e carezzevole, struggente nel suo abbraccio, che è abbraccio più largo che teso, ma senza mollezza alcuna. Vino pronto e godibilissimo, morbido e accogliente, dal frutto accattivante ed espansivo.

Rosso di Montalcino 2002
Pieno, sensuale, carnoso, elegante e floreale, ha la Borgogna nell’anima. Bocca di eccelsa naturalezza e garbo espositivo, come vestita a festa. Irresistibile nel frattempo si fa la progressione. E’ vino “di cuore”, senza troppi ragionamenti.

The last guest

Decennale 2001
Colore che ammette le sue belle trasparenze per un naso che dopo le proverbiali riduzioni si fa evocativo di frutta secca, balsami e pietra spaccata; bocca di grande temperamento ed unità, fresca e austera. Risplende in lei l’aulica classicità del sangiovese più puro, tanto da tramutarsi in una esperienza coinvolgente, dove la timbrica raffinata ed il fraseggio intimo dei sapori si slanciano fino a librarsi.

Degustazione effettuata in azienda nel mese di marzo 2007.

Foto: Poggio di Sotto – esterni; Piero Palmucci fra Fabio Rizzari (a sx) ed Ernesto Gentili (a dx), compagni di viaggio; tappi; bottiglie (alcune).

FERNANDO PARDINI

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