Da Petra a Cheval Blanc. Bottiglie (e pranzo) d’autore a Suvereto

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Dobbiamo dare atto a Vittorio Moretti ed al suo staff che l’idea di organizzare una giornata tanto particolare nella tenuta agricola Petra (siamo in Toscana, a Suvereto, provincia di Livorno) in compagnia di certi “primattori” (liquidi e non) di cui vi dirò, è stata una idea molto carina. Cosa è successo: è successo che un piccolo gruppo di giornalisti ed addetti ai lavori (fra i quali Daniele Cernilli, Eleonora Guerini, Antonio Paolini, Luciano Di Lello, Stefania Vinciguerra, Franco Pallini….), assieme allo staff tecnico aziendale (gli enologi Pierangelo Bonomi e Pascal Chatonnet), ai padroni di casa (Vittorio Moretti e la figlia Francesca) e al settore marketing e pubbliche relazioni di Terra Moretti (Clara Zucchi, Marina Thompson, Ettore Maggi, Maria Pia La Scala), è stato chiamato a raccolta per una degustazione del tutto speciale, tanto chiara nella sostanza quanto volutamente tenuta segreta nei dettagli, al fine di creare uno stimolo per una discussione che vertesse sugli stili e le caratteristiche dei vini proposti, accomunati dalla matrice bordolese della composizione varietale. Ad ognuno di noi quindi è stato chiesto di esprimersi su quei vini, giudicandoli alla cieca, sapendo soltanto che si trattava di sette vini dell’annata 2004, che fra questi c’era Petra (il vino simbolo aziendale) e che gli altri provenivano dalla galassia Bordeaux. Fra questi ultimi, sarebbe stato possibile incontrare modulazioni diverse per quanto attiene le proporzioni delle varietà di uve costituenti.

Insomma l’intento della istruttiva querelle, a detta del coordinatore Pascal Chatonnet, non voleva essere competitivo bensì pacificamente comparativo. E in effetti concordo che lo spunto più interessante, ben oltre lo stilare (e commentare) classifiche mediate estratte dalle graduatorie di preferenza personali dei vari degustatori, sia in realtà soffermarsi, una volta di più, sulla “capacità di racconto” (Veronelli docet) e sulla interiorità di quei vini. Intanto, non si è di certo lesinato nella scelta degli sparring partners (si fa per dire) del”nostro” Petra: Cheval Blanc, Pichon Longueville Comtesse de Lalande, Léoville Barton, Cos d’Estournel e Chateau Figeac non è che abbisognino delle nostre presentazioni, si presentano già da soli. L’outsider, per via della preponderante quota di merlot, era Chateau La Sergue, ovvero il vino prodotto da Pascal Chatonnet in persona nella tenuta di famiglia, situata nella appélation Lalande de Pomerol.

Premesso che l’annata 2004 a Bordeaux e dintorni non ha avuto le caratteristiche del 2004 toscano, perché nel primo caso hanno pesato assai, sugli esiti vendemmiali, le influenze freddine e continentali di quel clima, mi tolgo subito il dente parlando di colui che giocava in casa (ma non per questo aveva i pronostici a suo favore, visto il prestigio degli “avversari”): no, Petra non ha “sfigurato” al cospetto di cotanto blasonato parterre. Certo è che la complessità di alcuni vini mi appare ancora distante dalle possibilità attuali del buon suveretano: la profondità e la persistenza del vino superiore restano per ora un traguardo e la gioventù dei suoi vigneti si fa sentire. Però nel contempo noto che sta crescendo la sensibilità interpretativa, e gli aggiustamenti di tiro intervenuti dalle prime edizioni ad oggi (la prima edizione di Petra, targata 1997, venne realizzata con uve provenienti dalla vecchia vigna trovata già a dimora; dall’annata 2001 in poi invece le uve provengono esclusivamente dalle vigne nuove) si sono tramutati, da un paio di vendemmie a questa parte, in una confortante stabilità. Tutto questo, unito all’indiscussa consapevolezza tecnica acquisita nel frattempo, ad un uso oltremodo calibrato del rovere, ad una encomiabile volontà di non puntare sugli “effetti speciali”, al fatto che da questa terra possono nascere dei vini longevi (Petra in questo senso ne è una testimonianza, e il 1997 di cui vi dicevo prima è ancora oggi un vino bellamente integro e vitale) nonché, appunto, al fatto che la vigna raggiungerà progressivamente la sua maturità, può costituire davvero il presupposto per un futuro radioso.

Per quanto riguarda gli altri vini, forse le parole loro dedicate nelle note di degustazione che seguono faranno intuire di già le mie predilezioni. Comunque sia, tanto per approfondire, ritengo imbattibile la classe di Cheval Blanc, che ancora una volta riesce ad assumere una grazia aromatica, una flemma ed una aristocraticità che restano appannaggio di pochi vini al mondo (e alla cui riuscita non credo sia secondaria l’importante quota di cabernet franc) . Nessuno più di lui, in questo consesso ristretto ma significativo, è stato capace di esprimere una mineralità così profonda, una interiorità così sfaccettata, e tutto questo senza dover rinunciare alla istintiva complicità di un bere amico. Delicato e struggente, con una fisionomia candida e “féminin”, Pichon Longueville Comtesse de Lalande, oltre a possedere uno dei nomi del vino più “musicali” di sempre, si candida al podio con una prova che se da una lato mette in risalto la sua sostanziale gioventù, dall’altro sfodera l’incanto che attiene ai vini non sbandierati, quelli che fondano sul contrappunto, sul chiaroscuro, sulla bella “nudità” la loro ragion d’essere. Su tutt’altro piano, per via della verace umoralità, si muove Léoville Barton, che pare aver cambiato negli anni la sua fisionomia giocando oggi più di potenza che non di sfumature, ma che anche in questa annata ci fa intuire il privilegio di provenire da un terroir elettivo, che contribuisce da par suo a far nascere/crescere uno dei migliori cabernet sauvignon di Bordeaux. Buon vino anche Chateau Figeac, un solido bordolese che ha la giusta prestanza e la giusta dose di austerità da rendere ruggenti gli anni suoi giovanili. Molto carattere anche qui insomma, anche se siamo distanti dalla finezza espressiva di Cheval Blanc (tanto per parlare dei due St Emilion presenti). Un gradino più sotto ci stanno gli altri vini, con un Cos d’Estournel molto in stile Cos, giocato cioé sulla estroversione fruttata, su una certa “convinta” estrazione tannica, su una presenza scenica che, sia pur non ridondata, riflette un po’ di più i canoni della “contemporaneità” enologica oggi tanto in voga a Bordeaux e dintorni (qui frutto, colore, morbidezza e dolcezza amano rivendicare la ribalta), e con un Chateau La Sergue rotondo e ben congegnato, che fa della “confortevole accoglienza merlottata” la sua chiave di lettura più manifesta, anche se la complessità non raggiunge quella dei vini di “stampo” superiore.

E nell’introdurvi le mie suggestioni sensoriali di un giorno, ovviamente senza voto e in stretto ordine di apparizione, non posso non ricordare l’appendice golosa che si è consumata in quelle sale, ossia il magnifico pranzo officiato e preparato nientepopodimeno che da Fulvio Pierangelini in persona, stracelebrato chef-patron del ristorante Gambero Rosso di San Vincenzo (LI), che ha esaltato vini e commensali con un trittico da brivido per espressività, ispirazione e sapore: pernice ripiena in insalata, risotto sulla beccaccia e lepre alle castagne con il suo raviolo (ulteriormente beatificati da un tartufo bianco di lunga risonanza aromatica) occuperanno un posto speciale nei ricordi gastronomici più cari. E sebbene quella sorta di scorbutica introversione resti il tratto caratteriale più evidente di un Pierangelini non così facile da approcciare, stavolta non ho che da scappellarmi riverito di fronte all’estro cuciniero espresso. Per ultimo non voglio dimenticarmi dell’olio d’oliva di Petra, che ha onorato da par suo l’aperitivo maritandosi amorevolmente con il culatello e con due cru della produzione franciacortina della famiglia Moretti, che se non si era ancora capito (e me ne scuso casomai) è quella di Bellavista: il Franciacorta Brut Pas Operé 1999, che ha giocato sul tema della evoluzione regalando sottile carbonica, portamento e profumo suadente di noisette, e il Franciacorta Rosé 2002, che si è concesso generosamente grazie ad un delicato quanto fragrante timbro fruttato di istintiva complicità.

Cos d’Estournel 2004 – St Estephe – (cabernet sauvignon 74%; merlot 26%)
Quel naso “charnu”, pieno, espressivo e compatto, con la confettura dei frutti rossi d’ordinanza in prima linea, il soffio alcolico in seconda, l’odor di elicriso a chiosare e neanche un’ombra di vegetalità, richiama a piene nari lo stile Cos. Al palato ha sviluppo coordinato, grip ed espansione. Per un vino tanto caloroso e spigliato, oltre che tecnicamente “pensato”, solo la “ripidità” tannica ne accorcia oggi gli allunghi e ne rende meno dinamico e flessuoso il finale, rivelando sotto la coltre una grana non finissima.

Cheval Blanc 2004 – St Emilion – (cabernet franc 60%, merlot 40%)
Intrigante, minerale, nobilmente speziato, austero, sicuro di sé, offre finissima trama aromatica, coinvolgente e sfumata, da “ascoltare” ancora e ancora. Grande nonchalance se lo bevi: ci stanno allungo, melodia gustativa e stoffa buona. Un vino di razza, non c’è che dire, di garbo esclusivo ed eleganza superiore.

Chateau La Sergue 2004 – Lalande de Pomerol (80% merlot, 15% cabernet sauvignon, 5% cab franc e malbec)
Qui un naso conciliante ed assertivo, giocato sui conforti delle evidenze fruttate più esplicite. Estroverso, marmellatoso, pieno, è un profluvio di more e ribes di buona balsamicità. La bocca è polposa, di impronta “merlottata” manifesta, quindi piacevole sia pur priva di un carattere distintivo. Nello sviluppo mantiene misura e coordinazione per una complessità che sa farsi discreta. Insomma, un vino rotondo e gradevole con qualche cliché.

Chateau Figeac 2004 – St. Emilion – (35% cabernet franc, 35% cabernet sauvignon, 30% merlot)
Reminiscenze vegetali, note cuoiose e animali, qualche impuntatura olfattiva e una iniziale riduzione fanno di quel naso un naso non propriamente scolpito ed armonioso, eppure non ledono all’agilità e al carattere. Con l’aria, rassicurante si fa l’apertura aromatica, che contempla una florealità sottile e seducente solcata da una balsamicità via via più incisiva. Lo sviluppo gustativo è nervoso, teso, senza fronzoli, con tannino ancor che morde; sento l’energia buona, la freschezza acida della gioventù e anche un bel tasso di nobiltà territoriale, ciò che mi par di cogliere nella fisionomia decisa e austera con cui ti presenta il conto.

Petra 2004 – Suvereto (cabernet sauvignon 80%, merlot 20%)
Le iniziali note di frutto maturo non ledono poi tanto all’intrìco olfattivo, speziato e vegetale nella sua essenza, con umori di erba tagliata che via via si fanno spazio. Bocca di marca ancora vegetale, “pungente” senza essere sgarbata, solo forse non così propensa a scavare in profondità i suoi pertugi. L’ equilibrio complessivo appare buono, la freschezza confortante, l’integrazione tannica calibrata. Sento però la gioventù del vigneto, ineludibile, a limare spessori e persistenze. Non la godibilità però, dacché quest’ultima è già adesso una dote certa.

Léoville Barton 2004 – St. Julien – (72% cabernet sauvignon, 20% merlot, 8% cabernet franc)
La rusticità olfattiva della prim’ora (leggi punta di brett) annuncia carattere ma non finezza. Cuoio e pelliccia non mancano davvero. La bocca, di contro, ha una spinta e una freschezza conclamate, per uno sviluppo modulato e di buon sapore, molto meglio che non quel naso. Finale asciutto, austero, altezzoso e flemmatico, a disegnare i contorni del vino autorevole (o con gli attributi, potremmo anche dire), di un vino cioé che ha perso forse la leggiadria di un tempo ma non la personalità e la voglia di emergere.

Pichon Longueville Comtesse de Lalande 2004 – Pauillac – (45%cabernet sauvignon, merlot 35%, cabernet franc 12%, petit verdot 8%)
Naso iodato, salmastroso, minerale; gioca di finezza e sottigliezze, regalando una composizione aromatica vegetale complessa e ben integrata di erbe selvatiche, spezie fini e balsami, sulla quale va ad innestarsi una sensazione fruttata, candida e matura, di fragola selvatica. Ottima la tessitura al palato per uno sviluppo profilato e trascinante, dall’acidità pervasiva. C’è equilibrio e charme, e una bocca che fila via diritta senza lasciarsi alle spalle (o sulle spalle) una idea di peso o volume. Sapida e bella, è un “soffio” melodico di rinfrancante naturalezza espressiva.

Assaggi effettuati a Suvereto il 29 novembre 2007

Foto: la cantina di Petra vista da diverse angolazioni; Pascal Chatonnet; foto di gruppo in un interno (io sono ben nascosto); Vittorio e Francesca Moretti.

FERNANDO PARDINI

1 COMMENT

  1. penso che i vini da “comparare” con i francesi debbano essere del territorio pisano e non della Val di Cornia.

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