La storia dell’invasione fillosserica in Europa

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In altri nostri articoli, abbiamo parlato dei portinnesti della vite e della loro caratteristica principale che li ha resi obbligatori nella viticoltura odierna: la resistenza alla fillossera. Ma non fu sempre così; soprattutto non fu, prima della metà del 1800, necessario innestare le viti dato che il nemico fillossera non era presente in Europa. In questo articolo, con l’aiuto di un testo divulgativo del 1914, vorremmo ripercorrere le fasi che hanno condotto la fillossera in Europa e in tutta l’Eurasia.

Il libro in questione (“Risultati dei Nuovi Studi Italiani sulla FILLOSSERA della vite.” Dott. R. Grandori. Hoepli editore 1914) ci avvicina molto di più che i trattati moderni alla paura ed alla affannosa ricerca dell’epoca dato che, scritto in tempi in cui non si conoscevano che pochi antiparassitari di origine naturale e quasi nessun insetticida, la fillossera si era presentata come un male incurabile che “superava vallate e catene di montagne e che l’uomo stesso, ancora ignaro del modo di riprodursi e di propagarsi, continuava e continua ancora oggi a diffondere.”

Pare certo che la fillossera sia stata introdotta nel nostro continente con barbatelle di vite e non con talee non radicate (maioli) dato che già nel 1825 erano presenti in Europa varietà americane come la Isabella, Catawba, e altre denominate volgarmente Uva Fragola. L’introduzione di queste varietà aveva avuto particolare fortuna in Francia negli anni 1852-1854, quando specialmente le zone del sud erano state colpite da importanti infezioni di oidio (anch’esso di origine Nord Americana), alle quali ancora non si opponeva una lotta chimica a base di zolfo. In quegli anni, avendo notato che molte varietà americani risultavano alquanto resistenti o del tutto immuni alla malattia, si pensò di importarle per far fronte all’epidemia. In questo modo però, importando le barbatelle di queste viti americane, si importava il terribile parassita che da li a poco avrebbe devastato la viticoltura europea e costretto ad un rinnovamento epocale di questa coltura.

Tali introduzioni avvennero quasi contemporaneamente in Francia nel Regno Unito, in Irlanda ed in Germania, ma data la maggiore presenza di vigneti, fu in Francia che venne rilevata più precocemente l’infestazione. Infatti “dopo 7-8 anni un male ignoto cominciò a minacciare certi vigneti ai due lati del basso Rodano” (Portes e Ruyssen, “Traité de la vigne”). Verso il 1867 comparivano contemporaneamente, nel Sud-Ovest, due centri di infezione: l’uno a Bordeaux, notoriamente causato da barbatelle venute dall’America, l’altro a Cognac di origine più incerta. Era l’inizio della fine. L’attacco della fillossera per le viti nostrane (Vitis vinifera) è particolarmente disastroso sull’apparato radicale, dove le galle prodotte dalle generazioni radicicole marciscono successivamente e portano a distruzione dell’apparato radicale in 4-5 anni.

Ma quello che permise una distruzione su così vasta scala fu che dell’insetto, all’inizio, non si conosceva né la biologia né le varie forme intermedie degli stadi di sviluppo. Ci vollero più di 5 anni per ottenere la biologia completa dell’insetto e una descrizione delle varie generazioni, dato che esso si comporta e si comportava in maniera differente sulle diverse varietà di vite. In particolare, mentre sulle varietà americane dà origine a galle sulle foglie, rendendo palese la sua presenza in un vigneto; in presenza di Vitis vinifera non si ha che raramente comparsa di queste galle e l’infezione appare silente fino a che le piante non iniziano a morire. Così dalle barbatelle infette l’insetto si propagò in tutta Europa ed anche oltre, ovvero dove l’ignaro vignaiolo si propose di piantare o ripiantare la vigna. Così. all’epoca del libro da cui abbiamo tratto alcune notizie, l’Autore parlava di zone italiane dove ancora non era arrivata la fillossera ma che a breve sarebbe giunta data la grande virulenza dell’insetto.

Ma quali furono nel frattempo i metodi tentati per arginare il flagello? Si tentarono molte strade, dal solfuro di carbonio iniettato nel terreno per uccidere le gallicole sulle radici, alla sommersione dei vigneti per distruggere tramite asfissia le gallicole ibernanti (cosa praticabile naturalmente solo in zone pianeggianti e irrigabili), e in ultimo all’insabbiamento delle vigne, dato che si notò che in terreni sabbiosi di particolare origine (marina) la fillossera era molto meno virulenta se non addirittura incapace di svilupparsi. Ma il vero passaggio risolutivo si ebbe quando si comprese che la immunità radicale sviluppata da alcune specie americane poteva essere utilizzata per costruire una pianta bimembra con piede americano ma apparato vegetativo e riproduttivo europeo. Di qui la ricerca delle varietà americane più affini all’innesto e di quelle maggiormente tolleranti al calcare a cui la vite europea era molto resistente. Un immenso lavoro si compì in quegli anni che videro intere regioni viticole ricostruite con le nuove barbatelle bimembre. La viticoltura conosciuta da tutto il mondo antico, medievale e dell’epoca dei lumi era scomparsa per sempre. Nasceva la nuova viticoltura.

Lamberto Tosi

1 COMMENT

  1. Dopo aver letto l’Articolo del Dr Lamberto Tosi sulla I° parte delle considerazioni sui tappi e tappature dei vini, mi sono “buttato voracemente su tutti i suoi articoli, e dopo averli divorati, sono ancora più convinto che è veramente un “GRANDE”. Saluti Santino Strizzi

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