Introduzione alla cucina popolare partenopea

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La cucina campana, quella verace che si mangia nelle case dei napoletani, ha rischiato di rimanere a lungo quasi del tutto estranea al mondo della ristorazione e, di conseguenza, del grande pubblico. Bisognava andare in qualche piccola trattoria a conduzione familiare, semmai nei quartieri più popolari, per poter assaggiare determinati piatti. I ristoranti “importanti” l’hanno spesso snobbata e, da sempre, hanno preferito puntare sul pesce. Tanto è vero che molte persone che vengono per turismo a Napoli si convincono che quella del capoluogo partenopeo sia una cucina essenzialmente di mare. Nulla di più sbagliato. I piatti della tradizione sono altri. Ed oggi si assiste ad un lento meditato ripensamento.

Diversi ristoranti propongono alcune di queste ricette, naturalmente in porzioni ridotte e, qualche volta, rivisitate, considerato che si tratta di preparazioni non proprio leggere. Ho deciso così di proporvele anch’io perché se non avete intenzione a breve di visitare la mia splendida città potreste, comunque, provare a cimentarvi a casa. Gli ingredienti sono semplici e la realizzazione poco impegnativa. I tempi, solo, sono piuttosto lunghi e, quindi, l’unica cosa che occorre è un po’ di pazienza. La vostra attesa sarà ripagata da un esplosione di profumi e sapori. Ho preferito risparmiarvi la classica ricetta del ragù alla Edoardo De Filippo e di sottoporre alla vostra attenzione due specialità meno conosciute anche se molto ben radicate nella cultura gastronomica partenopea.

La zuppa forte (‘a zupp ‘e suffritto)

Salvatore Di Giacomo a proposito di una taverna, la “Pagliarella” al Vasto 65, quartiere Vicaria, di un certo Giovanni Solla, così scriveva: “…Qui veniva a mangiare gente più fine, che sollevava a onori non più immaginati il suffritto…” Di assoluta produzione artigianale rappresenta uno dei piatti poveri e più antichi della cucina napoletana. La si può acquistare dai macellai napoletani(oggi, a quanto pare, anche via internet, su ebay?!) ed in questo caso dovrete farla rivenire diluendola con l’aggiunta di un po’ d’acqua. Ma volete mettere il divertimento e la soddisfazione (oltre al risparmio) di preparasela fresca e con le proprie mani tra le mura domestiche.

Ingredienti: polmone, trachea, cuore, milza ed altre deliziose frattaglie di maiale (1,5/2 Kg); concentrato e conserva di pomodoro; 1/2 bicchiere d’olio; 100 gr. sugna; 1/2 bicchiere di vino rosso; 3 peperoncini forti; 2 foglie di alloro e 1 rametto di rosmarino; sale.

Lavare bene dopo averle tagliate a piccolissimi pezzi le diverse parti del maiale ed immergere per un paio d’ore in acqua fresca avendo l’accortenza di cambiare l’acqua di tanto in tanto. Asciugare accuratamente tutti i pezzi di carne (per eliminare ogni traccia di sangue alcuni suggeriscono di dare “un bollo”). In una pentola di grande capacità sciogliere la sugna e l’olio per aggiungervi il maiale da rosolare a fuoco vivace. Aggiungere la conserva diluita con acqua, quindi, il lauro ed il rosmarino, il peperoncino e il sale. C’è chi aggiunge, anche, un mezzo bicchiere di vino rosso. La cottura deve avvenire a fuoco lento (per circa 2/3 ore) allungando di tanto in tanto con acqua calda. Lo potete adagiare su fette di pane tostato o raffermo (oppure le classiche “freselle”). In alternativa, per i più temerari, si possono condire gli spaghetti oppure prendere un bel “cozzetto” di pane casareccio privarlo della mollica, farcirlo e, quindi, richiudere con la stessa mollica…

Un interessante variante la propone la Signora Annuccella Rega di Montefredane, in provincia di Avellino, sostituendo, al maiale, l’agnello (il procedimento è lo stesso)… Gnam, gnam!

Abbinamento: complicato. Il “forte” è nemico del vino e bisogna cercare, eventualmente, di contrastare o smorzare con rossi strutturati aromaticamente intensi e persistenti oppure, perché no, arrendersi alla sua naturale invadenza dirottando la scelta su un Gragnano frizzante servito ben freddo al fine unico di ripulire e rinfrescare il palato.

La genovese (a’ genuvese)

A dispetto del nome si tratta di un tipico piatto della tradizione napoletana, che non ha nulla a che vedere con Genova, ed una ricetta molto simile è menzionata, già, nell”800, da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nobile napoletano con l’hobby della cucina. Sull’origine di questo piatto, si racconta che alcuni trattori genovesi stabilitisi a Napoli nel ‘600 avessero l’abitudine di cucinare la carne in questo modo. Il tipo di carne piu adatto per questa preparazione è il girello che a Napoli chiamano “lacierto” o, in mancanza di quello, la punta di scamone o culaccio (cularda) che, per i napoletani, è il “primo taglio”. E’ uno dei piatti della domenica vivamente consigliato a tutti gli amanti dei sapori forti e decisi. Se ne trova anche una versione commerciale proposta da un noto ed affidabile marchio di pasta ma io suggerisco come sempre di fare da soli. E’ tutta un’altra cosa. Anche in questo caso dopo le probabili incertezze iniziali con un po’ d’esperienza sono certo che riuscirete a cucinare un’ottima genovese, divertendovi.

Ingredienti per 4 persone:
1 Kg. di spezzatino di carne; carota e sedano bianco tritati finamente; 100 gr. di olio (e sugna); 1 Kg; abbondante di cipolle tagliate molto sottili; un generoso bicchiere di vino bianco; sale e poco pepe nero; 400 gr. di pasta (si consigliano delle penne piccole non rigate).

Triturare le cipolle, carote e sedano. Mettere il tutto in una pentola, aggiungendo i pomodori, con la carne tagliata a pezzi e lasciar cuocere. Quindi far rosolare la carne aggiungendo il vino e un po’ d’acqua e far continuare a cuocere. In tutto occorrono circa due ore di cottura. Servire condendo la pasta, precedentemente lessata. La carne si mangia come secondo…

Abbinamento: non facilissimo, anche in questo caso, vista la presenza ingombrante, non solo in termini di quantità, della cipolla. L’acidità e l’alcol sono fondamentali per poter contrastare la saturazione che questo tipo di sugo tende a provocare al palato. Tra i bianchi fermi il Greco di Tufo può avere queste caratteristiche ma si può provare anche con un rosso fermo dai tannini soffici come il Piedirosso. In alternativa possiamo puntare sulle bollicine locali ed affidarci ad un Asprinio Spumante.

Fabio Cimmino

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