Attilio Scienza. Biodinamica, il contesto culturale

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Prosegue con questo intervento di Attilio Scienza e con il contributo di Saverio Petrilli, la discussione sulla biodinamica che ha già visto l’articolo di Andrea Gabbrielli e la visita all’Azienda Caiarossa di Riparbella, nonché le discussioni su Prima di tutto, la terra. Parola della Unione Viticoltori Panzano, e l’intervento sul blog: Considerazioni “biodinamiche”.

Ho molto apprezzato l’intervento sulla biodinamica di Andrea Gabbrielli, forse il primo giornalista che ha avuto il merito di portare in modo documentato e serio all’attenzione dei consumatori i contenuti, sebbene in forma sintetica, della filosofia e pratica antroposofica che è alla base della viticoltura biodinamica. Per integrare il suo contributo e nella speranza di fornire ulteriori elementi di approfondimento e di discussione, senza peraltro evocare i numerosi spunti polemici che l’argomento offre, vorrei fare un passo indietro rispetto alle precise argomentazioni di Gabbrielli per far comprendere il contesto culturale nel quale Steiner ha sviluppato le sue teorie. Naturalmente non nutro alcuna speranza che le argomentazioni che vengono addotte da questo scritto abbiano qualche effetto sulle scelte dei produttori biodinamici in quanto la biodinamica va trattata e considerata, non con gli strumenti del metodo scientifico ma piuttosto con la acritica accettazione dei dogmi e delle pratiche esoteriche e cabalistiche di una religione. Il fatto che generalmente la scienza venga considerata in modo negativo, rende assai difficile spiegarne il valore. Mentre sino a qualche tempo fa gli scienziati esprimevano con franchezza le loro idee, ora è consentito loro fare qualche professione di fede, veemente quanto imbarazzata, magari alla radio, la domenica mattina, perché queste esternazioni possono essere professionalmente dannose. Non estranei sono i mezzi di comunicazione di massa, che spesso disinformano più che informare. Comunque l’argomento offre l’occasione per affrontare uno dei temi più dibattuti in questi anni, relativo al grado di accettazione della scienza e dei suoi effetti da parte delle civiltà occidentali. Un grande filologo italiano del Novecento, Carlo Dionisotti, affermava che ” il contrasto tra passato e presente, tra tradizione ed innovazione sia stato inasprito in Italia da una maggiore sproporzione fra termini opposti, dal peso eccessivo della tradizione storico-letteraria e da un insufficiente sviluppo della nostra cultura scientifica e tecnica”. Questa inadeguata cultura scientifica che rifiuta l’innovazione genetica, tentò di evitare l’impiego del portinnesto nella ricostruzione della viticoltura europea alla fine dell’Ottocento e cercherà di allontanare, speriamo con analoghi risultati, le scoperte della ricerca dalla viticoltura futura.

L’effetto della globalizzazione
La globalizzazione, di cui tutti ormai ne percepiscono non solo il significato semantico della parola ma soprattutto gli effetti, non influenza solo gli avvenimenti su scala mondiale ma anche la nostra vita quotidiana, il nostro rapporto con la vite ed il vino. Da molti è accettata per l’apporto positivo sulla complessità culturale, da altri considerata inquietante e pericolosa e per questo rifiutata. E questo atteggiamento di rifiuto è alla base della scelta di rifugiarsi in una tradizione radicalizzata. Nel mondo del vino la globalizzazione ha portato evidenti vantaggi soprattutto a livello mercantile, allargando il consumo del vino presso popoli che ne ignoravano persino l’esistenza, ma non vanno sottovalutati gli svantaggi che si possono riassumere nella crescente banalizzazione dei vini che oggi vengono prodotti in tutto il mondo. Senza elencare in maniera talmudiana le modalità che oggi vengono applicate alla produzione del vino, che prevedono osmosi inversa, criomacerazioni, controllo termico delle fermentazioni, uso di tannini, trucioli, additivi per la fermentazione, lieviti selezionati, stabilizzanti per i tartrati ecc., innocui per la salute e consentiti dalle normative vigenti, ma che alla fine fanno diventare i vini tutti uguali, a prescindere dal vitigno e dal terroir. Non trascurabile a questo proposito anche il ruolo della comunicazione, fortemente condizionata dal “pensiero unico” di precisi modelli sensoriali dei vini “perfetti” ma senza anima, nei quali non è più possibile cogliere l’elogio dell’imperfezione. Questa globalizzazione però ha anche operato in direzione opposta creando occasioni per forme di produzione alternative e risollevando il problema della biodiversità in viticoltura (vedi il ritorno ai vitigni autoctoni) e della diversificazione qualitativa nel vino attraverso tecniche di vinificazione arcaiche quali l’impiego delle anfore.

Analogamente il ricorso a forme di viticoltura alternativa come quella biodinamica, rappresenta un tentativo di proporre tecniche di coltivazione della vite che possano contrastare la pressione operata dal progresso scientifico. È una reazione che riflette l’inadeguatezza a comprendere le ragioni del cambiamento, non più un fatto accidentale, ma la norma nel nostro modo di vita. In definitiva è il tentativo di reazione al rischio, un concetto strettamente connesso al cambiamento di cui non conosciamo le conseguenze e che provoca in alcuni le paure della paranoia, sentimento che caratterizza i movimenti ecologisti catastrofistii.

La biodinamica è una filosofia New Age
Il clima di paura alimenta quindi svariate filosofie “new age”, tra le quali va annoverata quella di Rudolf Steiner, più conosciuta come biodinamica, che si contrappongono alla impostazione scientifica della produzione dell’uva. Purtroppo chi si rifà alle idee di Steiner pensa di ritornare ai metodi tradizionali della viticoltura: nulla di più falso perché come dicevano Hobsbawn e Ranger (1983) in “L’invenzione della tradizione”, le tradizioni sono state sempre inventate e reinventate per soddisfare gli scopi di persone che volevano attraverso queste legittimare il loro potere. L’unica cosa che distingue una tradizione è il rito e la ripetizione: per chi segue la viticoltura biodinamica le domande non hanno risposte alternative e per quanto possa cambiare una tradizione, essa fornisce sempre un quadro di azione che non viene mai messo in discussione. Per quanto si tenti di fare, nessuna delle pratiche di viticoltura biodinamica sono riferibili alla nostra tradizione viticola occidentale, se non nei condizionamenti all’operare dei nostri viticoltori di altri tempi, legati alla superstizione. Per comprendere il significato e l’apporto concettuale della filosofia di Steiner è però necessario calarsi nel periodo storico nel quale questo eclettico cultore delle idee di Goethe, tra i 400 e più libri che ha scritto, riassume in un opera dal titolo emblematico “La scienza occulta nelle sue linee generali” (1925), le basi più profonde del suo pensiero.

Gli anni Venti in Germania
In quegli anni la Germania uscita sconfitta e fortemente penalizzata nella sua economia dagli accordi di pace di Versailles, vive nella fine dell’idealismo un momento tragico della sua storia, incapace di accettare le nascenti illusioni del materialismo socialista. In questo contesto le indicazioni di Steiner avevano un ruolo epistemico: non erano solo uno strumento per migliorare le conoscenze dei contadini della Slesia, ai quali aveva tenuto un corso di agronomia, ma un modello concettuale capace di interpretare un sistema naturale complesso nel tentativo di conciliare idealismo e materialismo. In quegli anni di grande sviluppo della chimica e delle sue applicazioni in campo agricolo, soprattutto in Germania, si schierò dalla parte degli humisti a difesa del mantenimento della sostanza organica nel suolo contro le proposte dei mineralisti, sostenuti dal Liebig. Ma ben più contraddittoria fu la sua posizione nel confronti delle idee rivoluzionarie di Darwin, alle quali va ricondotta la sua concezione vagamente antisemita, mentre maggiore fu l’adesione alle teorie di Lysenko, genetista russo, neolamarckista, al quale va attribuito il fallimento dell’agricoltura sovietica ai tempi di Stalin. Infatti per Steiner la causa delle malattie che colpiscono le piante non sono da ricercarsi negli organismi patogeni, ma nelle condizioni generali dell’ambiente circostante. Quindi modificando queste attraverso l’uso di dosi omeopatiche di cornoletame e dei cosiddetti “preparati” energizzati, si pone la pianta in condizioni di reagire alle malattie crittogamiche evocando una resistenza indotta, non legata alle caratteristiche del patrimonio genetico ma effetto di particolari sollecitazioni esterne.

Nessuna conoscenza delle piante e dei terreni
Mentre Steiner non cita mai la vite e la sua coltivazione nei suoi scritti, un gruppo di suoi adepti si è preoccupato di trasferire i principi generali della biodinamica alla viticoltura. I guardiani della tradizione (biodinamica), i saggi, non sono equivalenti agli esperti: essi derivano il loro potere dal fatto di essere gli unici capaci di interpretare la verità rituale della tradizione, solo loro sono in grado di decifrare il vero significato dei simboli presenti nei riti comuni, che nulla hanno a che vedere con le conoscenze di come funziona una pianta o un terreno. Ciò che conta è come la verità della credenza viene difesa o asserita. Riprendendo ed esplicitando la seconda parte della domanda fatta all’inizio di questo articolo, ci si chiede: a chi sono destinati i vini prodotti dalla viticoltura biodinamica o meglio i produttori di vini biodinamici a chi vorrebbero far bere i loro vini ? Penso si possano dare due risposte: una cinica del giornalista inglese Nicholas Faith per cui il vino biodinamico non esiste, è solo un argomento di marketing, una trappola per gonzi, ed un’altra più elegante di Pierre Bourdieu nel suo libro “La distinzione: critica sociale del gusto” (2006). Partendo dalla considerazione che è il senso estetico a dare un significato alla distinzione, i gusti rappresentano l’affermazione di una differenza. La cosmesi del corpo, l’arredamento di una abitazione, la scelta di abiti firmati, la frequentazione di alcuni ristoranti alla moda, costituiscono altrettante occasioni per affermare la posizione che viene occupata nello spazio sociale. I produttori sono spinti dalla logica della concorrenza a produrre vini diversi che si incontrano con i diversi interessi culturali di cui i consumatori sono debitori alla propria condizione economica e sociale.
Chi sono i consumatori dei prodotti biodinamici
I consumatori di vini biodinamici sono infatti :
– i nostalgici (di una agricoltura che non esiste più ma che è rimasta nei loro ricordi giovanili) ;
– gli ex sessantottini (che adesso hanno più di 60 anni ma che hanno fatto carriera e spesso anche i soldi con i quali hanno acquistato un pezzo di terra dove fanno agricoltura biodinamica o qualcosa che gli assomiglia) ;
– i militanti di tutte la cause (insegnanti, artisti, sindacalisti, i contrari all’agroindustria, alla mondializzazione, agli OGM) ;
– gli ecologisti della prima generazione (che vivono tutte le emergenze ambientali nelle scelte quotidiane di consumo e sono vegetariani)
– gli spiriti curiosi (che vogliono sapere cosa c’è in una bottiglia di vino, diversa dalle altre e sono frequentatori di incontri di degustazione e ben informati sui vini proposti dalle guide).

La cosa più curiosa è che spesso queste figure di consumatori diventano anche categorie di produttori biodinamici. Infatti scorrendo gli elenchi di queste aziende si trovano raramente dei viticoltori veri, quelli che hanno sempre coltivato la vigna ed invece sempre più frequentemente industriali, scrittori, registi o attori che di campagna ne capiscono poco e che cadono con maggiore facilità nelle mani di qualche imbonitore. È quindi nella ricerca della distinzione che si colloca il consumatore di vini biodinamici e non nel consumatore cosiddetto della “scelta del necessario”.

Nessun influsso cosmico sui polifenoli
Spesso però l’acquisto di un vino biodinamico è frutto di un “riconoscimento” dell’oggetto senza comportare la conoscenza degli aspetti distintivi che lo definiscono in modo specifico, anche perché questi vino sono consumati il più delle volte quasi in semiclandestinità, in ristoranti di un certo livello, da persone non sempre intenditrici di vino e non sono disponibili nei tradizionali canali di vendita. Questo rappresenta il vero limite alla diffusione dei vini biodinamici perché senza delle vere qualità intrinseche, ma solo perché sono di moda o per il riconoscimento fatto da taluni, sono destinati a vivere il tempo effimero delle mode e quindi a cadere rapidamente nell’oblio, sostituiti da nuove offerte di vini alternativi raccolti sotto le sigle più fantasiose ed in rapida moltiplicazione (vini veri, da viticoltura biotica, vin natur, triple A, vini artigianali, vini del contadino, da vinificatori non professionisti, ecc.) che cercheranno di occupare la nicchia dei vini biodinamici. Personalmente non seguo gli insegnamenti di Steiner sulle forze cosmiche: trovo l’argomento nebuloso e senza riscontri scientifici, ma sono cresciuto nell’ammirazione della scuola filosofica di Kant ed ho delle serie difficoltà a credere ad oscuri influssi di forze cosmiche sui polifenoli e sugli aromi del Sangiovese.

Si ringrazia il Corriere Vinicolo per l’autorizzazione alla pubblicazione.

Nelle immagini: Attilio Scienza (tratta da nadali.blogs.com), trucioli enologici, Justus Liebig, Trofim Denisovich Lysenko, preparazione del cornoletame

L'AcquaBuona

12 COMMENTS

  1. parole limpide e cristalline! da parte di chi come scienziato da 40 anni ha vissuto personalmente la banalizzazione e lo svilimento della scienza da parte dei mass media. Fortunatamente i soldi della scienza sono pochi e si continua a lavorare indisturbati . Diamoli pure alle scienze occulte come l’astrologia e …. Fa sicuramente più notizia e colore. Grazie Attilio (d’altra parte il tuo cognome non poteva deludermi….)

  2. Ho apprezzato molto l’intervento del Prof. Attilio Scienza sull’argomento. La mia storia personale, prima di laureato in agraria, poi di dottorato di ricerca in biotecnologie e ricercatore a contratto, e poi negli ultimi 10 anni di vignaiolo, mi mette in una condizione particolare che non mi consente gli slanci di fede e l’apprezzamento delle influenze cosmiche che invece altri colleghi, del tutto legittimamente, sembrano accettare senza problemi.
    In sintesi, quello che mi pare importante dire a proposito della viticoltura italiana e della scienza enologica e’ che di tutto si ha bisogno, tranne che di meno ricerca e sperimentazione. In altre parole, non mi pare che in Italia si viva un fenomeno di abuso della ricerca scientifica applicata alla viticoltura e all’enologia, al contrario mi sembra che si passi da un atto di fede – quello degli enologi guru degli anni 90 – ad un altro atto di fede – filosofie new age. Non ho alcuna intenzione di ridicolizzare l’impegno di produttori seri che seguono la biodinamica, non ci penso neanche lontanamente. Ma parimenti auspico che l’Italia si riappropri di quel patrimonio scientifico e culturale, eredita’ di personaggi come il Chiarenti, Agostino Testaferrata, ecc. Auspico che le facolta’ di agraria possano offrire un solido punto di riferimento scientifico e tecnologico per gli agricoltori, e che si torni a fare sperimentazione in campagna con risorse adeguate e, sopratutto, curando il trasferimento tecnologico agli agricoltori, oggi nullo, e prestando orecchio alle loro esigenze.

  3. Concordo con la citazione del Prof. Scienza: non esiste un vino biodinamico.

    La biodinamica è un ottimo metodo agricolo, non specificatamente viticolo, e per niente un metodo di vinificazione.

    La bidinamica non riguarda direttamente il vino e la vinificazione che ce lo fa ottenere. E’ l’uva che raccoglie i buoni frutti di un eventuale buon lavoro agricolo. Date per scontate delle buone pratiche agricole, la biodinamica si inserisce come un ulteriore miglioramento della struttura del terreno e della vita delle piante, in forza dei suoi preparati, tenendo conto delle energie (per certi versi evidenti e per certi versi impercettibili, come ha ben esposto Saverio Petrilli) entro le quali è assoggettata la nostra Terra.

    Anch’io da anni provo a capire e a individuare questi benefici al terreno e alla piante, senza fare sfoggio di ciò, trasmettendo queste esperienze agli interessati che me le chiedono e ai colleghi coi quali condivido questo percorso, rifiutando con puntiglio l’espressione “vino biodinamico”.

    Non capisco pertanto queste scomuniche, di sapore un po’ ideologico, che cercano di screditare questo lavoro, nel cui coro si inserisce oggi il Prof. Scienza, che mi sembra dedichi molto spazio alle origini culturali della biodinamica, ma poco a una confutazione su base di osservazione ed esperienza.

    Un cordiale saluto.

    Andrea Kihlgren
    Az Agr Santa Caterina

  4. Mi trovo in completo accordo con Giampaolo il quale rivendica una esigenza forte di sperimentazione e trasferimento di innovazione in agricoltura, cosa che la biodinamica in realtà non comprende. Le semplificazioni e gli slanci e l’intervento di forze astrali non hanno risolto in passato il problema della peronospora e dell’oidio al loro presentarsi nel nostro continente, né quello della fillossera: la ricerca scientifica intensa e quasi disperata in quegli anni offrì soluzioni ai problemi. Questo mi pare il vero nocciolo della questione: vogliamo affidarci nella soluzione dei nostri problemi agronomici all’imponderabile o vogliamo poter controllare e conoscere ciò che facciamo?

    Io propendo per la seconda ipotesi visto che molto di quello che ha consentito un miglioramento delle condizioni degli agricoltori e dei consumatori è frutto della ricerca.

  5. Ho letto con molta attenzione l’articolo del professor Scienza. Ne ho apprezzato la parte storica e l’attenzione agli aspetti socio-culturali. Ma la migliore è indubbiamente quella sulla descrizione del consumatore “Tipo” di vini di coltivazione biodinamica. Davvero esilarante!
    Sono una consumatrice attenta e trovo offensivo che si pensi che i consumatori mangiano e bevono secondo le mode. Credo che nessuna persona sana di mente introduca volontariamente nel proprio corpo cibi e vini che non gli piacciono.
    E poi che significa quell’elenco sulle pratiche delle cantine convenzionali, omettendo di proposito la tenuta del vigneto delle stesse e concludendo che i vini saranno sì tutti uguali ma che comunque si tratta di pratiche innocue e che sono legittimate dalla normativa vigente! Ma è assurdo! Menomale che la normativa vigente non mi obbliga a concimare, perchè il mio orto mi da ancora grandi soddisfazioni e questo me lo dice il sapore!!! E’ la ricerca di un sapore che fa scegliere un consumatore! Ma forse parlo arabo perchè ho letto dei commenti entusiasti su questo articolo ed in particolare Gianpaolo sembra credere che sia colpa della piccolissima realtà biodinamica se la ricerca non ha avuto e avrà meno fondi in Italia, Signor Kihlgren è stato davvero un gentiluomo nel commentare pacatamente l’articolo del prof Scienza, concordo pienamente ma devo aggiungere che mentre sembrava lo spot della FEDER VINI.
    Questo è il bello del web, poter scrivere anche ad un famoso professore che il suo artico è estremamente ricco di pregiudizi! E non è professionale!

  6. @Daniela. Non ho mai detto che e’ colpa della Biodinamica se in Italia si fa poca ricerca seria in agricoltura. Veramente mi sembra che le due coe abbiano una correlazione uguale a zero.
    @Andrea. Testimonio della tua gentilezza nel parlare di come lavori tu nella tua azienda, e se ti ricordi sono venuto un giorno con altre due persone della mia azienda a visitarti e conservo ancora qualche tuo vino che nel corso del tempo ho grandemente apprezzato bere (e ne ho anche scritto sul mio blog).

    Se invece di cercare sempre cosa ci divide e mettere sempre le posizioni sul terreno dello scontro, ci fosse l’abitudine di cercare quello che ci unisce, per es. la ricerca di migliori e piu’ sane pratiche agricole, piu’ sostenibili per noi e per l’ambiente e in grado di esprimere nei vini il territorio e la personalita’ del produttore, e si decidesse a cercare di scoprire con metodo razionale quello che di buono c’e’, e di sicuro c’e’, in tutte le esperienze fatte (biodinamico, tradizionale, biologico, ecc.), sono sicuro che saremmo tutti piu’ contenti. A volte portare la questione in terreno di battaglia tra fazioni e’ il modo migliore per non affrontarla, e mi sembra che in larga misura a questo stadio siamo.

  7. @gianpaolo noto con piacere che fai il viticoltore, del resto era evidente dalla tua capacità di accettare anche una visione diversa dalla tua. Il rispetto è una delle doti degli agricoltori. E’ vero in Italia manca la sperimentazione e gli agricoltori devono arrangiarsi come possono, ma vorrei che questi problemi venissero discussi in adeguata sede. Sembra quasi che sia colpa degli agricoltori biodinamici se le università non fanno ricerche utili e costruttive, del resto è evidente che quando il docente più conosciuto e rappresentativo della viticoltura italiana scrive di filosofia e di consumatori, incapace di argomentare o di rispondere ad argomenti con “confutazione su base di osservazione ed esperienza”(Khilgren) perchè di fatto esperienze e ricerche non ne ha fatte, abbiamo poche speranze.
    Infine devi riconoscere che chi cerca di dividere e diffamare è Attilio Scienza, hai mai sentito degli agricoltori biodinamici parlare delle presunte idee politiche di Liebig o del metodo di produzione del solfato ammonico per screditare gli agricoltori convenzionali? Sono sempre stato aperto agli scambi e disponibile a condividere la mia epserienza con agricoltori interessati ma mi da noia che nascondendosi dietro il nome tutelare della Scienza si diffamino agricoltori seri che ricavano il proprio reddito dal loro lavoro. Tra l’altro se fossero

    @Lamberto. una esigenza forte di sperimentazione e trasferimento di innovazione in agricoltura, cosa che la biodinamica in realtà non comprende” Ma dove l’hai letto? Chi te l’ha detto? Tu propendi pure per l’ ipotesi che vuoi ma per cortesia evita di diffondere informazioni senza fondamento.

    Su una rivista era già apparsa la lettera di Scienza, seguita da una scritta a quattro mani con Gabbrielli. Nella seconda lettera appariva solo un breve paragrafo che riporto qui di seguito:
    “Chiediamo ai biodinamici cose ne pensano della produzione di CO2 dei loro trattori quando devono trattare fino a 20 volte contro la peronospora, come è successo nel 2008, rispetto ad un numero di circa la metà della viticoltura convenzionale e della quantità di rame che va nel suolo, metallo molto più tossico sugli organismi viventi, dei prodotti organici per la lotta ai funghi. E cosa ne pensano dell’aumento di allergogeni nell’uva, la cui sintesi è indotta dallo stato di stress provocato dai parassiti o dalla mancanza di alcuni nutrienti. Ed ancora come pensano di risolvere nei prossimi anni i problemi sanitari o idrici che si manifesteranno nei vigneti con il cambio climatico, senza i rimedi che offrirà loro la scienza attraverso i progressi del miglioramento genetico”
    Ed ecco la mia risposta:
    “Nel 2008 abbiamo effettuato 11 trattamenti, e non 20 come affermato da Scienza e Gabbrielli, non solo tutti i trattamenti sono stati effettuati a filari alterni, quindi con consumo di carburante e compattamento dei terreni ridotto della metà. In annate più favorevoli scendiamo a 8, sempre a filari alterni, un terzo di un azienda convenzionale. Una breve indagine telefonica tra colleghi mi ha svelato che nel 2008 nessuna azienda di mia conoscenza ha effettuato più di 12 trattamenti, una soltanto 6 e senza rame né sistemici.

    Su poco meno della metà della superficie a vigneto non utilizziamo più rame da quattro anni. Sulla restante parte la quantità totale di rame metallo utilizzato è quest’anno di 3 kg per ettaro. Molti produttori convenzionali in Toscana sostituiscono nella fase finale i sistemici con il rame e le quantità date a fine campagna non sono inferiori alle nostre per tutto l’anno.

    Riguardo all’ipotetico aumento di allergogeni non sono informato, mi pare la classica bufala da campagna intimidatoria ma provvederò ad informarmi e a effettuare le opportune analisi prima di rispondere.

    Per quanto riguarda i supposti cambiamenti climatici l’agricoltura biodinamica offre in effetti le migliori soluzioni. L’aumento del contenuto di humus nel terreno consente maggior resistenza alla siccità oltre che una miglior capacità di assorbimento delle piogge torrenziali, evitando smottamenti e lisciviazione. Rispetto ai miei vicini convenzionali infatti i vigneti gestiti secondo il metodo convenzionale appaiono meno stressati nelle estati siccitose e non vi sono fenomeni di ruscellamento superficiale delle acque. Potete trovare una fotografia nel primo commento a questo scambio. ”

    Mi sento quanto mai lontano dalla perfezione ma sono convinto che non ci sia una sola argomentazione pratica e reale per le quali non abbia risposte convincenti
    saluti e buona natale a tutti
    Saverio Petrilli

  8. Volevo fare i complimenti ad Acquabuona che con la pubblicazione di questi pareri sulla biodinamica ha attirato me e non solo, nella lettura tutta d’un fiato, di articoli davvero interessanti. Ho potuto comprendere molte cose, mi sono anche un po’ innervosita nel leggere l’articolo di Scienza che come ho già scritto nel mio precedente intervento mi sembre uno spot pubblicitario dell’industria,

  9. Complimenti a Petrilli ed Occhipinti, la cui dialettica mi ha affascinata, spero di non essere la sola, spero che i viticoltori possano tornare a quel senso di osservazione e che in generale si possa andare più numerosi verso un’agricoltura consapevole. Gianpaolo e Lamberto non è mai troppo tardi per guardare da un’altra angolazione, io lo spero ed aspetto che scriviate ancora.

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