Fiano Night: vince Pietracupa di Sabino Loffredo

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Una bellissima serata organizzata dall’ormai inarrestabile Mauro Erro nella sua enoteca Divino In Vigna, a Napoli, sempre più punto di riferimento per gli appassionati di vino del capoluogo partenopeo. Sono stato veramente bene soprattutto per la particolarità della serata che oltre a veder sfilare due interessanti e validissime batterie di Fiano d’Avellino Docg mi ha riconciliato con gli aspetti più conviviali del vino.

Protagonisti, infatti, insieme alle bottiglie selezionate per l’occasione, sono stati 10 provetti degustatori, tutti o quasi, alle prime esperienze con il divino nettare di Bacco. Persone senza pregiudizi se non quello esclusivamente del proprio gusto personale. I sei campioni sono stati serviti alla cieca in due distinte batterie. I vincitori di ciascuna si sono affrontati nella finale. Unico insindacabile metro di giudizio la piacevolezza. E se pensate che questo possa aver rappresentato un vantaggio scontato per l’affermazione dei campioni più facili e ruffiani, vi sbagliate. Nulla di pù discutibile del luogo comune che lega la piacevolezza ad un certo stereotipo di vino confuso molto spesso con tendenze e mode d’oltreoceano. I ragazzi hanno premiato due vini per nulla facili, non scevri di spigolosità, ed accomunati solo dalla straordinaria capacità di farsi bere e stare in tavola. Vivaddio: la bevibilità! I campioni provenivano da zone diverse della provincia di Avellino che conta su ben 26 comuni in cui è possbile produrre la Docg con un 85% minimo di uve fiano ed un saldo di Coda di Volpe bianco, Greco e, perfino, Trebbiano toscano (retaggio di vecchi reimpianti-rimpianti). Si è cercato di privilegiare le zone ritenute più vocate e gli interpreti più affidabili, anche tra cantine emergenti, della denominazione.

La prima batteria ha visto affrontarsi il Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2003 di Villa Diamante, al secolo Antoine Gaita, con quello 2005 di Guido Marsella e, in anteprima, la “riserva” Pietramara 2007 etichetta bianca dei Favati. Tutti fiano in purezza (o almeno dichiarati tali) provenienti, rispettivamente, da Montefredane, Summonte ed Atripalda.

Scontro che ha visto subito capitolare per manifesta unanimità di giudizio l’etichetta bianca de I Favati che ci riproponiamo di assaggiare più avanti, non prima del prossimo autunno, quando avrà smaltito gli eccessi di gioventù. Appena versato nel bicchiere è sembrato, per alcuni minuti, volersi distendere su  peculiari sfumature minerali, un’intenzione troppo presto disattesa e che rimarrà tale per  tutta la serata anche dopo diverse ore di ossigenazione nel calice. In questo momento predominano in maniera ancora troppo netta ed invasiva le note fermentative che non ne consentono una valutazione serena se non in prospettiva. La materia è notevole e solo il tempo potrà riuscire a trasformarne la trama fitta e concentrata in una progressione più articolata e complessa.

Di segno diametralmente opposto il Fiano di Villa Diamante. Annata calda ed eccessiva, come e più della 2007, ma qui il tempo ha già fatto un suo primo importante decorso. Anzi al palato il vino sembra essersi fin troppo rilassato pagando dazio alla freschezza dei campioni più giovani. Nulla da eccepire, però, all’eleganza della sua prestazione, di chiara impostazione francese, dallo stile generoso e raffinato, giocata tra le note fumè tipiche del territorio fredanese  e un corredo terziario che ne lascia intendere prematura, pur apprezzabile, evoluzione. Sfondo terziario di tartufo bianco e spezie, qualche vago accenno di frutta sciroppata, sentori di idrocarburi e fiori dolci secchi. Una bella bottiglia da bere e godersi adesso.

Ha tenuto il passo, in un testa a testa fino all’ultimo voto, con Marsella, altra bottiglia non facilissima da approcciare. Ho assaggiato quasi tutte le annate di questo produttore e posso garantirvi che la 2005 è da considerarsi assolutamente atipica. La sua proverbiale aromatica esuberanza lascia posto, in questo millesimo di pioggia, ad un’interpretazione, inaspettatamente, viscerale ed umorale. Nonostante non sembri, all’apparenza, riuscire a trovare i soliti picchi di profondità ed ampiezza mostra, allo stesso tempo, una dinamica e fascinosa irrequietezza nel bicchiere, ora aprendosi, ora richiudenosi su se stesso. Il limite più evidente l’alcolicità spinta (siamo a 14.5%) che quando la temperatura sale tende a comprimerne ancor di più l’espressività pur senza intaccarne, miracolosamente, la beva. Una bottiglia da conservare per testarne di tanto in tanto l’evoluzione negli anni a venire. Passa, alla fine, per un solo voto di scarto, Marsella.



Seconda batteria meno avvincente o, semplicemente, più equilibrata ma si avverte anche una certa stanchezza tra i degustatori non abituati a questo tipo di maratone etiliche. Arrivano in pista Picariello 2004, Pietracupa 2006 di Sabino Loffredo e Rocca del Principe 2007 di Fabrizio Aurelia (quest’ultimo, per la cronaca, fresco di 3bicchieri e premio come Cantina Emergente dell’Anno del Gambero Rosso). I terroir di Summonte e Montefredane ancora a confronto, questa volta in un faccia a faccia con le vigne di Lapio della new entry Aurelia. Quest’ultimo, un po’ come successo all’etichetta bianca de I Favati, anche se con minor enfasi e clamore, esce quasi subito dalla competizione. Anche in questo caso il vino si presenta troppo giovane e marcato da classici sentori di tipo post-fermentavo. Meglio rispetto al Pietramara se non altro per una maggiore verticalità e qualche lampo minerale in più, nonchè la capacità di sapersi muovere con maggior disinvoltura sulla distanza. Aspetteremo anche per questo fiano ancora un po’ prima di riassaggiarlo.

Nel frattempo Picariello si arrende a Sabino Loffredo anche se devo dire che dopo qualche oretta coi vini nel bicchiere il Fiano di Ciro si era aperto in maniera splendida e solare, sfoggiando il timbro balsamico tipico di Summonte e facendo segnare una felice progressione organolettica per intensità e lunghezza. Il Fiano di Avellino di Pietracupa si impone, dal canto suo, senza strafare: bianco senza fronzoli non sferra colpi ad effetto e riesce in una prova di personalità e carattere senza dover alzare la voce. Coniuga sobrietà minerale, freschezza floreale ed integrità del frutto con un impianto austero, serio e puntuale. Nella finale sono queste le carte che gli permettono, non senza difficoltà, di avere la meglio anche su Marsella ed essere incoronato “Fiano della serata”. Fuori programma una bottiglia d’antan targata 1992 di Vadiaperti, della famiglia Troisi, giusto per ricordarci le incredibili potenzialità d’invecchiamento che quest’uva può regalare se vinificata salvaguardandone la necessaria struttura acida in un’ottica lungimirante, meno orientata ai capricci del mercato e maggiormente improntata al rigore e alla serbevolezza.

Fabio Cimmino

2 COMMENTS

  1. Sono uno dei degustatori, appartenente alla categoria “quasi provetti”. Ringrazio molto Mauro e Fabio per la bella serata dedicata al Fiano, Fabio anche per le benevole parole nei nostri confronti.
    In realtà quando ci definisce stanchi vorrebbe dire che siamo indisciplinati al punto tale da essere impresentabili in un contesto degustativo serio.
    Confermo completamente la difficoltà di scegliere un vino “da tenere a tavola”, sembra semplice ma effettivamente non lo è. Niente è più complesso della semplicità.
    Spero solo di imparare col tempo a rimanere più concentrato su quello che ho nel bicchiere, senza mai dimenticare “gli aspetti più conviviali del vino”.
    Alla prossima, Maestro Erro (che non è un’ammissione di colpevolezza, manca la virgola) e Magister Fianii Cimmino.

  2. Caro Lucio,

    innanzitutto non penso che possiamo più considerarvi dei “degustatori provetti”.

    Hai ragione sul fatto di essere indisciplinati… :-)))

    Quoto: “Niente è più complesso della semplicità”.

    E’ sempre molto diffcile sposare gli intenti di una degustazione “professionale” con quelli di una serata conviviale. Soprattutto quando il numero di campioni inizia ad essere importante ed il vino, invece, di finire in uno sputacchiera va ad offuscare i nostri sensi rendendo improbabile la necessaria concentrazione. Questo vale per tutti.

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