Le Vigne del Lazio: una selezione per conquistare Roma

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ROMA – Il 22 marzo nella tradizionale sede della Città del gusto di Roma il Gambero Rosso ha ospitato una grande degustazione dedicata ai vini delle Vigne del Lazio, l’associazione che da dieci anni promuove il vino di qualità di questo territorio. L’evento fa seguito ad una degustazione analoga organizzata sempre in grande stile dall’AIS di Roma in dicembre, a conferma che da queste parti hanno deciso di fare sul serio, investendo energie e capitali per “sfondare” definitivamente sul mercato romano.

E già, perché il punto dolente è proprio questo: Roma rappresenta il più importante mercato del vino in Italia e fino a pochi anni fa la presenza in carta di etichette regionali era scarsissima. Oggi, dopo anni di sforzi ed investimenti, si è arrivati ad una quota di circa il 10% (sulla base degli ultimi rilevamenti dell’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e Innovazione dell’Agricoltura del Lazio), che non è pochissimo, ma che senz’altro è molto al di sotto delle aspettative e potenzialità del territorio.

Diciamo subito che se a Roma e dintorni si bevono pochi vini laziali la colpa non è tutta e solo dovuta ad una sorta di “esterofilia” di ristoratori ed enotecari, che li ha portati nel tempo a scegliere e proporre soprattutto prodotti di altre regioni. Grande responsabilità va imputata anche agli stessi vini del Lazio, che fino a non molto tempo fa erano, salvo rare eccezioni, semplicemente “impresentabili”, e che solo oggi, grazie all’impegno e al lavoro di alcuni produttori seri, iniziano a colmare quel ritardo in termini di complessità e radicamento territoriale che li ha sempre penalizzati. E anche se è forse prematuro etichettare il Lazio come una regione di grandi vini – nonostante storia e potenzialità la porrebbero di diritto tra i territori più vocati del paese – qualcosa si sta muovendo, anche grazie ad associazioni intraprendenti come per l’appunto Le Vigne del Lazio.

Un’associazione che si è dotata di un rigido sistema di autoselezione: i vini delle aziende che intendono aderire devono ogni anno passare al vaglio di un controllo organolettico effettuato da una commissione di degustazione esterna, composta da tecnici indipendenti. Sono ammesse solo quelle aziende che hanno vigneti di proprietà ed i cui vini sono giudicati con almeno 75/100 di valutazione, stimolando così i soci a lavorare su un costante miglioramento dei prodotti e al contempo cercando di offrire al consumatore una garanzia di qualità in qualche modo “certificata”. Oggi tra i 21 produttori che fanno parte di questa associazione troviamo quasi tutte le migliori cantine della regione: alcune più grandi, altre minuscole e a gestione familiare, che complessivamente con le loro 170 etichette offrono comunque un quadro ben rappresentativo del meglio della produzione regionale.

E così spunti interessanti vengono dall’area del cesanese, sia del Piglio (che dalla vendemmia 2008 si potrà fregiare della DOCG) che di Olevano: vitigno e vino che più di ogni altro negli ultimi anni sembra attrarre l’attenzione di appassionati e addetti ai lavori, e sul quale molto si sta lavorando e sperimentando con l’obiettivo di indirizzarne la naturale esuberanza (in termini di estratti, di alcool, di colore, di tannini…) verso prodotti più aggraziati, raffinati e bevibili. Sempre in zona, nella provincia di Frosinone, sta mostrando risultati interessanti anche la passerina, un autoctono capace di dare vini bianchi dalla beva piacevole e fresca.

Un altro comparto in crescita è quello del lazio nord e viterbese, terra che sta proponendo chardonnay di insospettabile eleganza e dove il grechetto su tutti sta rivelando interessanti caratteristiche di complessità e tenuta nel tempo. Senza dimenticare alcuni grandi vini a base di merlot, di cabernet sauvignon e di sangiovese, che sembrano essersi acclimatati egregiamente nella parte costiera della Tuscia, da Cerveteri fino ai confini con la Maremma toscana. E per finire segnali positivi giungono anche dall’agro pontino, dove le sperimentazioni sui vitigni internazionali e i risultati raggiunti da Casale del Giglio hanno fatto da stimolo e riferimento per altre giovani e promettenti iniziative.

Nota dolente rimane a mio avviso quella dei Castelli Romani, ma qui il discorso è particolare: è indubbio che negli ultimi anni la qualità media dei vini dei Castelli si sia impennata, portando sul mercato un numero sempre maggiore di vini che possano almeno essere definiti corretti ed interessanti; ma i Castelli per terreno, esposizione, microclima sono senza dubbio una delle aree vitivinicole più vocate d’Italia e non ci si può accontentare di poche sparute punte di eccellenza!

Ma ora vi lascio con una breve carrellata di alcuni dei vini in degustazione.

Luna Mater Frascati Sup. 2007 – Fontana Candida
Il nuovo Frascati dell’azienda di proprietà del GIV, ottenuto da vigne di 50 anni a bassa resa e con una vinificazione differenziata in cantina (parte delle uve sono raccolte tardivamente e lasciate a macerare sulle bucce). E’ un Frascati importante, “materico”. Sia al naso che in bocca è uno di quei vini ad alto impatto: sentori nitidi di frutta dolce, matura, che vira pian piano verso note esotiche, si trasferiscono dal naso al palato, caldo e di buon corpo, che chiude su un finale piacevolmente ammandorlato. Consiglierei di berlo molto fresco, altrimenti i suoi 14,5° si fanno sentire; in ogni caso un vino per gli amanti dei sapori forti!

Moscato di Terracina Oppidum 2008 – Cantina Sant’Andrea
Di questa cantina mi è piaciuto anche il Circeo Rosso Sogno 2005, ma volendo scegliere un vino ho optato per questo Moscato. Qui cambiamo completamente registro rispetto al vino precedente e andiamo sulla giocosità, sulla spensieratezza, sulla seduzione. Ha i tratti caratteristici ed intensi del vitigno di provenienza: un trionfo aromatico che sa di lavanda, agrumi canditi, albicocca, frutta tropicale. Veramente incantevole! In bocca poi te lo ritrovi atipicamente acido e sapido, con una notevole freschezza che rende particolarmente godibile il frutto. Buona anche la persistenza. Nota di merito, infine, all’ottimo rapporto qualità-prezzo.

1670 (annata 2006)- Vini Pallavicini
Profumi eleganti, nitidi, di gran precisione, che quasi quasi ti fanno pensare ad un vino più “nordico”: una prevalenza di frutta a polpa bianca, poi ginestra e infine un tocco dolce di miele. In bocca è morbido, avvolgente, con una mineralità “femminile” che da un’impressione di maggior polpa. Vino preciso, senza sbavature, che denota una gran maestria nella gestione in vigna e in cantina. Da segnalare anche il sempre “godurioso” Stillato 2007, passito di malvasia puntinata.

Calanchi di Vaiano 2007 – Paolo e Noemia d’Amico
Questo è un esempio di quegli chardonnay-che-non-ti-aspetti di cui parlavo nel testo principale, prodotto da una giovane azienda dell’alta valle del Tevere. Ha un profilo olfattivo elegante, di esemplare nitore, dove sento fiori freschi, agrumi, mela e una mineralità appena accennata. Al palato è godibilissimo, di bella freschezza acida, con un finale pulito dove tornano netti i ricordi del frutto. Un vino ben fatto, da bere a secchi senza troppe “elucubrazioni” mentali.

Latour a Civitella 2006 – Mottura
Beh, qui c’è poco da dire: forse il miglior vino bianco del Lazio, che anno dopo anno si conferma ai vertici della qualità nazionale. E’ un vino a base grechetto che sta mostrando insospettate doti di tenuta nel tempo. Paradossalmente questo 2006 è ancora giovane, come si può dedurre dal profilo olfattivo che tradisce un legno non ancora perfettamente integrato, su una base comunque ampia e complessa che parla di fiori bianchi, di frutta fresca, di miele d’acacia, di una delicata mineralità che ricorda la roccia bagnata. In bocca ha un ingresso netto, lineare, con un’acidità che inumidisce il palato e sostiene la gran materia, un frutto vivo, una mineralità molto evidente, quasi sapida… aspettiamolo ancora un po’ e si confermerà un grande!

Torre del Piano 2005 – Casale della Ioria
Paolo Perinelli è stato uno dei pionieri della rivalutazione del Cesanese. Il risultato del suo lungo lavoro di sperimentazione e ricerca ampelografica è questo splendido Torre del Piano 2005 il cui commento più spontaneo è… non sembra Cesanese! Tanto sono espressive e modulate le sue sfumature aromatiche al naso, tanto è rotondo e piacevole in bocca. Perfettamente equilibrato, si distende con gran naturalezza, mostrando una carica tannica come al solito notevole ma già ben amalgamata, e un’energia compressa che lo porterà ad esprimersi ancor meglio tra qualche tempo.

Torre Ercolana 2004 – Colacicchi
Il Torre Ercolana di Colacicchi era fino a qualche anno fa uno dei pochi vini laziali capaci di valicare i confini regionali. Dopo un periodo di appannamento, oggi l’azienda è stata rivitalizzata dalla nota famiglia di enotecari Trimani. Uvaggio di cabernet sauvignon, merlot e cesanese, questo 2004 si trova ancora in una fase olfattiva di transizione che sta abbandonando i classici sentori erbacei giovanili per virare verso toni più scuri, più profondi, di frutti neri e spezie. In bocca mostra tutto il suo spessore, fatto di una materia ricca e carnosa, di tannini ancora un po’ duri e non perfettamente amalgamati, di una mineralità che sa di terra e pietra.

Nero Buono 2006 – Cincinnato
Buono… di nome e di fatto! Scontato gioco di parole, ma questo rosso prodotto dalla Cooperativa Cincinnato a Cori, a circa 50 da km da Roma, continua a meritarsi una segnalazione per piacevolezza e convenienza. E’ il classico vino semplice, ma non banale. Un vino che non ha velleità da prim’attore, ma che berresti sempre, tutto d’un fiato. Il naso è intenso anche se non complessissimo, con note che ricordano i piccoli frutti rossi e neri, intrecciate a sentori speziati e tostati derivati dal passaggio in legno. In bocca è morbido, senza spigoli, polposamente fruttato e con un tannino ancora “rampante” che si ammorbidirà di certo tra qualche mese.

Cesanese del Piglio Velobra 2006 – Terenzi
Terenzi è un altro nome di riferimento quando si parla di Cesanese. Un vino che, come già detto, è una bestiaccia assai difficile da domare e che invece Terenzi è riuscito a presentare in questo 2006 in veste, per così dire, “civilizzata”. Ha un naso piuttosto “verticale”, che ricorda in sequenza i frutti rossi, la macchia mediterranea, e una nota più scura che rimanda a qualcosa di terroso e carnoso. In bocca invece è più “orizzontale”, con una bella polpa di frutto, una struttura importante ma non imponente, e una rotondità che tutto sommato ne agevola la beva.

Muffa Nobile 2007 – Castel de Paolis
Alla Castel de Paolis va riconosciuto il merito di essere stata una delle prime aziende dei Castelli a puntare forte sulla qualità (il Quattro Mori resta uno dei migliori rossi del Lazio). Questo muffato è figlio di un esperimento ambizioso portato avanti da Giulio Santarelli e dal Attilio Scienza: il tentativo di riprodurre un Sauternes (le uve sono le stesse, semillon e sauvignon blanc… non sono riuscito a sapere se c’è anche muscadel) a latitudini romane. Senza voler fare improbabili paragoni, il Muffa Nobile è un vino da dessert moderno e piacevole, seducente al naso e con un giusto contrasto dolce-acido in bocca: presupposti necessari per ogni vino dolce che si rispetti!

Calenne 2006 – Charlotte Puri
Azienda giovane che lavora su terreni vulcanici nei dintorni del lago di Bolsena. Questo Calenne – blend di roscetto, chardonnay e procanico – mi ha colpito per la freschezza e briosità con cui si presenta nel bicchiere: pulito, gradevole, esprime note di mela, ananas, pompelmo, pera, su un lieve sottofondo minerale. Il palato segue il naso: ha un incipit pulito e lineare, un centro bocca dove alcool e acidità risultano in buon equilibrio, e un finale lungo e piacevole dove torna il fruttato. Vino da bere senza starci a pensare più di tanto… così com’è, per puro piacere!

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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