Per l’ultimo faggio del Bosco di Gioia

4
14123

MILANO – Quest’ultima primavera è stata la più tremenda. Per lui che ne ha viste tante, e che per chissà quali motivi era stato l’unico albero, insieme a una magnolia, ad essere risparmiato dallo scempio del Bosco di Gioia. L’istinto gli ha fatto tentare ancora una volta di ripartire, in marzo erano spuntate delle foglioline. Ma poi non ce l’ha fatta. Sulla corteccia, grosse crepe, e le foglioline da verdi sono subito diventate marroni e poi seccate sui rami. L’ultima primavera gli ha risvegliato l’istinto vitale, ma le forze non c’erano più. Imbragato, fasciato, puntellato e immerso in mezzo a cantieri mastodontici, ha ceduto, ha detto basta.

Sarebbe solo la storia di un albero qualsiasi se il luogo, il tempo e le circostanze non fossero quelle che sono, se non si trattasse dell’ultimo faggio del Bosco di Gioia.

E allora è il caso di spiegare cos’è, o meglio cosa è stato il Bosco di Gioia. Siamo a Milano, nel quartiere che si estende tra la stazione Garibaldi e la zona degli uffici distaccati della Regione Lombardia che fanno da corollario (come se non bastasse) al grattacielo Pirelli, sede della Regione. Sulla trafficatissima via Melchiorre Gioia, verso il quartiere Isola, si apriva un parco, donato da una nobildonna nel 1964 all’Ospedale Maggiore di Milano con l’intendimento che divenisse un bene per la città, e con il vincolo che non venisse mai intaccato, venduto o affittato.

Il cosiddetto Bosco di Gioia era ricco di vecchie piante d’alto fusto: faggi, carpini, abeti, magnolie. Per il quartiere, affogato dallo smog e dal traffico, era un’oasi di pace.

Quando però si è dovuto stabilire dove sarebbe sorto il nuovo grattacielo per accorpare gli uffici della Regione, sul Bosco di Gioia hanno cominciato a volare i corvi. Ed è scattato il piano.

Fase 1: progetti faraonici e svincoli ambientali. Il messaggio è stato: faremo qualcosa di molto meglio, di utile per la collettività, sarà un fiore all’occhiello eccetera eccetera…

Fase 2: motoseghe. Nonostante la rivolta degli abitanti del quartiere, il vincolo a non toccare il bosco, i comitati in difesa del parco, e l’azione di personaggi della cultura e dello spettacolo, nei giorni a cavallo tra le festività natalizie di fine dicembre 2005 e inizio gennaio 2006, quando gli abitanti meno si aspettavano una prova di forza, le ruspe e le motoseghe entrano nel parco e fanno strage: abbattono 160 alberi d’alto fusto e ne trasferiscono 17. Rimarranno 2 (DUE) soli alberi: un faggio e una magnolia.

Il cantiere parte subito. Qui si costruirà “l’altra sede” della regione Lombardia. Parte veloce; proprio in questa primavera 2009 la torre principale supera in altezza il grattacielo Pirelli (per inciso: si è mai visto un ospedale o una scuola crescere a ritmi così vertiginosi?).

Ma proprio la primavera 2009 regala, a chi non si lascia sfuggire il dettaglio, il contrasto tra il palazzone che cresce e il faggio che muore. Aggirarsi nei paraggi delle recinzioni, vicino all’albero, è un’esperienza surreale. Serve a capire cosa vuol dire vivere in Italia oggi, cos’e la funzione del linguaggio oggi. Cartelloni patinatissimi, enormi, dai colori misurati e dalle grafiche d’impatto spiegano il perché di tutto questo. E snocciolano in modo raggelante dati che vorrebbero far credere che quel cemento in realtà è verde, è superecologico, è sostenibile. Partono scomodando il Manzoni, chiaramente: “Quel ramo del lago di Como….”

L’architetto Pei Cobb Freed, ideatore del progetto, ha dichiarato che il suo edificio aveva quella forma ondulata per richiamarsi ai dolci declivi delle colline lombarde. Come no. E poi a seguire, concetti del tipo “aree porticate”, “giardino pensile” (fruibile da chi, a parte il Governatore?) e “giardino lineare”.

Sul giardino lineare ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, per capire quanto il linguaggio sia potente per trasformare, senza muovere un dito, quella che per tutti è una “lingua di verde tra due strade dove gli impiegati vanno a mangiarsi il panino nell’ora di pranzo” in una chimera che sa di moderno e ecologico. È e resterà il parchetto che da via Galvani va verso la circonvallazione; solo che ora si chiamerà Giardino Lineare. La torre della Regione accorcia le distanze sulla Torre di Babele.

Ma torniamo al nostro faggio. Il sorpasso in altezza sul Pirellone è stato ampiamente pubblicizzato su tutti i giornali. E non stava bene far vedere il palazzo in pieno sviluppo con alla base un albero secco (che tra l’altro, al momento del taglio del bosco era stato definito il “simbolo della rinascita di questo luogo”). Un giorno di maggio quindi il faggio è stato portato via. Al suo posto è subito apparsa una nuova pianticella, in tempo per le foto in occasione del sorpasso. Adesso è lei a tenere compagnia alla magnolia, e a fronteggiare la prospettiva del grattacielo targato Impregilo che cresce sopra di lei.

Al nuovo faggio, che è bello immaginare come a simbolo dei cittadini trapiantati in questa città da chissà dove, e alla magnolia, un grande in bocca al lupo. Ma l’abbraccio – postumo – più sentito vada al vecchio faggio rosso, l’ultimo del Bosco di gioia. Per quelli che c’erano, che hanno lottato, che hanno vissuto.

Del taglio del Bosco di Gioia in questi anni si sono occupati moltissimi mezzi d’informazione, e sarebbe lunghissimo elencarli tutti.

Può essere utile però segnalare:

Un emblema: il sito in difesa del Bosco di Gioia. Basta andare al link per capire il perché: qui

Alcune foto e la denuncia di Beppe Grillo: qui

Lo stato attuale dei lavori e molto altro, nella parte finale di questo servizio di Report: qui

Ma la chiosa più bella alla vicenda l’hanno data Elio e le Storie Tese, nel brano Parco Sempione. Nonostante il titolo parla proprio di questa storia. Vale più di ogni altra parola vedersi il video e capire il testo, fino alla fine. Qui

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

4 COMMENTS

  1. Non si parla di vini, non si parla di cibi. Eppure ne colgo lo stesso la presenza sottesa, avendoli tutti compresi ( quelli buoni) in questa piccola elegia dedicata alla Terra. Bravo Paolo!

    Fernando

  2. Caro Paolo, sarà dura, ma se un giorno riuscissimo a creare un nuovo mondo, a far sì che i governi facciano quello che serve al popolo e che il popolo vuole, invece che impiegare tutte le loro forze per convincere il popolo che quello che fanno è proprio quello che al popolo serve. Se verrà quel giorno, ricordiamoci del bosco di Gioia e di tutti gli altri boschi, fiumi, laghi, fiori, prati che la bramosia di potere e denaro hanno cancellato. Ce ne ricorderemo e anche noi ci armeremo di ruspe, ma questa volta per spianare i palazzi… e far posto al bosco!

  3. Quei grandissimi figli di troia progressivamente se ne stanno andando a cagare.Speriamo che il popolo italiano ,dopo il popolo di milano, trieste, napoli e cagliari s e di tanti altri comuni sappia suonare la riscossa contro tutti questi figli di troia.
    Ho visto le foto del bosco e quello che hanno fatto è stato come uccidere dei bambini innocenti.
    Gli alberi ,i boschi e gli animali sono la vita, i palazzi e il cemento la morte!!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here