Nuovi mercati: il Mercado de San Miguel di Madrid

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Il mercato è, o dovrebbe essere, luogo sacro per chi ama e coltiva la passione per l’enogastronomia. È stato a lungo il posto deputato all’offerta del lavoro della terra, quando i produttori di ortaggi, formaggi, uova, carne, pesce, lasciavano i loro luoghi spesso carichi di fatica e di disagi e presentavano i loro risultati per ottenerne un reddito. Questa è un’idea probabilmente superata e fors’anche romantica, perché, nuovo “contadinismo” a parte, oggi nei mercati si incontrano merci provenienti da lontano, anche dall’estero e che spesso si ripetono, pressoché uguali, in luoghi anche molto distanti.

Ma rimane il fatto che è sempre utile dare un’occhiata al mercato nel posto che si sta visitando o nel quale si sta soggiornando perché, al netto di globalizzazioni varie, qualcosa della sua ídentità, perlomeno quella enogastronomica, spesso riesce comunque a trapelare.

È dunque una buona notizia che la capitale spagnola abbia ritrovato, inaugurandolo 13 maggio scorso, il suo storico mercato di San Miguel grazie ai finanziamenti della Comunidad de Madrid e al gruppo privato “El Gastrónomo de San Miguel” che ne ha acquisito, una dopo l’altra, le 75 postazioni. Vi si arriva appena usciti dalla porta ovest di Plaza Mayor passando sotto l’arco della Calle de Ciudad Rodrigo, e ci si trova di fronte ad un bell’edificio in vetro e ferro, frutto di un lungo restauro che ne ha preservato l’architettura del primo giorno, ancora un 13 maggio ma del 1916. Ma lo ha restituito alla città profondamente mutato nella natura, da luogo di vendita a luogo prevalentemente anche se non esclusivamente di consumo. È stato insomma trasformato, per richiamare un concetto di recente acquisizione, in un multispazio dove poter saltare da un prodotto all’altro, e da una atmosfera all’altra.

E facendo ecologicamente a meno dell’aria condizionata, ma investiti da una nebbiolina acquosa che scende dall’alto, si può iniziare un percorso possibile con la cerveceria, che in Spagna non è solo birreria, ma luogo emblematico di mangiate anche sostanziose nelle quali si spazia dai formaggi, agli insaccati, a piatti semplici ma di lunga tradizione. Anche qui non mancano le “vetrinette” a racchiudere tapas anche se a dominare la scena, complice la stagione, sono soprattutto i “trionfi” di crostacei che coniugano tradizione e tendenza, perché a fianco dei classici gambas al ajillo o a la plancha, trovano posto anche pregiati gambas e i langostinos de huelva o i carissimi carabineros (gamberi rossi) a 9 euro l’uno.

A proposito di tendenza, un discorso a parte meritano le ostriche che si conquistano uno spazio esclusivo: segno evidente che, finora simbolo di lusso più che di tradizione popolare (nonostante eccezioni costituite da alcuni luoghi di grande smercio come il mercado da pedra della Vigo in Galizia), beneficiano ultimamente di un processo di “sdoganamento” verso un consumo più popolare simile a quello in atto in Italia. Ve ne sono di diverse fasce di prezzo (Fine de Claire a 1 1.20 euro, le especiales dell’importante importatore madrileño Daniel Sorlut a 1.5, 2, 2.5 euro) a seconda della grandezza, e le più grandi sono anche le più buone.

E con un piatto di ostriche in mano ci si può trasferire direttamente nella bodega dove sorseggiare un Cava “tranquillo”, nel senso proveniente da una bottiglia senza etichetta, oppure scegliendo fra opzioni, quali Albariño, Rueda… Chi proviente dalla charcutería, con un piatto di embutidos e/o di jamon, sceglierà qui una copa di Rioja, o Ribera del Duero, rimanendo en la barra o andando in uno dei tavolini che occupano il centro dello spazio. Idem per chi proviene dalla formaggeria dove dominano provenienze spagnole e francesi, tutto rigorosamente a latte crudo. Ma non manca l’immancabile mozzarella di bufala.

E poi, legumi e cereali, pasta fresca e gnocchi di patate, confetture artigianali piuttosto carucce, pane, la macelleria, la pescaderia, naturalmente tanta frutta, le olive, i patè, i baccalà… La cafeteria, classica, nessun ammicco a Starbucks o similari. La libreria con i ricettari e i grandi chef spagnoli a firmare libri lussuosi e costosissimi: non solo l’ormai celebre Un giorno a El Bulli uscito anche in Italia, ma anche Sergi Arola con i suoi dieci anni a La Broche (ora abbandonato) o lo straordinario Quique Dacosta 2000-2006 del geniale chef de El Poblet ad Alicante, ennesima e definitiva dimostrazione che certi piatti possono emozionare visivamente come fanno solamente e opere d’arte veramente straordinarie.

Per concludere rinfrescandosi, la gelateria, con una nuova stelletta per il made in Italy mangereccio: il chocolate italiano.

Riccardo Farchioni

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