Natale al profumo di noci. Panettone e cavallucci!

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di Maria Pelletti e Paolo Rossi

L’anno scorso, impastando i nostri lieviti madre tra Milano e Pietrasanta, ci siamo dedicati a uno “slalom parallelo” incentrato sul Panettone. Anche quest’anno volevamo dedicare al Natale una preparazione, ma cosa? È stata la Maria a scrivermi per prima: -Paolo, che si fa quest’anno?

A forza di pensare, una parola della Maria ha acceso una lampadina: -Potrei fare una torta di noci garfagnina, oppure i cavallucci…

Ecco! Facciamo un Natale al profumo di noci. Un frutto strepitoso, da un albero splendido.

Mio nonno da giovane aveva piantato un noce nel suo campo, e all’ombra del noce lo ricordo, già vecchio, appoggiare la vanga e bersi un sorso d’acqua. È un albero che mi sveglia un sacco di ricordi, e immagino anche per Maria, e per tantissime persone che hanno vissuto in campagna. La noce dà sensazione di calore, di intimità. Il suo crocchiare quando si apre, il suo profumo caldo e inconfondibile, fanno subito allegria, ricordano tempi felici. Nella calza della Befana degli anni poveri del Dopoguerra, i bambini trovavano un arancio, un po’ di caramelle e qualche noce. Niente di più, ma bastava a fare festa. Bisognerebbe fare un monumento alla noce, anzi, bisognerebbe piantarne di più.

È vero, non si può campare coltivando noci; in California sono più competitivi. Ma se un giorno passasse questa sbornia e si tornasse ad apprezzare le cose per quel che valgono, e non per quel che costano? Per quel che profumano, e non per quel che urlano? Sia l’augurio per un caldo Natale, al profumo di noci.

Milano
Se l’anno scorso c’è stato il panettone, quest’anno il mio lievito madre cosa potrà far lievitare? Dopo aver parlato con la Maria, decido di fare una variazione sul tema dell’anno scorso: il panettone alle noci. Decido di ripescare la ricetta del panettone dell’anno scorso, ma di aggiungere un tocco rustico: farò una glassa di noci per guarnire il panettone, e un po’ di noci tritate le aggiungerò all’impasto. Parto quindi con l’impasto classico del panettone (farina forte, lievito madre, zucchero, burro, tuorli d’uovo, sale, un po’ di vaniglia) e poi metto il tutto a lievitare in una “cella di lievitazione” che più artigianale non si può: cinque assi dell’Ikea e una lanterna a candela (Ikea pure quella) mi consentono di tenere la pasta in lievitazione a 25 gradi spaccati, ottima temperatura.

Al mattino, secondo impasto, e preparazione delle pezzature per gli stampi. Scelgo uno stampo largo e basso per il panettone alle noci: ci sarà così più spazio per la glassa. Ecco quindi che per tritare le noci, rispolvero un vecchio attrezzo di cucina, un tritacarne (di quelli pesanti, all’inglese), e macino (per un panettone da un chilo) due etti di noci. Un etto lo mescolo all’impasto, all’ultimo momento, quando aggiungo anche l’uvetta e i canditi (a proposito: a Milano si dice: l’uvetta sono i soldi, l’arancio è l’amore, il cedro è l’eternità). L’altro etto lo userò a fine lievitazione, per fare la glassa. Dopo avere impastato, faccio le varie pezzature da mettere nei pirottini, e poi metto tutto a lievitare. La lievitazione è lunga, lunghissima, e costringe a continui controlli per verificare il livello dell’impasto. Quando tutto sembra pronto, preparo la glassa: un etto di noci macinate, un etto di zucchero a velo e bianco d’uovo quanto basta per fare un composto fluido ma non liquido. Spalmo la glassa e via, in forno!

A fine cottura (circa un’ora a 180°) infilzo con gli spiedini di legno e faccio raffreddare capovolto, per non far afflosciare il tutto. Ecco qua, un panettone che non è panettone, ma che profuma il natale di noci!

Per la ricetta, bisogna riferirsi a quella del panettone, aggiungendo le noci tritate come indicato sopra.

Pietrasanta

Bella ricetta Paolo, a cui replico coi cavallucci. Un dolce antico, un dolce che oggi potrebbe sembrare ricco e certo è anche relativamente costoso con tutta quella frutta secca, ma che una volta era invece il parco frutto di quello che si trovava in casa: noci e mandorle raccolte a suo tempo dagli alberi dell’aia, farina che mai mancava, un po’ di prezioso zucchero e le bucce degli agrumi che rallegravano di colori la spoglia campagna dell’inverno. Spezie infine, le spezie miste che in ogni drogheria si trovavano in grossi vasi di vetro.

Per i cavallucci dobbiamo però andare da una nostra amica, dalla “zia nenè” come la chiamavano i miei figli e ora la chiamano i miei nipoti, originaria di Sansepolcro, in provincia di Arezzo, da dove proviene la sua ricetta, ricetta di famiglia. E la zia nenè non serve solo per la ricetta ma anche per la manualità e l’energia necessarie a preparare questo dolce semplice a dirsi ma non altrettanto a farsi. Un dolce dalla laboriosa preparazione ma dal veloce epilogo quando, una volta misceltati tutti gli ingredienti, bisogna correre a modellare i cavallucci prima che lo zucchero fuso si raffreddi e solidifichi troppo.

Ma procediamo con ordine, partendo dalla preparazione del trito di bucce di agrumi (limoni, aranci, mandarini) da mescolare con noci sgusciate e mandorle con la buccia. Mentre procediamo a questa preparazione, sul fuoco abbiamo messo zucchero e acqua, che vanno portati a bollore e mantenuti in questo stato per qualche minuto, in modo che si formi una soluzione relativamente densa. In una zuppiera abbiamo poi mescolato la frutta secca, gli agrumi e le spezie miste (chiodi di garofano, cannella, pepe…) e infine gettato tutto questo nello sciroppo di zucchero, rigirando lentamente, e attendendo che la miscela riprendesse il bollore.

Nel frattempo avevamo preparato una ampia fontana di farina, dove va versato a poco a poco il composto bollente (e qui essere in due facilita il compito!) rigirando rapidamente con una mestola in modo da formare l’impasto. Appena questo ha raggiunto una consistenza e una temperatura tali da poter essere lavorato a mano, abbiamo aggiunto come agente lievitante il carbonato d’ammonio (l’ammoniaca come dicevano i vecchi, e a ragione, come capirete dall’acre odore che si sprigiona). Siamo poi passati a impastare a mano, con forza, in modo da amalgamare il tutto il più possibile prima che la temperatura scendesse troppo.

E poi via, sempre di corsa, formando dei rotoli di pasta del diametro di circa 4-5 cm che subito abbiamo affettato in dischi di circa 1,5 cm di spessore. Questi, appena tagliati, vanno schiacciati con le dita nella direzione perpendicolare al taglio, ottenendo una forma ovale irregolare. Messi da parte i pezzetti così ottenuti, abbiamo continuato senza indugio ad affettare e schiacciare, affettare e schiacciare…

Nel frattempo il forno era ben caldo, sui 200 gradi, e mentre terminavamo la preparazione dei piccoli panetti, la zia nenè aveva infornato la prima teglia, e già il profumo riempiva la cucina, un misto acre e dolce di ammoniaca, spezie, agrumi… dieci, quindici minuti, e i cavallucci sono pronti, e non vi fate imbrogliare sentendoli morbidi che quasi sembrano crudi, è lo zucchero di nuovo fuso dal calore del forno, basterà farli raffreddare un po’ per gustarli già buonissimi, anche se la loro morte sarà più tardi, a fine pasto, con un bel bicchiere di vino, inderogabilmente rosso!

La zia nené non ha ricette, l’occhio è la sua bilancia, e così non possiamo essere troppo precisi, ma più o meno questo è quanto siamo riusciti a strapparle: per lo sciroppo 1 chilo di zucchero e un bicchiere di acqua, 1 chilo tra mandorle con la buccia, noci sgusciate e bucce di agrumi tritate, spezie quanto basta, 15 grammi di carbonato di ammonio, 1 chilo e mezzo di farina.

Buon Natale!
Maria e Paolo

Non solo per la ricetta dei cavallucci, ma anche per la mano energica e volitiva che li ha impastati, si ringrazia Vera “Nenè” Piccinelli.

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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