Veneroso da Pisa. La verticale del venticinquennale

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Veneroso è uno dei vini-testimone, forse il vino-testimone, di un passaggio epocale per il suo territorio. Un passaggio epocale che ha reindirizzato pian piano, ma inesorabilmente, il modo di concepire il vino in campagna e in cantina anche lì, nella profonda provincia pisana, dove i cambiamenti fanno fatica ad essere digeriti ed avvengono tuttora con proverbiale ritardo (a volte salvifico, a volte no).  Veneroso è un testimone del passaggio fra una viticoltura “ingenua” e una viticoltura “ragionata”. Veneroso è stato stimolo e presa di coscienza. Per il produttore, certo, che ha investito risorse ed energie per realizzare un vino che fosse distintivo, ma anche per un territorio intero, che ha cominciato quantomeno a guardarsi attorno. Per molti anni, da quando la sua storia ha avuto inizio (prima vendemmia 1985), è stato uno dei pochi portabandiera pisani in odor di qualità. Veneroso, per coloro che non lo sapessero, è il vino-culto della Tenuta di Ghizzano, di proprietà della famiglia Venerosi Pesciolini da “appena” sette secoli.

Certo che qui, nelle colline pisane, non esisteva, né esiste tuttora, una denominazione di origine forte e blasonata (la viticoltura, pur tradizionalmente praticata, si mischiava bellamente in un contesto di forte e salutare promiscuità) per cui sia gli indirizzi stilistici che gli aspetti costitutivi dei vini del corso nuovo hanno seguito strade per così dire “personalizzate”, assai dissimili da azienda ad azienda, dimenticandosi in fretta dei canoni costitutivi della doc Chianti colline pisane, foriera perlopiù di vini senza pretese. Ciò che molti anni dopo ha di nuovo portato la categoria dei produttori, divenuta nel frattempo più nutrita ed agguerrita, ad interrogarsi su unità di intenti, peculiarità, terroir… insomma, a chiedersi se potesse essere individuato un fil rouge che sancisse l’appartenenza a un determinato territorio o se si dovesse continuare a parlare di un bel mosaico di stili, ambizioni e vitigni da incanalare secondo estro e potenzialità locali.

E se da parte mia continuo a propendere per la seconda ipotesi, è anche vero che quella campagna è terra bellissima, dove gli spazi e i silenzi ti parlano di cose buone. Ed è così che lo studio attento delle condizioni pedoclimatiche e dei terreni (non mi stanco di ripetere che la Toscana da questo punto di vista costituisce un vero e proprio laboratorio a cielo aperto) ha giocato il suo bel ruolo per decretare vizi e virtù di una  produzione vinicola. O meglio, per decretarne l’eventuale unicità. A Ghizzano per esempio, quando fu decisa la svolta del Veneroso, ci si è indirizzati su una commistione fra uve radicate, leggi sangiovese, e uve alloctone, leggi cabernet sauvignon, con un primo periodo (anni ’80) in cui il duopolio è stato integrato dalla malvasia nera, con gli anni ’90 più votati alla causa del merlot (che ha sostituito la malvasia nera nell’uvaggio) e con gli anni 2000 in cui il vino si è riaffermato quale uvaggio di sangiovese e cabernet sauvignon. Su queste combinazioni di uve hanno avuto una influenza significativa l’esperienza in campagna e la conoscenza sempre più puntuale dei vari appezzamenti, nonché i consistenti reimpianti succedutisi negli anni. In cantina, nel frattempo, affidamento delle sorti “affinatorie” alle barrique, ieri come oggi. Consulenze enologiche “di grido” hanno fatto il resto. Last but not least, la svolta naturale a partir dal 2003, con l’accoglimento dei dettami steineriani e della biodinamica e un ripensamento assai profondo del mestiere tutto, che non ha mancato di riflettersi sullo stile dei vini. Su tutto questo, scelte e direzioni, pesa bellamente (quantomeno da metà anni ’90 in poi) la figura di una instancabile quanto affascinante donna del vino, vera e propria protagonista, assieme ai vini stessi, di questa storia campagnola: Ginevra Venerosi Pesciolini, per gli amici “la” Ginevra.

Ecco che la preziosa recente verticale “del venticinquennale” organizzata dalla provincia di Pisa in compagnia proprio di Ginevra, ci ha fatto scoprire tante cose simpatiche. Per esempio ci ha raccontato della forza del terroir, dal momento in cui proprio i vini degli esordi, i vini della “innocenza”, si sono rivelati di una interiorità straordinaria, cavalcando dignitosamente le insidie del tempo e proponendosi gagliardi sulle rotte di una felice evoluzione prodiga di dettagli e di sfumature. I vini degli anni ’90 hanno il conforto di una enologia senza dubbio curata, a discapito forse della profilatura (in quei vini più volume e pienezza) e della integrazione tannica (a volte non ineccepibile), per cambiare registro a partire dal 2004, dove la fragranza, la naturalezza e la nonchalance di Veneroso lasciano davvero il segno, traducendosi in bicchieri gustosi e frementi, garbati e contrastati, di sincera espressività, dal frutto più integro e ” senza costrizioni”. Il tutto senza dimenticarsi affatto delle fondamenta eleganti tipiche dell’etichetta. Non so, sarà la suggestione di una terra che sta tornando a respirare, ma da qui in poi vedo un futuro tutto nuovo. Insomma, auguri e gloria al Veneroso che verrà!

Veneroso 1985

Struggente affresco aromatico in odor di Toscana: sottobosco, bacca selvatica, goudron, chicco di caffè, foglie secche; gran bilanciamento delle parti per un vino flemmatico e compiuto. Ci stanno sapidità e tensione. E una indefessa mineralità che cerca e trova l’affondo. Il sorso si fa appagante.

Veneroso 1988

Garbo, brillantezza, VITA per un vino indimenticabile e di razza. Profuma di fiori appassiti, funghi e agrumi. Carezzevole e felpato, al palato è come un “soffio”, guizzante e balsamico, che scuote e conforta. Non lo dimentichi.

Veneroso 1995

Dietro quel color melanzana cupo un profilo aromatico “scuro” e viscerale,  compatto se non compresso, in cui i toni della liquirizia, delle erbe amare e del cioccolato reclamano la scena. Tenace, tonico e corposo, mostra più volume e rotondità che non snellezza e dinamismo. Ma si fa rispettare.

Veneroso 1996

Un naso poco espansivo, soffuso di pietra e terra, fa da pendant a una bocca reticente, dai tannini irsuti e poco accomodanti. Un’acidità un poco scomposta non gioca a favor di armonia. Da una annata che in  Toscana non è stata un granché, il Veneroso più “debole” della giornata.

Veneroso 1999

Alcolico e potente, generoso ed “abbracciante”, non va certo per il sottile. Qualche verzura poco trattenuta, con gli umori di cuoio e sottosella, ne rendono il tratto viscerale sì, ma altrettanto selvatico e irruento. La materia c’è, la grinta pure. Mi mancano semmai, oggi che lo bevo, il dettaglio e la profilatura.

Veneroso 2000

Quel naso “si ferma” al punto esatto in cui la vegetalità del tratto aromatico sfuma nella balsamicità. E resta lì, come sospeso, senza troppa voglia di cambiar registri e intonazioni. Al palato non gli fan difetto grinta e solidità,  ma i tannini leggermente “denudati” e l’esubero alcolico ne turbano gli equilibri.

Veneroso 2001

Reticente ai profumi, sottende senza dichiararsi apertamente, eppure senti che ha cose da dire. Così ti fermi ad ascoltare. Compattezza, energia (ancora parzialmente implosa), frutto piccante e maturo, solidità; ancora da sdilinquirsi nell’eloquio ma di fiera dignità e compattezza. Ha futuro.

Veneroso 2003

Profumi “larghi” e accondiscendenti: cocco, balsami e frutto (più) maturo. Abbraccio generoso, caldo e pacioso. E’ figlio legittimo dell’annata, che rispetta appieno senza infingimenti.  Per questo è vino da rispettare.

Veneroso 2004

Bella speziatura, lato fumé intrigante, tonicità del frutto e bilanciamento. Ottima naturalezza, fragranza, croccantezza. Proprio gustoso da masticare, ché porta in sé e con sé ricordi d’uva.

Veneroso 2005

Nota vegetale ben integrata, che vira sul balsamico e dà respiro ai profumi. Vivacità tannica, piacevolezza innata e sottilmente amaricante, freschezza da vendere: insomma, si beve proprio bene.

Foto: facciata della villa a Ghizzano; Ginevra (estratta dal sito www.costadeivini.com)

FERNANDO PARDINI

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