L’oro di Navelli… lo zafferano!

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L’Abruzzo è un giacimento di prelibatezze enogastronomiche come poche altri luoghi in Italia. Eppure è stato necessario un evento devastante come il terremoto dell’Aquila per dargli (magra consolazione!) una maggiore visibilità mediatica. Sono legato a questa terra da un amore viscerale, e nel dover scegliere un prodotto tipico e rappresentativo davvero ho l’imbarazzo della scelta. Per iniziare, allora, ne ho scelto uno dei più rari e preziosi: lo zafferano.

La piana di Navelli è un posto bellissimo, quasi magico. Ci si arriva in meno di mezz’ora dall’Aquila o da Sulmona, a seconda che si provenga dall’autostrada Roma-L’Aquila o dalla Roma-Pescara. Qui, al tramonto, la luce che si rispecchia sui monti circostanti sembra assumere un particolare riflesso, che del prezioso fiore ricorda il colore violaceo. Borghi intatti (che il terremoto ha messo a dura prova ma che fieramente hanno resistito), chiese, abbazie, castelli, rocche abbarbicate sulla roccia, come se dalla montagna stessa fossero state partorite. Un luogo autentico, lontano dai circuiti del turismo di massa … e questa è la sua tragedia (perché campare onorevolmente in questi luoghi è dura e ci vuole molta “vocazione”) ma anche la sua fortuna (perché ne ha preservato lo spirito e la natura).

L’altopiano si estende per circa 10 ettari: qui lo zafferano è coltivato da secoli, in geometrici campi a filari che in ottobre e novembre si tingono di viola. È infatti dal 1300 che il crocus sativus (questo è il nome scientifico) abita queste terre, dove arrivò dalla lontana Spagna, ai tempi di Filippo II, quando il padre domenicano Santucci, natìo di Navelli, tornò nel paese d’origine portando con se i preziosi bulbi (portati in terra spagnola dai conquistatori arabi). Qui il fiore trovo un microclima e un terroir capace di esaltarne al massimo le qualità organolettiche, e ben presto iniziò ad essere venduto e apprezzato in tutta Italia. Nel XV secolo Venezia e Milano erano i mercati principali (non a caso infatti lo zafferano è ancor oggi l’ingrediente base del risotto alla milanese) dove, oltre che come ingrediente in cucina, era usato nell’industria profumiera, come preparato medicamentoso, o per le sue proprietà coloranti nella preparazione di dolci, liquori, e tinte per pittura.

A Navelli ho incontrato Alfonso Papaoli, uno dei pochi giovani produttori del luogo, che mi ha raccontato di tutta la passione e la fatica necessaria alla coltivazione del prezioso bulbo. “La mia famiglia coltiva queste terre da più di 100 anni” – mi racconta nel mini-laboratorio di produzione della sua azienda agricola. “Mio padre e mio nonno prima di lui hanno dedicato tutta la loro vita a questi campi, ed io ho ereditato la loro stessa passione. Senza passione non potresti fare questo lavoro massacrante. La coltivazione, infatti, è rimasta la stessa di 100 anni fa: tutta a mano, un fiore alla volta, a spezzarsi la schiena per 15 giorni la mattina all’alba, prima che il sole faccia aprire le corolle. Il terreno su cui mettiamo a dimora lo zafferano resta “a riposo” (cioè senza alcuna coltivazione) per tutto l’anno precedente la raccolta, mentre i bulbi passano nello stesso terreno seguendo una rotazione di 10 anni, così come insegnavano le antiche tradizioni contadine di queste parti. […] Una volta raccolti i fiori, bisogna togliere gli stimmi da essiccare: ancora a mano, intorno a un grande tavolo, accompagnando questo lungo e paziente lavoro con le chiacchiere delle donne del paese e le risate dei più giovani. Gli stimmi, posti in un setaccio, vengono poi passati al fuoco ad una distanza di circa 50 cm. Quando questi, presi fra le dita, si sgretolano, lo zafferano è finalmente pronto. Per la commercializzazione di può ridurre in polvere e mettere in busta, oppure, come preferiamo fare noi, lasciare i pistilli interi dentro piccoli vasetti di vetro, in modo da preservare al meglio le proprietà organolettiche e l’intensità del colore”.

Per fare un chilo di prodotto occorrono 200000 fiori (!) e circa 500 ore di lavoro, ed è per questo che in tutta la piana si raggiungono a malapena i 40 chili l’anno. Ma non è un problema di scarsità produttiva, mi spiega Alfonso, quanto di manodopera qualificata: “L’altopiano avrebbe le potenzialità per produrre molto più zafferano, ma il problema è trovare chi te lo raccoglie! Il raccoglitore di zafferano, infatti, non può essere improvvisato: ha bisogno di esperienza, maestria, sensibilità…Di anno in anno devi investire nella formazione di personale qualificato senza però alcuna garanzia, perché il giovane si stufa facilmente e l’extracomunitario è spesso di passaggio e non sai mai se l’anno dopo ci sarà ancora. E quindi alla fine siamo costretti a produrre molto meno di quello che il mercato ci chiede. Pensi che qualche tempo fa mi ha chiamato il proprietario di una famosa catena di alberghi e ristoranti in Arabia Saudita che, dopo aver assaggiato il mio zafferano se ne è innamorato. Mi ha detto che ne voleva 10 chili al mese…ma se tutta la piana non arriva a 50 chili l’anno secondo lei cosa ho dovuto rispondergli?

Dopo aver incoraggiato Alfonso a tener duro, con un pizzico di sana invidia per l’entusiasmo e la passione con cui mi ha parlato dei suoi fiori, torno in macchina, e riprendendo la strada per Roma non posso non chiedermi perplesso: “Ma allora tutto lo zafferano che si trova in giro e che spacciano per originale dell’Aquila da dove viene?” Lascio a voi l’ardua risposta…

Azienda Agricola Papaoli Alfonso
Via Spiagge Piccole, 2
67020 – Navelli (AQ)
www.papaolizafferano.com

Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila
Via Risorgimento, 3, Civitaretenga
67020 Navelli (AQ)
www.zafferanodop.it

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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