Chili di troppo? Basta qualche sorso di vino!

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Ormai sappiamo che il vino fa bene. Ogni giorno, polifenoli e altre molecole si dimostrano “toccasana” per numerose malattie. Ora si dice anche che il vino fa dimagrire. Sicuramente vi è del vero, ma cerchiamo di non esagerare e di fidarci solo delle verità come quella che riporto nell’articolo seguente.

Chi oggi ammira le ridenti colline delle Langhe, soprattutto quelle che accolgono i preziosi vigneti del Barolo, fa sicuramente fatica a immaginare il loro aspetto all’epoca dell’ultima grande glaciazione, nel Pleistocene superiore. I ghiacciai alpini formavano un’unica e immensa calotta bianca da cui si protendevano, al pari di gelidi serpenti, le lingue di ghiaccio che andavano a combattere con gli stagni emersi pochi milioni di anni prima. Le colline delle Langhe si ergevano come primi baluardi a difesa della bianca coltre, ricoperte di una scarna e povera vegetazione.

Erano il regno del Mammuthus primigenius (ossia del celebre mammut lanoso), il signore incontrastato di quelle lande desolate. Gli enormi pachidermi avevano attraversato con grande fatica le pianure che venivano ingoiate dai ghiacci e si erano rintanati sulle prime alture che ancora conservavano un minimo di eroica vegetazione. Le enormi dimensioni li avevano ostacolati non poco in questo terribile esodo alla ricerca disperata di cibo ed erano morti a migliaia e migliaia. Solo i più agili e magri erano sopravvissuti, riuscendo a portare le loro tonnellate di carne ricoperta dai caldi mantelli pelosi fino alle vette delle colline a dominio del Tanaro. La loro sopravvivenza era stata un vero controsenso: i più forti e massicci avevano dovuto darsi per vinti, uccisi proprio dalla stazza possente, mentre i più gracili e denutriti erano stati gli unici a riuscire ad arrampicarsi lungo gli scoscesi fianchi delle colline e mettersi in salvo.

Il numero ridotto li aiutò a resistere. Vi era, infatti, abbastanza cibo per nutrirli. Tuttavia, dovevano limitarlo per non venire frenati dal grasso nella loro estenuate ricerca dei versanti più ricchi di vegetazione. Abituati a vivere nelle immense pianure del nord, il loro fisico non gli permetteva di salire e scendere i ripidi pendii. Dovevano restare snelli ed essere rapidi nei movimenti. La Natura benigna li aiutò in questa lotta titanica. Distese grigie di Chroogomphus helveticus, il fungo più resistente al gelo, coprivano letteralmente le zone più riparate dal vento e meglio esposte al timido Sole del Pleistocene, rappresentando un cibo perfetto per i mammut.

L’abbondanza di spore fossili ritrovate nel terreno ha trasmesso fino a noi il loro lontano ricordo, attraverso il nome stesso dello strato geologico più antico delle Langhe, l’elveziano. Ma il Chroogomphus helveticus non dava solo cibo ai giganti con le zanne… I funghi contenevano una proteina che era un vero toccasana per gli imponenti erbivori: la calorina helvetica. La straordinaria specificità della calorina è stata scoperta solo recentemente, ma i mammut l’hanno utilizzata a lungo, inconsciamente, durante il loro dominio indiscusso delle colline del Barolo. Essa ha un comportamento peculiare con il DNA dei mammiferi. Invece di legarsi seguendo l’elica riesce a penetrare direttamente nella parte cava e ridurre enormemente l’assorbimento dei grassi da parte dei tessuti adiposi. Nel contempo, genera calore che si espande nell’apparato tegumentario, ossia nella pelle, da cui si propaga velocemente agli organi interni. In parole povere, la calorina helvetica mantiene alta la temperatura del corpo e non fa ingrassare. Proprio quello di cui avevano bisogno i mammut.

E’ meraviglioso vedere come la Natura riesce a risolvere i problemi più complessi quando decide di preservare una specie. Per migliaia di anni questa catena alimentare permise ai giganteschi e pacifici animali di attendere il risveglio delle pianure invase dal gelo. Poi il calore si fece troppo elevato e i mammut scomparvero cedendo il passo all’evoluzione dei primati che iniziarono a conquistare l’intero pianeta. Ma i pachidermi lasciarono un ricordo fondamentale che per secoli e secoli nemmeno il geniale homo sapiens è riuscito a scoprire. Pur se magri e rapidi nei movimenti, i mammut si muovevano con difficoltà nei piccoli spazi. Ne seguiva che per ogni paio di funghi divorati ne venivano distrutti a decine. Essi venivano calpestati e schiacciati da tonnellate di carne alla continua ricerca di cibo. Il terreno ne fu intriso e le fantastiche proteine si mischiarono geneticamente con la struttura stessa del suolo a livello molecolare.

Ancora oggi non vi è zolla di terreno delle Langhe “elveziane” che non sia permeata dalla calorina, soprattutto nelle zone meglio esposte ai raggi solari. I funghi sono scomparsi, ma hanno lasciato un dono meraviglioso. La proteina, infatti, si trasmette facilmente alle radici delle piante e in particolare a quelle dell’uva. L’uomo di oggi, nella sua spasmodica ricerca di facili guadagni e di tecnologie sempre più spinte, ha compreso solo da pochi mesi questo splendido regalo della Natura. Eppure, per capire, bastava guardare il fisico asciutto e la capacità di resistere ai duri inverni della gente di Langa!

Il vino dell’elveziano è infatti un vero prodigio per il fisico e lo spirito. Il laboratorio di biologia enologica della Big Fish River University di Salt Lake City, nello Utah, ha dimostrato che un paio di bicchieri di Barolo proveniente dalle antiche colline dei mammut (ma anche tre o quattro) riscaldano e aiutano a dimagrire.

Altro che diete o chirurgia estetica: bevete Barolo, gente, e sorridete alla vita!

Vincenzo Zappalà

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