L’agribusiness e la guerra del potassio

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Chi si occupa di agroalimentare e di enogastronomia non può non essere attratto ed interessato alle mille problematiche legate alla purezza, alla sanità dei prodotti della terra, al rispetto che si deve ad essa come unica fonte del nostro sostentamento. Si cercano le quadrature del cerchio fra massima limitazione della chimica, minimizzazione dell’impatto ambientale in termini di emissioni di anidride carbonica e modifiche del paesaggio, salvaguardia dell’aspetto culturale del cibo inteso come prosecuzione di metodi che garantiscono un richiamo alle radici e alle tradizioni, quindi anche di tecniche di trasformazione, elaborazione e conservazione che hanno come risultato il prodotto tipico o più semplicemente il buon ortaggio. Tutto questo viene associato spesso ad una dimensione ridotta del soggetto produttivo: la cura di tutti, o anche uno solo degli aspetti sopra menzionati può avvenire solo con un controllo umano, manuale, personale. Insomma, si finisce inevitabilmente e comprensibilmente attratti dal “piccolo è bello”; non solo dalla nicchia, beninteso, ma comunque dall’alimento selezionato, cesellato nella sua origine e nella sua fattura.

Ma un osservatore pur distratto da queste piacevolissime realtà non può e non deve trascurare i sordi, lontani, ma ben distinguibili segnali di una realtà “macro” che si muove e che prepara scenari che conviene seguire perché, si potrebbe dire con un po’ di enfasi, da essi si colgono i movimenti della storia. Seminascoste dal torpore ferragostano, il 17 agosto le maggiori agenzie internazionali (Bloomberg, Reuters) affiancate dalle edizioni online dei quotidiani economici (Financial Times), fanno uscire una notizia che suona così: “Canada’s Potash Corp. rejected a $39 billion preliminary offer by the mining company BHP Billiton, describing the $130 a share cash offer as “grossly inadequate””. Se ne accorgono presto anche i giornali italiani con ampi servizi su Repubblica e il Sole 24 Ore (19 agosto) e La Stampa (20 agosto). In pratica la Potash Corp., grande impresa anglo-australiana che già possiede proprie miniere, decide che è il momento di investire pesantemente nel potassio e spalleggiata da una cordata di banche internazionale lancia un’offerta pubblica di acquisto alla BHP Billiton, la più grande compagnia mondiale di estrazione mineraria che vive un momento di difficoltà, lusingando i suoi azionisti con offerte remunerative. Come si vede, la reazione all’offerta di 38 miliardi di dollari è stata oggetto di uno sdegnato rifiuto. Quello che ne è seguito è stato un empasse per uscire dal quale sta scendendo in questi giorni in campo il governo cinese in persona, per una eventuale partecipazione diretta all’acquisto.

Cosa c’è dietro? “Potash” (traduciamolo con potassa) è un nome unico con cui si indicano composti quali cloruro, solfato e nitruro di potassio, elemento chimico che è fra i tre principali nutrienti per la piante oltre all’azoto ed al fosforo. Solo dodici paesi al mondo producono potassa; Canada, Russia, Bielorussia e Germania coprono oltre l’80% del bisogno mondiale e da sola la BHP Billiton ne estrae il 20%. Insomma, mentre da una parte si seguono convegni, movimenti di idee su come trattare meglio la terra, dall’altra c’è chi pensa alle forti oscillazioni di prezzi delle materie prime dovute agli eventi climatici e alle speculazioni, ai timori di carestie, ma soprattutto alla richiesta di cibo dei popolosissimi ed affamati paesi emergenti e pensa che avere dalla terra di più con buoni fertilizzanti sarà un affare enorme, uno dei più grandi dei prossimi tempi, e sta schierando gli eserciti per vincere la “guerra del potassio”. Più ortaggi e più grandi, più foraggio per gli allevamenti, più carne, ma anche più cereali per la birra. La terra andrà sfruttata alla grande, è questo il verbo del cosiddetto Agribusiness, un business già ben presente all’orizzonte.

È chiaro che una realtà, la piccola, non esclude l’altra; continueranno ad esistere entrambe con i rispettivi ambiti di osservazione e studio. E sarà bene, amandone una, seguire attentamente l’altra.

Le immagini sono tratte da www.economist.com

Riccardo Farchioni

2 COMMENTS

  1. L’articolo di Riccardo chiama in causa anche le competenze dell’agronomo alle quali non mi sottraggo.
    Debbo precisare che come ordine di grandezza la disponibilità del potassio nella crosta terrestre non è cosi bassa dato che il 2,4 % di essa è costituita di potassio. Esso è anche un elemento più legato alla qualità dei prodotti che alla quantità ( alla quale contribuisce molto di più l’azoto) e bisogna anche dire che, data la relativa disponibilità in quasi tutti i suoli ( ad esclusione dei sabbiosi e torbosi ) una buona gestione delle lavorazioni e delle consociazioni o avvicendamenti colturali migliora molto la sua disponibilità. Esso però ha anche molti altri usi non agricoli e anche per essi vale il ragionamento proposto da Riccardo , eccone alcuni usi

    Il nitrato di potassio si usa per fare la polvere da sparo.
    Il carbonato di potassio si usa nella fabbricazione del vetro e il sapone.
    NaK, una lega di sodio e potassio è usata come mezzo di trasporto del calore.
    Nelle cellule animali gli ioni potassio sono di importanza vitale.
    Il cloruro di potassio è usato per produrre sale da tavola a basso tenore di sodio; è anche usato per fermare il cuore, sia nella cardiochirurgia che nelle esecuzioni capitali attraverso iniezione letale.
    Il canrenoato di potassio si usa in medicina per scopi diuretici o antiandrogeni.
    Molti sali di potassio trovano applicazioni: negli acciai, nella concia delle pelli, nella chimica dei polimeri ecc.

  2. Grazie Lamberto per il commento, mi conforta che il potassio sia un fertilizzante che aiuta la qualità più che la quantità. La cosa che ha attirato la mia attenzione, ovviamente dopo quella di autorevolissimi osservatori in giro per il mondo, è la battaglia (non ancora conclsa) per il controllo, in un colpo solo, del 20% della produzione mondiale di potassa. E visto quello che sta succedendo con le quotazioni della materie prime alimentari sembra veramente un buon investimento.

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