Il Museo del vino di Berchidda

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Berchidda, cuore della Gallura interna, Sardegna. Terra antichissima, tanto da mostrarsi levigata come nessun’altra in Italia, di là dal Tirreno. Valli ampie, secche, erose, una geologia lentissima, in un’isola dove tanta è la differenza col Continente che qui non ci sono i terremoti. E nemmeno le vipere. Solo la durezza del granito resiste al disfacimento dei millenni e qui innalza alture, dirupi scoscesi, e un monte splendido, il Limbara, gigante di granito grigio esposto ai venti di terra e di mare. Berchidda, versante sud del monte Limbara. In estate, di giorno si crepa di caldo guardano la piana riarsa in basso, di notte scende dal monte un’aria fredda, da far gelare i turisti sprovveduti.
Berchidda ha due cose per esser famosa anche fuori dall’isola. Il jazz e il vermentino. Qui è nato e vive Paolo Fresu, trombettista, che per tributo alla sua terra organizza ogni estate Time in Jazz, festival musicale con tanti e tali appuntamenti da lasciare di stucco qualsiasi musicofilo. Concerti all’alba davanti a pievi di campagna, giganti del jazz che suonano in caseifici, la piazza di un paese trasformata in un auditorium spettacolare. E poi Berchidda ha il vermentino, quello DOCG di Gallura. È infatti una delle città del vermentino, insieme a centri come Monti, Tempio Pausania, Oschiri, Arzachena e altre. Intorno all’abitato, nei declivi, si trova un bellissimo esempio di viticoltura: non una monocoltura a vite, ma vigne alternate a pascoli, oliveti, campi di grano, sugherete, bosco. Di certo il peso economico del vino da queste parti si fa sentire, sempre di più. Il regredire della pastorizia e della coltivazione del grano duro fanno sì che sempre più aziende agricole si orientino verso la coltivazione della vite, che qui vuol dire quasi sempre vermentino. Il viaggiatore che percorre la Olbia-Sassari, anno dopo anno nota in Gallura nuove vigne, nuove pianticelle a dimora, nuovi campi preparati con lo scasso. Il vermentino merita tutto questo fermento. La crescita qualitativa costante, la nuova consapevolezza che non è solo un vino piacevole e profumato, ma anche un vino potente, dalla mineralità straordinaria e dalla personalità unica e indissolubile dal suo terroir, lo rendono sempre più in vista tra i vini bianchi italiani di alta gamma.

Berchidda ha saputo prendere lo slancio da questa ondata di notorietà e ha investito anche sul turismo enogastronomico aprendo un Museo del vino nei pressi del centro abitato. Un museo ampio, luminoso, moderno, in splendida posizione panoramica. Un museo con tanti lati positivi, ma anche alcuni aspetti che lasciano chi lo visita con qualche interrogativo di troppo. Va detto: sconta, purtroppo, lentezze burocratiche tipicamente italiane; in origine gestito dalla Comunità montana, una volta che questa è stata abolita è passato sotto la direzione del comune di Berchidda, ma ha dovuto sopportare un periodo di chiusura di alcuni mesi, per le note “pratiche burocratiche”. Solo in agosto, grazie all’afflusso turistico suscitato da Time in Jazz è stato riaperto, ed ha ospitato concerti e degustazioni collegate alla manifestazione.

Molto vetro, molto cemento per questa struttura assai recente, incastonata nel declivio del monte; la terrazza è bella, e dà un affaccio spettacolare sulla Gallura interna, fino alla piana di Ozieri e al Monte Acuto. Peccato però per le erbacce o per le aiuole secche e piene di sterpi appena dietro le spalle dei visitatori. All’interno il museo è ampio e luminoso; il biglietto (3 euro) è più che equo, e dà diritto, oltre alla visita, a una degustazione di vino. Tra gli oggetti in mostra, gli strumenti classici della viticoltura passata, dai tempi più recenti fino ai romani e ai Fenici, che portarono la vite in Sardegna. Interessanti le anfore, i torchi, i vasi scavati nella pietra, così come i meccanismi (più recenti) per la fabbricazione dei tappi di sughero. La narrazione della storia inciampa però nella tecnologia; il museo è definito “interattivo”, “multimediale”. Ma dietro ai due o tre box multimediali c’è solo un accaldato computer, che fa girare un cd rom con effetti interattivi assai intermittenti. Il visitatore muove un po’ il mouse, legge un paio di schede, ad esempio sulle diverse tipologie di anfore, ma passa subito oltre, magari guardando direttamente l’anfora romana che ha davanti a sé, o preferendo i tradizionali ma più efficaci cartelloni stampati. Salvo poi imbattersi in una fila di televisori inscatolati in una bella struttura, purtroppo spenti. In ogni caso ci sono gli attrezzi agricoli ad attirare l’interesse, le presse, l’erpice da traino animale, la cisterna in rame per i trattamenti, il sughero… Insomma, di fronte alle cose tangibili non si sente il bisogno di questo tipo di interattività, che puntualmente s’inceppa o dà problemi di software.

Splendida la sala degustazioni. In una luminosa sala rotonda sono esposte un gran numero di bottiglie. Domina ovviamente il Vermentino di Gallura, ma sono presenti anche le altre denominazioni isolane, dal momento che questa struttura è anche enoteca regionale, e una rappresentanza di vermentini di altre regioni italiane.L’idea è in effetti ottima: fare di questo museo un punto di riferimento per un vitigno specifico, il vermentino, che dà esiti estremamente differenti a seconda dei terroir. Ma sedendosi per la degustazione si capisce purtroppo che le bottiglie esposte, nella stragrande maggioranza sono lì solo a titolo documentario. L’operatore che ci ha accolto, gentilissimo e preparato, sapeva raccontare bene il vino che presentava, ma poteva fare ben poco davanti alla mancanza di bottiglie in degustazione.Sarebbe stato molto interessante aver davanti diversi vermentini da diversi terroir della Gallura; mettere a confronto quelli del versante sud del Limbara (più caldo, con altitudini intorno ai 350 metri) con quelli del versante nord, in primis quelli di Tempio, più freschi e a quote intorno ai 500 metri. O quelli marini della zona di Arzachena.
Ma si tratta di un traguardo davvero facile da raggiungere, anche perché un’interpretazione moderna e dinamica di uno spazio museale è l’unica che possa far restare in vita una struttura di questo tipo. Il museo è all’altezza, e l’occasione è imperdibile. Abbandonando lentezze e localismi (e “interattività” poco funzionali), questa struttura può diventare un punto di riferimento nel Mediterraneo per il vitigno Vermentino, per raccontare le sue diverse espressioni nei differenti terroir: dal vermentino della Spagna, della Languedoc e della Provenza a quello del Ponente ligure, ai colli di Luni e Candia, al vermentino maremmano, a quello della vicina Corsica, alle sorprendenti variazioni tra i vermentini di Sardegna. Sarebbe un grande servizio per la Gallura stessa e per quella perla di paese che si chiama Berchidda.

Museo del vino, via Grazia Deledda, 151 Berchidda (OT)

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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