Loretta Fanella, la pittrice di dessert nascosta in provincia

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Esordisce con questa bella intervista ad un giovane e geniale talento della nostra gastronomia Chourmo, alias Michele Girlanda, chimico e studioso di cucina, con una particolare attenzione alle sue basi scientifiche

di Chourmo

PISA – La vedi e ti chiedi come fa quello scricciolo, timido e schivo, che si aggira quasi timoroso tra gli espositori della quinta edizione di Dolcemente Pisa, ad essere un gigante della pasticceria mondiale. Un colosso che a 29 anni è già stata chef pastry di Cracco, Adrià e Pinchiorri, ti appare davanti come un esserino minuto con i capelli di fieno e le mani da ragazzina. Quasi non permette nemmeno che glielo si dica ma, insieme al professor Davide Cassi, ricercatore e insegnante di Gastronomia Molecolare dell’Università di Parma, è la star del seminario-evento (con successivo laboratorio pomeridiano aperto allo stupore del pubblico) della rassegna che in autunno raduna le eccellenze dolciarie della Toscana.

Quando la presentano, con l’ammirazione che merita, si schernisce ma, a guardar bene tra i cinque relatori, anche il titolo della lezione è modellato su di lei. Lo scienziato e il pasticciere. Il pasticciere è lei salvo che per quell’il, rigorosamente al maschile, accidenti. Un viziaccio che l’ambiente della gastronomia non riesce a togliersi. Non che nell’altro campo, quello della scienza, le cose vadano meglio ma tant’è… La giornata la coinvolge, forse suo malgrado, in una discussione su cucina, scienza e modernità che degrada presto in una serie di risposte alla polemica beghinamente italiota sugli additivi nella cucina a cinque stelle. A Loretta giocoforza rivolgono le domande che vorrebbero fare a Adrià, e lei non si sottrae beninteso. Anzi risponde con lucidità, senza farsi tentare dalla difesa d’ufficio del genio catalano nè dallo scegliere una parte nella guerra di religione, un po’ farlocca, tra modernisti e tradizionalisti. Ma il ruolo, nonostante le fattezze minute, le sta stretto. Non è un’avvocata, e si vede.

Una specie di piccolo elfo venuto fuori da una fiaba, capace di stupire con i suoi dessert al piatto come la fatina di Cenerentola quando trasforma la zucca in carrozza, i topolini in splendidi cavalli bianchi e la talpa in un perfetto cocchiere in livrea, una così non si può imprigionare in un dibattito così accademico e razionale. E infatti quando sui banchi della cucina-laboratorio può finalmente mostrare le sue magie, tra fumi di azoto liquido, spume, gelati istantanei, sifoni, violette e criocioccolato, se si guarda in aria si ha quasi la sensazione di vedere le stelline della scia della bacchetta magica. Quando la dimostrazione finisce, a luci spente, torna Cenerentola e accetta pudicamente di parlare di se, del suo lavoro, della sua vita, dei suoi sogni.

E così scopri che la pasticceria è venuta quasi per caso. Da ragazzina alla cucina non ci pensava nemmeno, avrebbe voluto fare l’Istituto d’Arte ma era troppo lontano da casa e lei troppo giovane. A due passi c’era invece l’Alberghiero e la scelta è stata quasi casuale. Appena diplomata però, quasi per contrappasso, comincia un travolgente volo verso l’alto. Per un paio d’anni impara i primi segreti della pasticceria in Veneto e immediatamente dopo lo scricciolo spicca definitivamente il volo posandosi nientepopodimenoche da Carlo Cracco, chef anarcorigoroso e rigidamente creativo, che affida alle sue mani in un fiat la carta dei dolci. Al battito d’ali successivo vola sino ad impennarsi e arriva sul tetto del mondo, a El Bulli, a casa di sua maestà Ferran Adrià. La creatività come dogma, la ricerca continua di nuove dimensioni, nuovi stati della materia, la scomposizione-ricostruzione dei piatti, il movimento, le temperature, le consistenze, Loretta si cala perfettamente nella parte al punto che dopo poco è chef pastry. Identità Golose nel 2005 ne recensisce, in un volume che la accosta ai più grandi, un dessert che è più che magia, Il fondo del Mare. Un dipinto, acquarello su piatto, un capolavoro in 3D tra gelatine di camomille per le alghe, roccia di cioccolato bianco, caramello di noci di macadamia per la sabbia e cioccolato temperato per la stella marina poggiata sul fondale.

Ma Adrià non è ancora il nido definitivo. Vola ancora sino all’Enoteca Pinchiorri e anche lì, sotto Palazzo della Signoria a Firenze, i dolci sono il suo regno. Le affidano addirittura una stanza separata dal resto delle cucine, in modo da lavorare a temperatura controllata. La pasticceria è ciò che più in cucina si avvicina alla scienza pura, la precisione, il controllo delle condizioni di lavoro, temperatura, umidità dell’aria, sono essenziali per mantenere in vita le sue magie. Dopo Il fondo del Mare, nel 2008 presenta al pubblico di Identità Golose un’altra natura morta, Sottobosco, nella quale biscotti al cioccolato ridotti in polvere fanno da terriccio e foglie di the verde da muschio. Profuma di fiori, mirtilli, eucalipto e di rugiada. Consistenze, odori e freschezze mettono quasi in confusione.

Quando lascia Pinchiorri ti domandi che ramo sceglierà per posarsi di nuovo, ma Loretta improvvisamente sparisce. Se ne riscoprono le tracce nella vetrina della piccola pasticceria di un bar di Livorno. Le chiedi conferma incredulo e lei candidamente risponde Sì è vero, vivo a Livorno, col mio ragazzo che ha un bar in centro. Sì vabbè d’accordo e dove lavori? Intendi in quale ristorante? No, Da nessuna parte. Giro a fare delle consulenze per le carte dei dolci di ristoranti, qualche ciclo di lezioni in scuole di cucina, e poi niente, per adesso va bene così, aspetto un po’. Pensi che a pochi chilometri c’è forse la migliore pasticcera italiana e, a parte gli addetti ai lavori, non lo sa nessuno. Qualcosa non torna. A meno di non lavorare in centro a Livorno, non ci vai per caso al Caffè Mamà. Anche se le tracce di Loretta sono sfumate, non fosse per delle piccole gemme in vetrina accanto ai soliti cornetti, senza firma, sarebbe un bar come mille altri, vicino al Comune, da pausa pranzo e colazioni. Mentre confessi che qualche volta sei stato ad assaggiare quei piccoli gioielli quasi clandestini non puoi fare a meno di pensare a come si sono conosciuti. Oh ma te cosa fai? La pasticcera. Ah dè, io c’ho il bar! Ma è una vignetta da Vernacoliere di cui ti vergogni un po’ e non glielo dici.

Eppure, dopo aver parlato di lei inutilmente a tutti i livornesi che ti sono capitati a tiro negli ultimi due anni, non puoi non chiedere se non è un po’ delusa che la città non l’abbia in qualche modo accolta. No, non me lo aspettavo nemmeno, non c’è il mio nome per cui… Se non l’avessimo ascoltata per tutta la mattina si sarebbe portati a non crederle. Non è solo la fatina con la sua bacchetta magica capace di portare in vita un dessert. È anche una giovane donna di trent’anni con problemi reali, innamorata del suo ragazzo. Al punto che dopo Milano, Barcellona e Firenze non sembra nemmeno che Livorno le stia stretta. È forse soltanto un po’ scocciata di aver lavorato insieme ai grandi maestri ed essere raccontata come una di Cracco, di Adrià, di Pinchiorri e mai come se stessa.

Se provi a invidiarla per i posti dove ha lavorato, lei guarda un attimo nel vuoto, sembra riordinare i ricordi e quasi ti rimprovera. Credi che nelle cucine, anche quelle pluristellate sia un paradiso? A El Bulli lavorano 35/40 persone e ad essere pagate non sono più di otto. E anche per quelli lo stipendio è circa quello di un impiegato, forse meno. Gli altri lavorano gratis e la competizione è feroce. Ed è così un po’ dappertutto, non è un mondo di gentlemen quello delle cucine, anche quelle più prestigiose. È più vicino al torbido che all’etereo. È quasi l’inferno che racconta Bourdain nei suoi libri o gli insulti e la violenza verbale (e quasi fisica) scimmiottata in quel terribile reality, Hell’s Kitchen, in cui Gordon Ramsay dirige ferocemente dodici aspiranti cuochi.

È violento, molto maschile. È così maschile anche quello della cucina italiana? Evidentemente sì se quando lo chef è un uomo non si ricorda nemmeno il nome del ristorante, è sufficiente citare il cuoco famoso. Ma oltre che maschile in Italia è anche più dilettantistico, quantomeno se pensi ai carrozzoni televisivi che il mondo della cucina muove. Per una partecipazione a una puntata di una tv satellitare, anche se sei una chef di pasticceria di fama mondiale, devi lottare persino per ricevere un rimborso spese. Mentre magari poi ti chiamano per l’Abu Dhabi Gourmet Summit, un posto che diresti che con l’alta cucina non c’entra nulla, e sembrano professionisti navigati.

E ora Loretta? Un ristorante? Una pasticceria? Non so, in Italia mi sembra davvero difficile, forse all’estero, ci sto pensando. La fuga dei cervelli, un’altro punto tristemente in comune con la scienza. Per adesso ha radunato le sue magie in un librone, come le vere fate. Si chiama Oltre e nel titolo e nella copertina c’è già quasi tutto. Prima di lasciarla andare, anche se cerchi di resistere, la domanda più banale viene fuori quasi da sé e non puoi fare a meno di chiederle a cosa pensa quando ha voglia di un dolce. Dolci? Ah no, io mangio solo il salato.

Nella seconda immagine, Loretta Fanella al lavoro con Cecilia Iacobelli (Cioccolato De Bondt) e con Paul De Bondt nella realizzazione di un gelato con l’azoto liquido

Chourmo

1 COMMENT

  1. Bohia, domani di corsa al Mamà. Ma lei ci sarà? Ora che ho visto la sua foto tenterò di sbirciare dietro al bancone. Grazie per il bel ritratto che ne avete fatto!!

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