Viaggio nel Salento del vino, prima parte: Cantine Due Palme, Masseria Li Veli, Masseria Maime-Tormaresca

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Quello che scorre davanti agli occhi si fa presto ad impararlo. Un panorama pianeggiante sul quale si distendono reticoli di ulivi dalle grandi chiome sferiche che piantano le radici su una terra rossissima, in certe ore del giorno quasi abbagliante. Poi, non appena si sale un po’, si vede magari il mare sullo sfondo protetto, ancora, da ulivi, un vero e proprio manto di ulivi spesso centenari.

Quello che sta dietro è un po’ più difficile da inquadrare, da interpretare. Il Salento, e la Puglia stessa, sono terre ad alta vocazione agricola, terre benedette da risultati che solo venendo qui si possono comprendere appieno, provando i sapori e le consistenze di ortaggi sui quali si può basare quasi una intera identità gastronomica. C’è però la Puglia che perde vigneti, quella dei contadini anziani che coltivano le loro viti ad alberello ma che abbandonano senza che nessuno prenda il loro posto un mestiere troppo faticoso e spesso poco remunerativo. E c’è l’altra viticoltura, quella moderna, che appare invece in espansione. Tanti nuovi impianti, molto spesso di uve autoctone e trascurate per anni come il susumaniello e l’ottavianello, coltivate ancora ad alberello da chi vuole tramandare una tradizione magari aggiornandola, ad una più rassicurante spalliera da chi punta al pratico e la disegna magari in modo da consentire una meccanizzazione del lavoro in campagna ed una vendemmia gestibile da due o tre persone.

Insomma la viticoltura pugliese e salentina sembra concentrarsi in unità efficienti ed espansive, che si protendono con successo ai mercati esteri, oggi senz’altro più ricettivi di quello italiano, riuscendo anche a sfruttare il momento turistico felice della zona (il Salento “tira”, basta seguire le pubblicazioni del settore e il passaparola) mentre scompare quella diffusa dei contadini per i quali spesso manca il ricambio generazionale.

In questa prima puntata tre realtà emblematiche. Una cantina sociale che ha saputo svilupparsi conservando le tradizioni custodite dai contadini conferitori, ma allo stesso tempo educandoli ad alcuni criteri fondamentali per il conseguimento della qualità; una realtà antica e autenticamente pugliese su cui la proprietà toscana ha innestato alcuni caratteri culturali tipici della propria cultura; la tenuta di un potente brand della viticoltura italiana che però lascia esprimere senza interferenze il genius loci.

Cantine Due Palme

Tutto è grande nella Cantina Due Palme. Nata nel 1989 con pochi soci conferitori, ora ne conta più di mille. Le loro facce contadine sono immortalate in belle foto appese alle pareti, e li si immagina seduti nella grande sala riunioni con poltrone rosse e vista sulla barriccaia. All’ingresso, gli occhi seguono come si stagliano sul cielo i profili degli enormi fusti di acciaio e la mente ricostruisce l’immagine dell’enologo (sono quattro nello staff) inerpicato in alto su di una scala che controlla lo stato delle uve che arrivano e che gli passano sotto e le cataloga in classi A, B, C a seconda della qualità.

Nei vigneti ci sono chardonnay, fiano, syrah, poi naturalmente negroamaro, primitivo e il susumaniello, autoctonissimo (o quasi, pare provenga dalla Dalmazia) che si sta rapidamente facendo strada qui ed altrove. I sei milioni di bottiglie l’anno prodotte (anche grazie ad una linea di imbottigliamento da 5000 unità l’ora!) vanno per l’85% all’estero, volando anche sugli aerei della Lufthansa e della Singapore Airlines. Precetto da cui non derogare da parte dei conferitori, la resa massima in vigna di 80 quintali per ettaro (alcuni partivano da 120); tecnologia in cantina rappresentata ad esempio dai silos orizzontali con gabbie rotative a temperatura e pressione regolata che compiono quattro/cinque rotazioni all’ora per ogni verso; legno nuovo, nuovissimo (le barrique, dopo un solo passaggio, vengono regalate).

Fra gli assaggi, ricordiamo il rosato Melarosa 2009, dai profumi tenui ma delicati, maturi, di buona ampiezza e dal carattere dolce della beva. Il Rosalita 2009 (metodo charmat rosé da negroamaro) mostra un naso di impronta dolce, con sensazioni di confetto, ha impatto limitato al palato dove tuttavia è suadente e vellutato ed ha dalla sua parte la seduttività di una delicata caramella di lampone. Il Serre 2008 (susumaniello in purezza, sei mesi di barrique) ha colore violaceo e olfatto pieno di mora matura e sensazioni boschive e resinose espresse con bella persistenza. Agile in bocca, è succoso e bevibile con bella tessitura fine.

Cantine Due Palme, Via San Marco 130 – Cellino San Marco (BR); www.cantineduepalme.it

Masseria Li Veli

Un pezzo di Toscana trapiantato in Puglia. La giovane generazione della famiglia Falvo, chiusa l’esperienza Avignonesi a Montepulciano, ha deciso un paio di anni fa di impegnarsi con decisione trasferendosi in questa tenuta acquisita nel 1999, iniziando così una vera e propria nuova vita. Ed è stato in quel momento che la Masseria Li Veli, già storicamente azienda agricola, ha veramente iniziato suo percorso nella viticoltura moderna. All’arrivo il colpo d’occhio è affascinante, la fuga prospettica che culmina nella costruzione chiara e squadrata. Il restauro ha preservato i caratteri originali a partire dall’uso del carparo leccese, la pietra tufacea tipicamente usata nelle costruzioni della zona. Dentro, la cantina con i grandi frigoriferi che mantengono le uve fresche evitando micro fermentazioni indesiderate, i fusti di acciaio, i rotomaceratori, la barriccaia da 400 unità.

L’enologo Giovanni Dimitri fa da guida in una campagna veramente bella, soprattutto per questo culto dell’alberello che qui sopravvive in 22 ettari su 33 riprendendo addirittura la antica tecnica romana delle settonce, che consiste nel disporre una pianta al centro e sei che la circondano ai vertici di un esagono. Un virtuosismo forse al limite dell’intellettualismo, probabilmente anche piuttosto costoso visto che presuppone un lavoro completamente manuale; ma va anche osservato che una distribuzione con questa simmetria permette una maggiore competizione fra le piante ed una circolazione dell’aria in tutte le direzioni quando invece nella spalliera c’è libertà di circolazione in una direzione ma anche barriere nell’altra. Nei vigneti il negroamaro, naturalmente, poi primitivo e aleatico. Vengono acquistate uve bianche per produrre un vino a base di verdeca.

Proprio dall’Aksos 2009, da uve verdeca (acquistate) ed un 15% di fiano minutolo iniziano gli assaggi: agrumi, frutta gialla matura e sensazioni vegetali al naso sono accompagnati, al palato, da una beva scorrevole e di medio corpo. Il Passamante 2008 (negroamaro, 100mila bottiglie) serve da “vino-snodo” per andare incontro a diversi gusti: un buon frutto rosso e nero si evidenziano in un naso dove il rovere è ben presente, come lo è nell’attacco di beva, che mostra anche qualche sbavatura alcolica. Il Salice Salentino Pezzo Morgana 2007, anch’esso segnato da un legno in fase di assorbimento, sfoggia una bella confettura di frutto nero, ed in bocca polposità e densità, con qualche durezza finale. Il Masseria Li Veli 2007 (prima annata, blend composto da un 60% di negroamaro e saldo di cabernet sauvignon) ha un olfatto profondo di frutta di bosco a bacca rossa e nera, con un rovere meglio metabolizzato. Bello spessore e polposità, qualche durezza nel finale. In programma l’uscita di un Susumaniello e di un Primitivo di “fascia alta”.

Masseria Li Veli, Strada Provinciale Cellino Campi, km. 1 –  Cellino San Marco (Brindisi); www.liveli,it

Masseria Maìme – Tormaresca

Tormaresca vuol dire Antinori in Puglia. La discesa iniziò nel 1998 quando, durante una visita, si apprese che la famiglia Gancia vendeva 100 ettari di vigneto a spalliera piantati a chardonnay in zona Minervino Murge, Doc Castel del Monte. Dopo l’espianto avvenne la sostituzione con aglianico, nero di troia ed ancora chardonnay: nacque così la tenuta Bocca di Lupo, alla quale seguì questa salentina, la Masseria Maìme, 500 ettari dei quali 250 vitati (negroamaro, primitivo, susumaniello) ed 85 ad uliveto.

I confronti fra le due realtà sono inevitabili, e quello che si intuisce è che in Salento è più dura: a Bocca di Lupo ci sono meno problemi idrici, le falde sono di acqua dolce e non salata come qui, e seguire i precetti dell’agricoltura biologica è più semplice, mentre qui l’umidità del mare complica di molto le cose. E se la cantina dell’azienda è un modello di architettura efficiente e di tecnologia avanzata (innovativa la gestione robotizzata del recupero dei pallet), è nella antica masseria che si avverte il respiro caldo della Puglia agricola e della sua natura rigogliosa e generosa.

Gli assaggi trovano un buon esordio nel Roycello 2009 (fiano) dal naso fresco e persistente, pieno di sensazioni di tisana che trovano  il loro completamento in un bello svolgimento di beva, scorrevole, dal finale saporito e godibile. Il Torcicoda 2008, un primitivo che sta meno di un anno in barrique, mostra un buon frutto nero maturo ben integrato con il rovere in un naso non ridondante ed un palato vellutato che chiude con bella nettezza. Il Masseria Maime 2006, infine, è un negroamaro che matura un anno in barrique e che mostra al naso un frutto rosso e nero affiancato da toni di gianduia. Al palato si allarga bene e va incontro ad un certo addolcimento nel bicchiere, dove si riscontra anche un rovere ancora da integrare al meglio.

Masseria Maìme-Tormaresca, San Pietro Vernotico (BR); www.tormaresca.it

Nella sesta immagine dall’alto Giovanni Dimitri ed Edoardo Falvo di Masseria Li Veli; nella  settima e nella nona lo staff tecnico della Masseria Maìme

Visite effettuate nel luglio 2010 in occasione della manifestazione Rosati in Terra di Rosati

Galleria fotografica

Riccardo Farchioni

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