Quasi a passo di danza. Il Bigarrade a Parigi

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Come ottenere il massimo della soddisfazione a tavola, aiutati da direttive monastiche. A Parigi l’ultima tendenza in fatto di cibo è tagliare lusso e spreco. Niente orpelli a Bigarrade, delizioso ristorante in rue Nollet, fuori dai circuiti tradizionali (nel diciassettesimo arrondissement, sulla Rive Droite della Senna) premiato anche dalla rossa Michelin, sintomo che il vento inizia a soffiare in direzione opposta a dove ha sibilato fino ad ora.

La filosofia di questa piccola tavola è racchiusa in due parole chiave: purezza (di piatto e d’ambiente) e concretezza. “In frigo non entra niente, il ciclo vitale della materia prima, per scelta, è di un solo giorno” su ammissione di Christophe Pelé, chef e patron, supportato dalla mano felice di un italiano d’Imperia: Giuliano Sperandio. In cucina s’affacciano pochi ingredienti ma freschi. Senza pedigree né nomi ridondanti. Al bando aragosta e foie gras, troppo facili per stupire.

Il termine Bigarrade s’ispira alla salsa spennellata sull’anatra all’arancia, da cui si distingue per quella “erre” in eccesso che annuncia personalità. Dalla strada si accede direttamente in sala, con cucina a vista. I tavoli sono otto per un massimo di venti coperti, apparecchiati di una tovaglia chiara e bicchieri colorati, sedute verdi e gialle, arredo minimal. Le posate ve le porteranno in seguito. Intanto allenate le dita. Niente pane da sgranocchiare (mai comparirà in tavola) ma un benvenuto di focaccia all’extravergine d’oliva, e poi pesciolini fritti con spicchio di limone croccante, da consumare con le mani, spiluzzicando finché il vassoietto d’ardesia spiccherà solitario sul candore del tovagliato. Il menù prosegue così: pulito ma mai banale. Consommè di zucca asiatica servito in una ciotolina, da bersi in un sorso. Un’ottima tagliatella di seppia con prosciutto iberico svanita nel tempo di una forchettata d’autore, saint jacques con spinacio e cipolla marinata, triglia con fungo shiitake, rana pescatrice accompagnata da tartufo nero e indivia con lardo di Colonnata e nocciola delle Langhe. Infine tre assaggi golosi, anch’essi minuti, ma di ricerca e soddisfazione, dove non viene lasciato campo a lusso e sregolatezza, a tutto vantaggio di gelati, ananas, crema impreziosita di curry, cioccolato, biscottini che ad ogni boccone esplodono dritta in bocca la nitidezza del protagonista, esaltato dalla coralità dei compagni di viaggio. A mezzogiorno si ha doppia scelta: otto assaggi a 45 euro, dodici a 65; la sera una sola, a sorpresa, 85 euro. Più 35 (onesti) con il vino.

Hurrà dunque per questo salottino dove sei a casa senza esserci. Dove pare di andare a cena da un amico, i cui gesti sicuri vanno a segno senza sbavature nonostante la mancanza di prova d’appello, in un mantra di azioni precise, puntuali. Quasi un teatro nel teatro perché osservare Pelé e Sperandio (partito dall’Italia venti anni fa ragazzino, rientrato e riuscito, con esperienze sulle spalle al veneziano Met di Corrado Fasolato, alla Siriola di San Cassiano) è come assistere a un passo di danza a due.

Del valore di Bigarrade si è fatta paladina persino la Michelin, nota per attaccamento alla tradizione che in Francia fino ad ora, ha fatto rima con ridondanza. Non solo se ne è accorta, ma quest’anno le ha tributato pure la seconda stella. Segno vero che le cose stanno cambiando, se l’attenzione converge verso scelte di gusto pure, non per questo meno intense.

Se decidete di far loro visita assicuratevi per tempo un tavolo. Pur avendo aperto a dicembre 2007, il successo è arrivato immediato, tanto che oggi non è possibile trovare posto per cena se non si prenota almeno due mesi prima. A pranzo la trafila si accorcia, ma anche lì è bene premunirsi almeno con tre settimane d’anticipo, salvo disdette repentine che possono capitare, ma vengono prontamente rimpiazzate alzando ogni giorno il telefono per chiedere conferma della partecipazione. “Perché la nostra politica sui prezzi non lascia grandi margini d’azione”, nel senso che bastano due tavoli vuoti e l’incasso della giornata va rincorso in salita.

Bigarrade
106, rue Nollet (metro Brochant) – 75017 Parigi
Tel 01 42 26 01 02
restobigarrade@orange.fr
www.bigarrade.fr

Nelle immagini: Chistophe Pelé e Giuliano Sperandio

Irene Arquint

14 COMMENTS

  1. mah… 45 euro per 8 assaggi a me sembrano spaventosamente cari… Soprattutto se si riducono le spese per il lusso esteriore. Mi ricorda tanti ristoranti italiani dove più il prezzo aumenta più diminuiscono le porzioni: una ferrea relazione matematica… Forse per porzioni tendenti a zero si arriverà a prezzo infinito…

  2. Caro Enzo, durante l’università io e Riccardo avevamo un amico grande conoscitore di musica classica, ma anche grande parsimonioso (giustamente) che quando comprava i dischi valutava sempre il rapporto tra quantità di musica (il tempo totale della registrazione) e il prezzo… beh, non ci sembrava un criterio molto condivisibile!!!

    Poi anche a me piace unire al piacere dei piatti una certa sazietà, ma sempre meglio il poco ma buono che l’abbondanza dozzinale di certi “restaurant”

  3. E’ proprio vero, niente può mettere meglio in disaccordo più di una esperienza ritstorantizia! Istinto, pregresso, cultura, capacità/incapacità di ascolto, portafoglio…. paletti inevitabili che fanno di noi 56 milioni di “gourmet” differenti nei gusti e nelle aspettative. Un vero ginepraio. ( ma siamo ancora in 56 milioni in Italia o no?)….
    fernando

  4. …. che poi, tanto per finire un discorso a metà e restare nei meandri della ovvietà, io semplicemente la vedo così, accodandomi all’ondata autarchica dei 56 milioni di giudicanti: se esci da lì e ne conserverai un bel ricordo, beh, vorrà dire che avrai fatto l’esperienza giusta per te. Per Enzo probabilmente un prezzo del genere, per quella quantità di cibo ( ma non mette in conto la qualità), rappresenta un pregiudizio a priori. Per altri no.
    fernando

  5. sono perfettamente d’accordo con voi e nemmeno io preferisco mangiate pantagrueliche di basso valore… ma è la frase
    “Perché la nostra politica sui prezzi non lascia grandi margini d’azione” che mi irrita non poco… Almeno si dica: “è caro, ma ne avrete una grande soddisfazione finale” o cose del genere. Ma, volere anche dimostrare che è a basso prezzo, mi sembra fuori luogo… Il concetto è diverso da quello presentatomi da Luca e Fernando… o sbaglio?

  6. Non metto in dubbio la qualità dei piatti, anche se ognuno ha le sue preferenze, ma sono convinto, parlando di costi, che oltre una certa cifra ciò che si paga ha poco a che fare con i ” costi di produzione”……..

  7. Mi pare di capire che l’intoppo stia nel termine “assaggi”. Bene. Vogliamo sostituirlo con portate? Perché quello significa. Ma la polemica a noi santi, poeti e navigatori piace troppo. Stiamo parlando di un pasto completo, di chiara soddisfazione se si legge l’intero articolo. Allora spiegatemi dov’è il problema a considerare un buon prezzo 45 euro per 8 portate (ma scordatevi le “cofane”) o 65 per 12… Stiamo parlando di un due stelle Michelin, non dell’anonima pizzeria Sora Nonna Assunta Panzerotto sotto casa dove di euro, quando va bene, ne spendiamo 20 ma senza colpo ferire. O sbaglio?
    Giusto per fare qualche parallelo italiano: il Piccolo Lago di Verbania, il Rigoletto, la Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni, Cracco a Milano, la Francescana di Massimo Bottura sono bistellati. Non ci sfugga la recentissima notizia che Bottura è stato eletto migliore chef al mondo. Sul fatto che sia fermo a due, sì, possiamo disquisire. Ma questa è un’altra storia. Da questi ci aspettiamo forse portate pantagrueliche? Il cibo è sì nutrimento, ma anche qualcosa che va ben oltre.
    Alzi la mano chi oggi spende meno di 45 euro in un qualsiasi ristorante che non faccia sconti alla qualità della materia prima (!), dove di portate te ne servono al massimo quattro, non necessariamente di concetto (non parlo di cerebralità che francamente ci ha stufati, ma di studio, applicazione, prove, fantasia, abbinamenti…), da cui uscite soddisfatti di stomaco e di spirito. Perché cibo, non è solo pancia. Diversamente, perdonate la mia intromissione, ho sbagliato interlocutore. In tal caso mi ritiro in buon ordine.

  8. cara Irene,
    qui non si discute che il cibo sia buono o no e -forse- nemmeno degli assaggi e neanche degli altri pluristellati in giro. E’ questione di una diffusa tendenza a fare pagare troppo in relazione a quello che spendono i proprietari. E’ inutile nscondere la faccia dietro al dito. Se ne approfittano. Oltretutto, se come dici tu, l’atmosfera è dimessa e non lussuosa, perchè mantenere prezzi così alti? Ciò, indipendentemente dal fatto che molti altri ristoranti facciano lo stesso…
    45 euro senza vino ( 35 per il vino non mi sembra un prezzo buono se non ti servono almeno un barolo o qulcosa del genere…) equivalgono pur sempre a 90000 vecchie lire e non sono certo alla portata di tutti. Il mangiare bene deve anch’esso essere di elite? Alla stessa stregua di un capo firmato che magari non è assolutamente meglio di un prodotto da mercato? Questa visione da raffinati e superiori è fuori dal mio stile. Ribadisco, però, che questa è una mia idea PERSONALE e non del sito. Per cui, l’interlocutore sbagliato sono solo io… non certo moltissimi altri che frequentano normalmente (ma pagando, mi raccomando…) i superstellati. Infine: da dove nasce la relazione matematica stelle = ottima cucina? E’ anch’essa una conclusione del tutto personale e forse dettata dalla “moda”…

  9. Che vi dicevo che esistono 56 milioni di visioni diverse? Detto questo, per come la vedo io, e per come vedo attestati i prezzi nell’emisfero orbeterraqueo occidentale, 45 euro in un due stelle è cosa rarissima, e per questo meritevole di attenzione.
    In Versilia per una pizza che ti gonfia la pancia ( lievitacci) e una birraccia che te la fa scoppiare ( arilievitacci), in un locale che è uno schifo…. (ma qui sto solo citando Dalla) spendi 20/25 euro…..non hai goduto niente e dopo un minuto ti saresti pure dimenticato della esperienza, se non fosse per il tuo stomaco nottambulo e irritato. Salto due volte la pizza – e manco mi sforzo – e vado al Bigarrade di turno… non la vedo così da raffinati e ricconi. Ci vedrei casomai buon senso.

    Per dirla con Enzo, partiamo dal presupposto che tutto il mondo della offerta gastronomica sia caro, e non ho molto da obiettare su questo punto. Detto questo, siccome a noi piace illuderci in questi postriboli ( citazione berlusconiana) golosi e pagani, cioé non ne possiamo fare a meno, cerchiamo di addentrarci nei meandri cercando di star bene senza soffrire. Ognuno lo fa a modo suo.Speriamo rimangano sacche di godibilità per tutti.
    Pensare di avere un Barolo a 35 euro al tavolo di un ristorante, ahinoi, è quasi una chimera, ma non sai come mi piacerebbe! Anche se in verità non è impossibile ( ma dipende in che posto stai e il barolo di quale produttore è; certamente dovremo “accontentarci” di annate giovani). E comunque, per fortuna, l’offerta vinosa è tale e tanta da poterci sbizzarrire senza ferire il portafoglio più di tanto, Basta saper scegliere, al limite accontentarsi. E poi il vino in alternativa lo compri e te lo bevi a casa. Una esperienza al ristorante purtroppo non sarà mai a domicilio, avrai da viverla sul posto! Con annessi e connessi.
    ciao
    fernando

  10. caro Fernando e cara acquabuona…
    come già detto spesso, vi aspetto sempre per un pranzo o cena in posti giusti… magari senza stelle o galassie, ma con cibi genuini e con prezzi (sempre cari secondo il “mio” metro) più “civili”. Ma, soprattutto, con grandi baroli (non faccio nomi, ma…fidatevi) ben al di sotto dei 35 euro… (22-27 vi basta?). Se non venite a trovarci è colpa vostra!!!!! Dai, si potrebbe organizzare veramente una due giorni di Acquabuona in terra di Langa!!
    pensateci e ne discutiamo a Camaiore…
    un abbraccio a tutti

  11. Grazie Enzo, di voglia ne avrei e tanta di accettare i tuoi inviti mannaggia..
    Ma detto questo non ci sono cristi (o Cristi): 45 euro per otto assaggi (se non sono proprio singole tartine…) è un prezzo ri-di-co-lo per un due stelle, a Parigi poi. Se venisse in Italia secondo me gli farebbero la guerra. I nostri due stelle stanno “di default” sopra i cento euro. E su questo se volete si può discutere, sui piani. sui livelli, sulle categorie, sulla ricerca, sulle materie, sul personale…Sul resto no, secondo me

  12. vi aspetto!!

    Tuttavia, ribadisco, che sia pure la norma, sia pure che le stelle costano un tanto al chilo (o forse è meglio dire un tanto al grammo…), o cose del genere, bisognerebbe -una volta tanto- dire come Fantozzi :”La corazzata …ecc. ecc.!”. Fare pagare un piatto gustoso, stellato, galassiato, cifre da capogiro, quando la materia prima costa enormemente meno è un vizio che dovrebbe finire! Mi ricordo un “magnifico” guanciale ultra mini in un ristorante stellato. Prezzo (parecchi anni fa) 14 euro. Sarà stato anche buonissimo, ma il guanciale resta guanciale e tutti sanno quanto costa. Nemmeno le stelle del firmamento potrebbero farne lievitare il prezzo così tanto. Se si dicesse “basta” ai prezzi spropositati e si abbandonassero gli stellati, scommettiamo che i grandi artisti riuscirebbero lo stesso a sopravvivere? Il fatto, poi, che le pizzerie siano anche peggio, non regala nessun alibi. Se uno è un mascalzone, non mi libera certo dei miei peccati…

  13. Allora tanto per dirne una : ottobre scorso a Castelnuovo don Bosco ristorante Nuovo Monferrato il proprietario è membro dell’Accademia della Cucina Italiana :
    menù proposto dal proprietario
    4 antipasti tra cui carpaccio all’albese, vitel tonnèe, filetto di trota affumicata al moscato, bagna cauda con porri
    primi agnolotti al sugo di arrosto e tagliatelle al tartufo ( ottimo)
    secondi lumache alla piemontese
    Bonnet
    Una bottiglia di freisa del 2009 di media qualità

    35 € a testa
    Porzioni generose
    La cucina era a mio modesto avviso ottima.

  14. Insomma, la proposta gastronomica è variata e diversificata, questo è un fatto ( confortante). Probabilmente per tutte le tasche, anche se nn sono tempi facili. Inutile ripetersi ovvietà: sotto questi chiari di luna gestioni snelle e familiari, da trattoria per intendersi, riescono meglio a far fronte alla recessione economica e dei consumi che non i ristoranti più importanti e “strutturati”. Certe spese gestionali possono risultare insopportabili per mantenere quello standard, e in effetti una certa moria c’è stata,
    E’ possibilissimo mangiare bene a prezzi umani ( 45 euro in un due stelle parigino – comunque – sono prezzi umanissimi) un po’ dappertutto. Però, tanto per fare un parallelo a noi caro, uno può trovare godimento in un buonissimo Dolcetto da 5 euro, e ce ne sono. Stare bene in sua compagnia. Mi piacerebbe potesse pensare che insieme a un Barolo Monprivato di Mascarello ( da 50 euro) sarebbe stato decisamente meglio. E lo dico sapendo bene che il prezzo a volte non fa la qualità. E lo dico con la speranza nel cuore che quel vino -mannaggia- avrebbe potuto costare anche di meno no? Ma devo essere altresi consapevole che in un caso ho assaggiato un vino buono. Nell’altro un vino unico.

    Credo che il fondamento del nostro discorrere qui stia nella capacità di ascolto, nella volontà di incuriosirsi e di non dare niente per scontato; l’onestà di riconoscere che a volte una esperienza ( gastronomica in particolare) è meglio di un’altra ma costa di più, epperò quell’aggravio non pregiudica la bellezza di quella esperienza, che rispetto all’altra magari, riposta nei ricordi insieme alle tante precedenti, ricorderai più a lungo per “capacità di racconto” ed emozione suscitata.

    Poi, mi parlate di Langhe e Monferrato, luoghi assai frequentati dal sottoscritto negli ultimi anni ( più Langa che Monferrato). Beh, apriti cielo:perché nelle Langhe, per come la vedo io, ci sta una tale e tanta concentrazione di osterie, trattorie, ristoranti, con cucine classiche, tipiche, rivisitate, rivedute e corrette da primi della classe. Una zona virtuosa, a parer mio. Dove, più che in altri posti, dove si casca si casca bene, per tutte le fasce di prezzo.
    Per dire, quando vado su bramo sia Schiavenza, sia Veglio, sia il Buon Padre, sia Bardon che l’Enoteca di Canale di Palluda. Non ne posso fare a meno. O la Coccinella in Alta Langa ( bona!) così come l’antica corona reale di Cervere……prezzi differenti, stili differenti, estri differenti, anche di molto, ma tutti con la capacità di emozionarmi e di non farmi pensare se spendo tanto o poco. Lo disse tanti anni fa Bonilli, ed io continuo a pensarla come lui: se te ne esci da lì e non pensi a quanto hai speso, beh allora vorrà dire ne sarà valsa la pena.

    fernando

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