“Parlano i vignaioli”: la Campania

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BACOLI (NA) – Eccoci alla seconda (ed ultima) puntata sulla manifestazione che si è svolta lo scorso aprile tra le mura dell’accogliente Casina Vanvitelliana sul lago Fusaro, a Bacoli in provincia di Napoli. L’evento ha riunito una rappresentanza significativa di produttori biologici e biodinamici offrendo l’occasione, oltre che di degustare tanti ottimi vini, di fare un punto della situazione sul mondo dei vini naturali in Italia e, in particolar modo, al sud. Purtroppo ho potuto selezionare solo alcune delle aziende presenti di cui parlarvi. Sempre volutamente ho tralasciato il riferimento a singole annate. Quella che potrà apparire agli occhi di molti appassionati lettori, i più intransigenti, una leggerezza inaccettabile nasce, in realtà, dalla precisa volontà di distogliere l’attenzione dal millesimo per sottolineare la validità di etichetta e produttore indipendentemente dalle variabili contingenti legate alla vendemmia. Spero mi perdonerete.

Podere Veneri Vecchio è una cantina ubicata in quel di Castelvenere. L’agronomo napoletano Raffaele Annicchiaro ha deciso di bandire dai vigneti l’utilizzo di diserbanti, fertilizzanti ed altri prodotti chimici di sintesi adottando una filosofia produttiva dichiaramente orientata al massimo rispetto dell’ambiente e del consumatore. I vini di questa piccola realtà sono ottenuti vinificando singoli “cru” da vecchie vigne di circa 30 anni da soli vitigni autoctoni. Il beneventano Igt “Perdersi e Ritrovarsi” (il nome è già tutto un programma) è ottenuto da aglianico in prevalenza (70%) ed un saldo di piedirosso. Probabilmente rimane il vino più interessante prodotto fino ad oggi. Le uve provengono da una singola vigna “franca di piede” a 200 metri sul livello del mare. Dopo una lunga macerazione (25-30 giorni a contatto con le bucce)l’affinamento viene svolto prima in acciaio e, successivamente, in barriques di vario passaggio, di rovere francese e americano per circa un anno e mezzo. Al naso prevale la componente di piccoli frutti rossi che si arricchisce, col trascorre dei minuti nel bicchiere, di note floreali e speziate. Al palato c’è perfetta corrispondenza di sensazioni con apprezzabili ritorni di frutta e liquirizia. Un vino che, come sempre dovrebbe essere, si sposa alla grande con la saporita cucina del territorio.

Ci spostiamo in Irpinia dove beviamo il Taurasi Nero Nè da Il Cancelliere, piccola cantina situata a Montemarano, in contrada Iampenne, ad un’altitudine di circa 500 metri sul livello del mare. L’azienda si estende su circa 7 ettari di proprietà, a conduzione naturale, interamente dedicati alla coltivazione dell’aglianico. Dal 2005 è seguita da Antonio Di Gruttola, enologo di Cantina Giardino. Le vigne hanno un’età media di 10 anni e sono allevate a spalliera utilizzando la tecnica di potatura del cordone speronato. Sorgono su declivi collinari, di origine argillosa-calcarea, con esposizione a Nord e sono interessate ed influenzate da importanti escursioni termiche. In cantina sono vinificate solo le uve proprie. Le fermentazioni sono spontanee a temperatura non controllata. Non vengono praticate chiarifiche, filtrazioni e stabilizzazioni. I vini sono conservati in grandi botti di legno e in barrique esauste, quindi, affinati in bottiglia. Nonostante la giovane età dell’azienda i risultati non sono tardati a venire proiettando l’azienda di Soccorso Romano ai vertici della denominazione. Il suo Taurasi si distingue per la grande ricchezza fruttata. Un’esuberanza ben gestita grazie alla serietà di impostazione e complessità di sensazioni che, con l’invecchiamento, va a disegnare un profilo austero dal tratto spiccatamente empireumatico. In bocca è giustamente succoso senza cedere al tannino che pur presente e scalpitante, come ci si deve aspettare dall’aglianico taurasino, graffia senza asciugare. Un bella bottiglia da cercare e provare.

Dall’Irpinia alla Costiera Amalfitana. Negli anni ’90 Alfonso Arpino, di professione medico, decide di reagire al progressivo svuotamento delle campagne della sua terra e di occuparsi dei vigneti di famiglia. La passione, ben presto, lo travolge, tanto da decidere di acquisire ulteriori terreni: la Casina e la Vignarella. Nel 2004 nasce, a Tramonti (località montuosa sottratta ai riflettori riservati, quasi sempre, a località più note ed alla moda della Costiera) la piccola azienda Monte di Grazia. La viticoltura di Tramonti presenta alcuni aspetti davvero peculiari. Innanzitutto la presenza di roccia dolomitica. Alcuni ceppi sono ultracentenari, sopravissuti alle epidemie di filossera dei secoli passati, ed allevati a piede franco senza innesto. L’allevamento delle viti è a raggiera atipica secondo il metodo etrusco-romano Anche le varietà autoctone di uve locali, sono poco conosciute: le uve a bacca rossa tintore e piedirosso e quelle a bacca bianca pepella, ginestra e biancatenera, sono state spesso confuse o assimilate, erroneamente, con altre varietà tipiche campane. Alfonso ha deciso di seguire metodi antichi per coltivare le sue piante secolari: letame di stalla per la concimazione, verderame e zolfo per combattere la peronospora e l’oidio. Naturalmente tutto ciò richiede molta manodopera e ore lavorative. Il suo bianco nasce su queste spettacolari terrazze strappate ai monti Lattari. Il colore dorato tradisce una materia inaspettatamente importante che si traduce in una naso ricco di suggestioni minerali, echi floreali e fruttati, il tutto permeato da un’ elegante ed intrigante timbrica mediterranea. Al palato conferma la sua struttura decisa e verticale, sostenuto da un’acidità viperina ed un finale saporito. Da non perdere, assolutamente, anche il rosso da uve tintore.

Dalla Costiera ritorniamo in Irpinia, a Tufo, dove Cantina dell’Angelo produce, probabilmente, il Greco rivelazione dell’anno. L’azienda di Angelo Muto, terza generazione di viticoltori, possiede cinque ettari di cui tre di questi proprio sopra le vecchie miniere di zolfo. In questa parte sono state reimpiantate, nel corso dei primi anni novanta, le vigne da cui nasce questo originalissimo bianco. Le annate da cercare sono la 2008 e 2009 tanto diverse quanto buone, anche se sicuramente su un gradino più alto la seconda. Il colore è dorato dai riflessi vivi e luminosi. Il naso, come spesso accade con questo vitigno, non è particolarmente generoso dal punto di vista aromatico rimanendo piuttosto avaro di sensazioni appena aperta la bottiglia. Una mineralità pura domina il quadro olfattivo. Solo qualche ricordo di frutta. Il progressivo distendersi nel bicchiere lascia spazio ad un intenso effluvio balsamico, di erbe e spezie. Esprime il meglio del Dna varietale al palato dove assistiamo ad un vero e proprio cambio di marcia. Una struttura solida e corposa ci guida, infatti, verso un saporito e lunghissimo finale. Un’interpretazione che richiede pazienza ed attenzione. Se avete la possibilità, pertanto, di stappare qualche ora prima la bottiglia sarebbe consigliato e preferibile.

L’immagine della Casina Vanvitelliana è tratta da comuni-italiani.it, quella dei vigneti irpini da ilcomuneinforma.it, quella dei vigneti della costiera amalfitana da amalficoast.it

La prima parte dedicata a Calabria e Basilicata

Fabio Cimmino

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