Diario di Bordò. Bordeaux Primeurs 2010 Experience. Secondo giorno: cari, vecchi mostri del Médoc

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Martedì 5 aprile 2011, dans l’après-midi

Temi: Gite scolastiche: Palmer, Margaux, Léoville Las Cases, Montrose, Pichon Lalande

Intro

Iniziano da oggi le gite scolastiche. Istruttive prima ancora che ludiche. A far pratica di esclusività. Non ho con me il grembiule, ma la cartellina sì. Meta prevista: gli château più prestigiosi del Médoc (in parte, altri seguiranno nei prossimi giorni). Quelli che si fanno desiderare. E che non presentano la loro campionatura alle degustazioni cumulative del mattino. Quelli che devi prenotare con largo anticipo al fine di assicurarti lo spicchio di tempo necessario per assaggiare le nuove proposte. Una scaletta fitta e médocaine, sulla cui esclusività non ci sono dubbi. Di più, una scaletta pure assortita, che si muove da Margaux a St Julien, da Pauillac a St Estephe, toccando così tutte le appelations più importanti della galassia bordolese. Checchessenedica, andiamo al nocciolo del discorso. Al cuore del cuore. La storia del vino francese e mondiale, d’altronde, è passata -e ancor passa- da qui.

Gite scolastiche/1: Château Palmer

Ad attenderci una vecchia conoscenza,Thomas Duroux, enologo della casa, ex anima tecnica della Tenuta dell’Ornellaia. Ergo, possiamo dialogare in italiano, e il cervello per un attimo si rilassa. E mentre, dialogando dialogando, evinciamo che i vini di Bordeaux in Italia si vendono difficilmente, cioè che qui da noi per loro non c’è mercato (ed io, pensando da ingenuo ai prezzi, mi sono chiesto fra me e me: “ma se lo spiegheranno il perché”? E soprattutto: “ gliene importerà qualcosa, con un solo paese al mondo  – la Cina – che copre il 70% della offerta bordolese?”), ci avviciniamo a due vini altisonanti, che interpretano con certosina dovizia di particolari un’annata nella quale le dotazioni alcolica e polifenolica non scherzano affatto, eppure riescono a combinarsi mirabilmente con l’elevata acidità concretizzando vini di potenza ed equilibrio, per dirla con le stesse parole di Thomas. E con un second vin fra l’altro che dimostra pochi timori riverenziali nei confronti del premier. Alter Ego 2010 (Margaux GCC) infatti è un rosso di seducente eleganza e profonda mineralità, sinuoso ed abbracciante nella trama, con l’alcol sotto controllo e una lunghezza invidiabile su cui poter contare, incredibilmente fresco nonostante l’apparente generosità del tratto gustativo.

Château Palmer 2010 invece gode di un frutto di ottima maturità e di un grande grip gustativo; i suoi tannini sono sentitamente refrechissants. E’ un vino tenace, sodo e flemmatico questo qua. Oggi si muove meglio Alter Ego, che trova un portamento e una droiture notevoli. Nel futuro la scorta energetica di cui dispone Palmer, ne siamo certi, farà la differenza. Nel frattempo, il fondo del bicchiere ne esalta tutta la grazia floreale, facendoti immaginare pertugi ulteriori e un futuro all’insegna della finezza. E’ il ricordo migliore che ho di lui.

Gite scolastiche/2: Château Margaux

O del “pontificato” di Pontallier. Eh già, Paul Pontallier, deus ex machina di questa autentica istituzione, la cui fama planetaria non è seconda a nessuno. Oggi ho varcato il soglio. E ho apprezzato la verve tutto men che altezzosa del celebre capitano. La fotografia dell’annata, e soprattutto dei suoi vini, è accecante per precisione e dettaglio. Cavolo, ogni parola te la ritrovi dritta nel bicchiere, mica fanfaluche!

Ben oltre le parole, bicchieri alla mano, si parte bene e mi ringalluzzisco: Pavillon Rouge 2010 (Margaux GCC), second vin della casa (anche se a parlare di second vin mi vien da ridere), è irresistibile, ha un naso di incredibile flemma e nitida armonia, netto e soffuso, con un coté speziato accattivante. Ottima snellezza gustativa, bella modulazione dei sapori, invidiabile profilatura. I tannini come un soffio, la chiusura aggraziata: un passo in più di consapevolezza e naturalezza. Giampaolo Gravina chioserebbe con il suo proverbiale: “o quanto me ne bevo?”.

Poi arriva lui. E in questo caso devi fartene una ragione. Sì, che le parole stanno indietro, e non ce la fanno a raggiungere il racconto del bicchiere. Anche Paul Pontallier, a ben vedere, annaspa. Il che è tutto dire, credetemi. Perché Château Margaux 2010 è l’assaggio degli assaggi, quello che mette il sigillo di esclusività alla trasferta bordolese tutta. Così, giusto per dovere di cronaca, e tanto per mettere due parole in croce, vi dico del portamento signorile, intenso e compassato al tempo stesso, sfaccettato di erbe aromatiche e spezie. E dell’inattaccabile maturità del frutto suo maturo, senza un cedimento, una screziatura che sia una, o un appiglio che ti porti a dire “sì, però….”. E’ la finezza di quel tessuto a possedere qualcosa di ineguagliabile. E’ il candore struggente e profondo di quel sorso a saldare intimamente istinto e complessità. Ma le parole stanno indietro, non c’è niente da fare. Lo scribacchino deve arrendersi. E farsene una ragione.

A margine, il briciolo di attenzione sopravvissuto al precedente trip mi consente di consigliare Pavillon Blanc 2010, che è un bianco di austera mineralità, bellamente citrino, sentitamente fresco, in grado di dire la sua, certo che sì, nell’ambito della tipologia (e anche più in là).

Gite scolastiche/3: Léoville Las Cases

Ci troviamo a Saint Julien. E precisamente nel posto più esclusivo e meno “conquistabile” del mondo intero. La pignoleria dei controlli e la trafila da fare per assicurarsi uno pseudo-appuntamento a Lèoville hanno del parossistico, eguagliato forse soltanto dallo sfinimento a cottura lenta di Latour. Ma dei patemi interiori e della pazienza certosina di cui ti devi far carico per concretizzare l’agognata visita, alla famiglia Delon, proprietaria dell’ambaradan (che annovera peraltro diversi château, oltre a Léoville), poco importa. Insomma, ce l’abbiamo fatta, siamo qui, e balliamo. A cominciare dagli approdi sulla rive droite, ovvero da Nenin. Per continuare con Potensac, che sta nella appelation Médoc, e terminare ovviamente con i Saint Julien.

La Fugue de Nenin 2010 (Pomerol) è un merlot style succoso e senza troppe ostentazioni, di buon frutto e confortevole gradevolezza, con il rovere “diligente” a svolgere il suo bravo compitino e una personalità discreta da mettere sul piatto dei ragionamenti, senza scomodare lidi di complessità.

Château Nenin 2010 (Pomerol) ha dalla sua una maggiore fusione fra le parti, una maggiore continuità nello sviluppo, una tensione più vibrante rispetto al cadetto Fugue. La chiusura non è un granché ma il vino è serio, avvolgente senza ricorrere a banali scorciatoie, con una naturale solarità fruttata che non puoi non apprezzare.

Chapelle de Potensac 2010 (Médoc) è carnoso, speziato, polposo, di buon tessuto e gusto intrigante, ma con un finale più sfocato e indolente delle attese.

Château Potensac 2010 (ricordo il seduttivo 2005 incensato da Fabio Rizzari in un post assai recente del blog “espressico” Vino:) è bellamente amarenoso, di ottima maturità fruttata, dal finale fresco, affusolato, reattivo. Mi piace la carnosità del frutto, mi piace la croccante sua tannicità.

Le Petit Lion 2010 (St Julien), second vin di Léoville,  si porta appresso una zavorra vegetale non propriamente fine, ma la materia è soda e la compattezza mette in riga il disegno. Poco movimento se vuoi, ma la sostanza resta.

Clos du Marquis 2010 (St Julien) ha una concentrazione spinta nel frutto, che almeno aromaticamente ne confonde i profumi, comprimendoli, attutendoli; non così al palato, che trova freschezza ed articolazione in un finale incredibilmente brillante, anche se non eroico.

Infine lui, le Grand Vin de Léoville: Château Leoville Las Cases 2010 (St Julien GCC) è un tappeto aromatico vibrante di spezie e balsami. Stuzzicante, netto, sinuoso. E’ un frutto croccante e un tannino puntiforme, giudiziosamente estratto, chirurgicamente estratto. E’ un vino ineccepibile di scuola moderna, seducente (ammiccante) come solo un Saint Julien riesce ad essere, al quale magari potresti rimproverare di non scuotere il lato emozionale. Eppure, di appunti critici gliene potrai muovere ben pochi.

Gite scolastiche/4: Montrose

Risalendo l’estuario girondino, con il caldo che non molla la presa, arriviamo a Montrose, insieme a Cos (d’Estournel) lo château più “in vista” di Saint Estephe, che è la denominazione più settentrionale del Médoc che conta, laddove i vini tendono invariabilmente ad incupirsi sul versante tannico, risultando più “scuri” e severi (sia pur non privi di fascino), e dove la tendenza/tentazione di concentrare il frutto si fa spesso condivisione d’intenti. Intanto, molto più che in altri château, dove la regola ferrea degli appuntamenti “su misura” smista e sgretola la massa dei curiosi (giornalisti e buyers) consentendone il deflusso ordinato in un contesto vivibile e a volte persino ovattato, qui sembra di stare a Cantine Aperte. Sapete quando famiglie intere, con bambini, nonne e cani appresso, si fanno la scampagnata fuori porta per un bicchier di vino da bersi a garganella, una salsiccia e un panino? Sapete quando nei parcheggi ci trovi i pulmann?

Poi scopriamo che in realtà il luogo della degustazione, diciamo così, professionale è a se stante. Meno male, ho pensato lì per lì. Se non che la visione dell’enorme stanzone in cui ci hanno condotto, con i tavoli messi a quadrato giro giro -70 posti a sedere, stretti in maniera eccessiva uno accanto all’altro per risparmiare salvifici millimetri di spazio- non è che abbia modificato più di tanto la sensazione di trovarci nel bel mezzo di una bolgia. Tant’è, l’occasione buona per trattenersi giusto il minimo sindacale. Così, via di getto alle danze:

Château Tronquoy de St Anne 2010 (CS 67%; M 33%) – Ad un naso concessivo, aperto, dal frutto succulento e carnoso, risponde ahinoi un palato caloroso, abbracciante, largo, un po’ bruciato dall’alcol.

Château Tronquoy-Lalande 2010 (CS 53%; M 37%; CF 9%; PV 1%) – Note esotiche, prugna e mirtillo per una fittezza finanche ostentata del frutto. Irruente, ovviamente fruttato, cicciotto e massiccio, scopre un tannino volitivo e tagliente, che quantomeno ne amplifica il contrasto.

La Dame de Montrose 2010 (CS 64%; M 36%) – Naso un po’ sfuggente, difficile da cogliere, forse indolente, probabilmente in ritardo; più profilato delle attese al palato, fresco, flessuoso, di frutti rossi maturi e inchiostro.

Château Montrose 2010 (CS 53%, M37%, CF 9%, PV 1%) – Concentrazione naturale del frutto, un fruttato pieno ma compresso, dai risvolti inchiostrati. Più bello e succulento al palato, che ha una vibrazione sapida ringalluzzente. Il frutto diventa leggibile, accattivante, netto e circostanziato. Più che buono direi, ma l’emozione non ha preso casa qui.

Gite scolastiche/5: Pichon Longueville Comtesse de Lalande

Pichon Lalande, per il sottoscritto, potrebbe scomodare il pregiudizio. Perché Pichon Lalande (il vino intendo) ha un precedente scomodo: è stato il primo coup de foudre bordolese dei ricordi miei. Da certe vecchie annate ho imparato il nulla che so di quel mondo lì. E poi perché, diciamocelo, Pichon Longueville Comtesse de Lalande è il nome più bello che ci sia (sempre per un vino, intendo). Il più evocativo, il più musicale. Concetto di una pregnanza straordinaria, mi direte. Certo che no, ma per un incallito pseudo musicante come me, che nei testi delle canzoni si ostinava a ricercare la sottile e inconfessabile armonia delle parole maritate, prima ancora del significato, Pichon Lalande è scuola allo stato puro.

Bando ai ricordi, e ai pregiudizi, Château Pichon Longueville Comtesse de Lalande 2010 (Pauillac GCC) è il Pauillac dell’immaginario: di portamento e signorilità. Tutte le sfumature, tutte le possibilità, tutte le aspirazioni come racchiuse in un disegno aggraziato, non ostentato, senza voci fuori dal coro. Tutti gli attributi di una annata generosa dissimulati in una fisionomia mirabilmente trattenuta negli accenti. Poi, in evidenza, quale marchio di fabbrica, una delle speziature più affascinanti dell’orbe terracqueo. E un appunto, tanto per non cadere come una pera cotta nel pregiudizio: un pelo d’alcol in esubero.

Il second vin della casa invece ha un indubitabile pregio: la bevibilità senza se e senza ma. Réserve de la Comtesse 2010 (Pauillac GCC) è infatti un rosso snello, agile, dal frutto croccante e dal côté ovviamente speziato. Non la complessità a dire il vero, ma che bevuta!

Ah, per poco mi dimenticavo:  presenti all’assaggio c’erano pure gli altri vini della scuderia (scuderia peraltro acquistata di recente dalla maison “champagnotta” Louis Roederer), fra i quali spiccava uno dei Saint Estephe più convincenti del parterre, Château de Pez 2010, dotato di un grip e di una avvolgenza beneauguranti, ma soprattutto ben distante dalle più ovvie banalizzazioni stilistiche sul genere frutto/rovere, tentazione in cui cadono spesso dalle parti di Saint Estephe. Di questo vino mi sono piaciuti il fondente, la liaison fra le parti, lo stare insieme degli elementi. Ed è così che lo ricorderò.

FERNANDO PARDINI

4 COMMENTS

  1. […] Insomma, Saint Julien potrebbe apparire come l’approdo più ambito per schiere di enologi di ogni dove in cerca di conferme alle teorie masticate nei laboratori o nelle aule scolastiche. Ma anche un posto in cui far convivere senza diatribe od eccessivi ammiccamenti espressività e consapevolezza tecnica, in tal senso ergendosi a porto sicuro per la curiosa genìa dei degustatori più esigenti. Meno profondi di certi Pauillac (di cui parleremo), meno toccanti dei pochi Margaux “haute couture” capaci di scossa emozionale, i Saint-Julien danno la sensazione di una squadra tosta, affidabile, convincente, che ha ritmo “nelle gambe” e geometrie “nel cervello”. E fondamentali certi, di quelli che non deludono. Una compagine in cui è bello imbattersi e della quale è molto piacevole far la conoscenza. In fondo, ripensandoci, delle sue virtù già mi ero fatto un’idea appena un giorno prima, recandomi a “lezione” da  Léoville Las Cases. […]

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