Il Rosso di Montalcino rimane sangiovese al 100%

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Ebbene, il Consorzio del Brunello di Montalcino ha deciso ieri a maggioranza che il discipinare della Doc Rosso di Montalcino, nell’aspetto fondamentale delle uve ammesse, non cambia. Franco Ziliani ha prontamente riportato sul suo blog i dettagli della votazione: su 806 aventi diritto al voto e 678 votanti, si sono espressi per il sì 210 soci e per il no 465 con 3 schede bianche. Il Consorzio ha emesso un comunicato che contiene un commento un po’ fumoso del presidente del consorzio Ezio Rivella: ““è stata una decisione molto dibattuta e sofferta che evidenzia il forte coinvolgimento dei produttori riuniti nel Consorzio e che lascia assolutamente intatti la peculiarità ed il valore di una Doc di altissimo profilo internazionale. Il cambio di disciplinare del resto era tra i punti da esplorare sul mandato del nuovo Consiglio che comunque sta portando avanti un rilevante progetto di marketing – denominato Montalcino 2015 – per anticipare gli effetti dei cambiamenti sui mercati internazionali e proiettarci nei prossimi dieci anni”.

Come succede dopo una consultazione elettorale, tutti potrebbero esprimere soddisfazione: i vincitori, perché il Rosso di Montalcino rimane sangiovese al 100%. Gli sconfitti che, raggiungendo un terzo della platea dei votanti, possono sostenere che aggiungervi merlot o cabernet sauvignon non è più un tabù. D’altronde, Fabrizio Bindocci della storica e grande azienda Il Poggione, in una dichiarazione a Decanter, aveva espresso la sua posizione favorevole al cambio pur rimanendo personalmente “sangiovesista”, per offrire la possibilità a chi lo ritenesse opportuno di dare un tono più internazionale ai propri vini e poter convincere meglio palati internazionali. Ma se questa era veramente l’intenzione degli innovatori, appare poco originale e soprattutto prova di reali verifiche sul campo. Per dire, il Chianti Classico che sull’onda del successo dei supertuscan vide il proprio disciplinare modificato proprio in questa direzione, ha avuto i positivi effetti sperati? Sarebbe utile saperlo.

Ecco, sembra questo aver guidato tutta la vicenda. La crisi, il panico da invenduto, il miraggio dei nuovi mercati orientali che si stanno prepotentemente aprendo, hanno probabilmente funto da motore propulsore, spingendo per un ricetta che pur scontata è a molti apparsa salvifica. Ma altri argomenti, neanche questi troppo originali, potrebbero essere adoperati per far tirare a molti un sospiro di sollievo, visto che di vini merlottizzati e cabernettizzati è pieno il mondo, e riuscire a produrre un Rosso di Montalcino veramente e convintamente “piccolo Brunello” (dunque sfruttando un brand di innegabile successo), con il rapporto qualità/prezzo seducente e la forza di un sangiovese ben fatto, potrebbe essere questa sì veramente la chiave di volta per un rilancio della tipologia. Ci vogliamo provare, magari con  un minimo di convinzione?

L’immagine del palazzo sede del Consorzio è tratta dal sito sienafree.it, quella di Ezio Rivella dal nostro archivio

Riccardo Farchioni

3 COMMENTS

  1. Giusto, la convinzione. Quella cosa che in fondo è mancata ad una buona parte dei produttori ilcinesi. Capire che in un rosso da uve sangiovese che non attenda ( a volte forzatamente) 5 anni in cantina prima di uscire allo scoperto, possa dimorare un grande vino. Inteso come vino che onori una terra, indipendentemente dal tasso di complessità. E indipendentemente dal fatto che debba spuntare di meno in fatto di prezzi e di valore commerciale rispetto al primattore Brunello.

    Parlo di buona parte di produttori. Che non sono la totalità. Sarà, ma proprio in corrispondenza con queste diatribe volte a sondare (quasi a forzare) la possibilità di un cambio di disciplinare, ecco che da un’annata potenzialmente propizia come la 2009 ( + qualche atout targato 2008), se ne escono un bel numero di vinozzi targati Rosso di Montalcino. Fieramente Rosso di Montalcino. Meritatamente Rosso di Montalcino. Con l’imprinting sangiovesico dichiarato. Non avevo mai colto, nelle attente ricognizioni annuali, una qualità così diffusa e propositiva (la butto lì: 40 vini dal buono all’eccellente). Ecco, spero che i produttori se ne rendano conto. E con essi, ovviamente, i consumatori, per arrivare ai quali tutti si può fare qualcosa.

    Fernando

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