Un trio delle meraviglie per il vino irpino

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Questo pezzo è una raccolta di ritratti che sono stati pubblicati nei mesi scorsi da Cronache di Gusto. Lo dedico alle tre meravigliose persone che mi hanno ricevuto in una splendida e soleggiata giornata di settembre nelle loro cantine per raccontarmi le loro entusiasmanti avventure. Mi hanno riservato un’accoglienza affettuosa, familiare, trasformando la degustazione in un momento magico di condivisione che raramente capita di vivere e che, personalmente, non provavo da tempo. Sono questi personaggi, le loro storie, che continuano ad alimentare la mia passione e la voglia di farle arrivare al pubblico di voi lettori.

Voglio, altresì, dedicare questo scritto ad un carissimo amico cui voglio molto bene, e senza del quale probabilmente avrei già mollato da tempo, smettendo di interessarmi pubblicamente di vino per relegarlo alla sola sfera della mia intimità. Sto parlando del mio “compaesano” Mauro Erro, illuminato enotecaro, animatore del blog Il Viandante Bevitore nonchè collaboratore Slow Wine. Sono ormai anni che calpesta le vigne della Campania Felix alla scoperta di giovani, e meno giovani, talentuosi vignaioli, che siano non solo validi interpreti ma soprattutto possano assurgere al difficile quanto indispensabile ruolo di sentinelle del territorio. Il suo lavoro, come quello di molti altri bravi degustatori della nuova generazione, rimane troppo spesso nell’ombra, offuscato, talvolta oscurato, da sterili e pretestuose polemiche di bottega. Senza di loro questo nostro amato-odiato mondo del vino, credetemi, non sarebbe lo stesso.

Un grazie lo devo anche alla mia amica Robbin Gheesling. Il mio giro fra i vini irpini che seguonoè stato realizzato, infatti, in una simpatica improvvisata collaborazione con la sua neonata Vineyard Adventures. Robbin si è trasferita, da qualche tempo, dagli Stati Uniti in Campania dove organizza e guida dei tour enogastronomici riservati al pubblico di lingua inglese. La nostra prima tappa è stata, per me, un vero e proprio tuffo al cuore, catapultandomi indietro nel tempo quando ero agli inizi del mio girovagare tra filari e cantine della mia regione. Di alcuni di quei primi incontri il ricordo si è fissato indelebile nella mia mente. Ero all’inizio e mi sentivo una spugna desiderosa di assorbire nozioni e segreti, di imparare tutto e subito, ma soprattutto di capire quanto più mi era possibile. Alla fine, però, di quelle primissime scorribande enoiche ciò che mi colpiva più di ogni altra cosa erano i personaggi che incontravo.

In particolare era la figura del vignaiolo fiero ed un po’ burbero quella che esercitava maggior fascino. Così fu l’incontro con il papà di Luigi Sarno (foto) quando arrivai alla Cantina del Barone in quel di Cesinali in provincia di Avellino. Alla fine di una strada sterrata lungo la quale, per la cronaca, c’era una vastità sconfinata di nocelleti, mi ritrovai di fronte ad un casolare isolato. Fermai l’auto e scesi dalla macchina, iniziai a chiamare per vedere se c’era qualcuno. Mi venne incontro un uomo tra il sorpreso e l’infastidito (della mia presenza, probabile avessi interrotto qualcosa) che voleva sapere chi o cosa io cercassi. Mi limitai, impaurito, a dire che volevo solo comprare dei campioni dei suoi vini, due bottiglie di Fiano e due di Aglianico. Ma lui voleva saperne di più e allora gli spiegai che mi ero messo in testa di censire tutte le aziende che producevano vino in Campania (allora erano ancora uno sparuto numero, un progetto fattibile, oggi che sfioriamo quota 300 direi quasi impossibile). Mi guardò perplesso. Non so se incredulo o, semplicemente, diffidente. Mi prese le bottiglie, mi raccontò sinteticamente la sua realtà contadina, io pagai e andai via. I vini mi piacquero nonostante qualche imprecisione esecutiva; perchè erano vini veri, viscerali, umorali e, quello che più conta, mi ricordavano quell’uomo incontrato durante una nebbiosa mattinata autunnale.

Negli anni a seguire ho avuto modo di riassaggiare i vini di questa cantina provando sempre le stesse sensazioni positive senza mai, però, poter far finta di non notare quegli “errori di distrazione”, come a me piace chiamarli. Fino a quando non c’è stata l’inattesa svolta verso l’eccellenza ad opera di un giovanissimo e promettente enologo. Luigi Sarno, classe 1983, ha preso in mano le redini dell’azienda paterna e con grande intelligenza ha deciso di interpretare al massimo il potenziale delle sue uve senza mai rinunciare al piglio naturale, spontaneo, di quei vini che l’avevano preceduto ma semplicemente apportando quell’attenzione e quella accuratezza che fino a quel momento gli facevano difetto. I risultati non sono tardati a venire. Nel frattempo l’Aglianico ed il Fiano di Avellino base sono stati affiancati da un Taurasi e da una selezione di Fiano. Ed è quest’ultima che vi invito a cercare ed assaggiare. La “Particella 928” (reimpiantata con un diverso sesto d’impianto e una migliore esposizione nel 2001), del millesimo 2010, si presenta in tutta la sua istintiva complicità aromatica di pesca gialla, albicocca e nocciola. Impreziosita da delicate note floreali, erbe aromatiche, sensazioni iodate e leggera speziatura. Al palato mostra maggior volume di quanto il naso faccia pensare, pur conservando la giusta necessaria tensione gustativa. Sale e freschezza accompagnano il finale. Una combinazione di forti elementi identitari, riuscita espressione di varietale e terroir tradotti in un bianco dalla beva disinvolta, genuina ed accattivante. Complimenti a Luigi, il nuovo volto (che ci piace) del Fiano.

La seconda tappa ci ha portato da Angelo Muto (foto), un produttore orgoglioso delle sue radici e che rivendica, con forza, la centralità e la storicità dell’areale di Tufo per la produzione di Greco di Tufo. Non riesce a capacitarsi del perchè le etichette più celebrate della denominazione nella maggior parte dei casi provengano da altri comuni. E proprio lì a Tufo, dove tutto ha avuto inizio, si stenti ad imporre un produttore locale. Ecco perchè oggi ho deciso di raccontarvi il Greco a Tufo e non semplicemente un Greco di Tufo. Le vigne di Angelo dimorano su giaciture collinari dalle esposizioni ottimali, forti pendenze e composizione dei terreni ad elevato contenuto di minerali: i più disparati, non solo zolfo ma anche tanto gesso, in pietre e cristalli, che affondano in un’alternarsi di argilla e calcare. La vigna di cui va più fiero è quella acquistata di recente, dove furono impiantati già nel ‘900 i primi filari di Greco. Fu nel corso del tempo abbandonata. La graduale meccanizzazione del lavoro in campagna non era adatta a quel fazzoletto di terra che fino a quel momento solo i muli potevano raggiungere. Non che oggi le cose siano molto cambiate. La ripidissima stradina sterrata che conduce alla vigna è percorribile solo grazie ai rapporti corti di una jeep ed esclusivamente nei giorni asciutti. Quando piove meglio rinunciare. Le miniere di zolfo che un tempo avevano rappresentato fonte di ricchezza per la zona sono oggi solo uno sbiadito ricordo. Si spera che, presto, potrà rivivere in un museo ospitato dal vecchio edificio della famiglia Di Marzo, dove un tempo si trasformava lo zolfo estratto dal sottosuolo.

Le percezioni sulfuree sono oggi il timbro distintivo dei migliori Greco prodotti nella zona. Subito dopo l’imbottigliamento l’effluvio di zolfo dal bicchiere è talmente forte ed insistente da poter risultare quasi fastidioso ai degustatori più intransigenti. Col tempo lascia sempre più spazio ad una maggiore complessità di sensazioni, senza mai perdere la mineralità distintiva impressa nel dna del vitigno e del suo terroir. Le annate 2009 e 2010 di Cantina dell’Angelo (Angelo Muto appunto) sono allo stesso tempo estremamente didattiche e rappresentative. Fiori, frutta gialla, spezie a fare da contorno. Al palato alcol, sale e freschezza si rincorrono in un precario equilibrio spostato, almeno in gioventù, sull’ultima voce. L’acidità servirà nel corso del tempo a preservare il vino ed assicurarne la longevità. Greco riparte da qui, da Tufo, per riscoprire e riappropriarsi delle sue origini, del significato stesso della sua ragion d’essere ed esistere. Finchè ci saranno persone come Angelo, in grado di preservarne l’anima più autentica, il Greco di Tufo, a Tufo, non correrà pericoli.

L’intensità e il coinvolgimento dell’ultimo incontro previsto, dopo la pausa pranzo, ci ha piacevolmente e letteralmente rapito fino a tarda sera. Romano Soccorso (foto) è il Cancelliere. Si tramanda questo appellativo ormai da generazioni. La sua è una vera e propria fattoria. Non didattica. Ci sono i maiali e le galline. Li allevano e li mangiano. Servono al consumo familiare, non a fare scena sul turista di passaggio. Mentre visito la cantina con la nuora Rita, lui preferisce rimanere a giocare con la sua nipotina. Fa bene. Rita se la cava egregiamente anche da sola. Ha passione ed energia da vendere. Ed emozioni da trasmettere. Quando parla dell’avventura inziata qualche anno fa e che li ha catapultati subito nel ristretta cerchia dei migliori interpreti della denominazione, gli occhi le diventano lucidi, il suo volto dolce e sorridente s’inorgoglisce. Siamo a Montemarano, dove si producono grandi Taurasi: Molettieri, Cantina Giardino e Luigi Tecce, giusto per fare tre nomi. Passato, presente e futuro che s’intrecciano. La casa del Cancelliere è completamente immersa tra i filari delle vigne, dovunque ti volti lo sguardo incontra filari. Per tanti anni hanno prodotto uve destinate a terzi, oggi sono imbottigliate alla proprietà. Una pressa soffice per la pigiatura ha da poco sostituito il glorioso torchio che fa ancora bella mostra di sè in mezzo al cortile. Una macchina per imbottigliare ed una per etichettare sono l’unica altra tecnologia che ha fatto ingresso in cantina per un lavoro che manualmente era divenuto ormai improponibile. Per tutto il resto ci si affida a metodi naturali, in vigna come in cantina.

Può capitare così che il Taurasi 2007 sia ancora in botte a maturare alla ricerca dei giusti equilibri mentre il 2008 è già pronto per il successivo affinamento in bottiglia. Due le etichette da tenere a mente: un aglianico, il Gioviano, commercializzato dopo circa un anno e mezzo di invecchiamento tra barrique e grandi botti di castagno e rovere, e il Taurasi Nero Né -in versione anche riserva- nelle annate che lo suggeriscono. Il Gioviano 2007 è il vino da cercare in questo momento, probabilmente il migliore finora uscito dalle cantine di Montemarano e che, considerato il prezzo, rappresenta, davvero un buon affare. Frutto, succo, spezie e mineralità, alcol robusto, corpo e sostanza, tannini risolti, freschezza acida, finale saporito e lungo. Nel tardo Medio Evo il Cancelliere era colui al quale veniva affidato il compito di custodire il sigillo ufficiale di un comune. A Romano è toccato quello di Taurasi.

Fabio Cimmino

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