Bollicine su Trento. Territori a confronto: Trentodoc Vs Champagne

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di Claudio Corrieri

TRENTO – Nel panorama vitivinicolo trentino la produzione spumantistica occupa una posizione di assoluto rilievo sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono ormai una quarantina le aziende che si cimentano con le bollicine, racchiuse sotto l’egida della Trentodoc, per un totale di 90 etichette decisamente interessanti. Di più: 8,5 milioni di bottiglie sfornate ogni anno (che vanno a occupare circa il 35% del mercato interno dei Metodo Classico italiani) sono numeri, e intendimenti, non da poco.

Quel che più conta però, almeno per quanto ci riguarda, è che inizia ad emergere uno stile Trentodoc, decifrabile e identificabile grazie alla sensibilità interpretativa di un numero via via crescente di produttori che hanno ben “fotografato” il proprio territorio tentandone con coerenza una trasposizione non soltanto accademica quanto personale. Che si tratti delle ormai celebri cantine cooperative, importanti sia per il numero delle bottiglie prodotte che per la capacità di sostenere un prezzo di acquisto delle uve redditizio per i tanti conferitori, o che si tratti di realtà a carattere familiare ormai inserite e consolidate nel tessuto locale di vigne e territori, possiamo sicuramente parlare di una fase storica stilisticamente compiuta.

Possiamo altresì confermare il fervore e il rinnovato interesse delle nuove leve di vignaioli ed enotecnici nel perseguire la strada intrapresa dalla generazione precedente, accelerando persino sul fronte della tecnica e della perizia enologica, aspetti determinanti nella produzione di bollicine di qualità. Da questo momento, con una decisa opera di marketing, informazione e diffusione verso un più ampio bacino di utenza, nazionale ed extranazionale, si potranno gettare le basi per concretizzare una visibilità e una presenza che forse hanno fin troppo sofferto le incertezze di una azione fin qui poco congiunta, poggiandosi perdipiù sulle capacità imprenditoriali dei gruppi più potenti.

La nostra recente visita trentina, in occasione dell’evento “Bollicine su Trentoincontri e suggestioni con sua eccellenza Trentodoc”, ci ha fornito un ulteriore punto di vista e uno splendido spaccato della realtà odierna. Un evento che abbiamo seguito anche in passato nei suoi momenti di riflessione e dibattito, nelle degustazioni di vecchie annate, come in quelle in uscita. La storia invece ci riporta alle intuizioni del ”Sior Giulio Ferrari” agli inizi del ‘900. Quelle di impiantare chardonnay in loco (e in zone vocate) e di attivare le tecniche della rifermentazione in bottiglia apprese durante i suoi viaggi-studio nella Champagne. E’ chiaramente il colosso Ferrari, acquistato dai fratelli Lunelli negli anni ’50, il perno attorno al quale si è sviluppato il grande processo di rinnovamento tecnologico delle cantine trentine di quegli anni. Senza dimenticarci però dell’opera fondamentale di Nereo Cavazzani, personaggio di spessore ed enotecnico di valore. Fu proprio grazie all’introduzione di nuovi criteri di lavoro, dalla scelta del territorio più adatto a quella di vitigni e portainnesti, dal sesto di impianto fino alle tecniche enologiche, che la produzione di bollicine incrementò in qualità ma anche in quantità. Cavit e Ferrari erano le aziende leader della futura Trento doc, ma va pure ricordata l’esperienza del team Equipe 5, per profondità d’azione e genialità dell’intuizione, tutta incentrata sulla ricerca qualitativa e ispirata al metodo champenois francese.

Ma sarebbe oltremodo ingiusto, oltre che poco esaustivo, non ricordare gli altri produttori che hanno rafforzato l’immagine della denominazione, fra i quali spiccano Abate Nero, Bellaveder, Cantina d’Isera, Cesarini Sforza, Balter, Endrizzi, Dorigati, Maso Martis, Letrari fino ai più recenti Moser e Revì, solo per citarne qualcuno.

Pochi giorni fa, nell’ambito di una interessante degustazione svoltasi a Palazzo Roccabruna di Trento e condotta “a due mani” dall’enologo Enrico Paternoster e dal bravo giornalista –peraltro collaboratore della Guida Vini Espresso Pierluigi Gorgoni, si è inteso mettere a confronto la denominazione Trento Doc con la più blasonata denominazione Champagne. Sono state servite, tutte rigorosamente alla cieca, otto flute di bollicine per un confronto che non si basasse su una valutazione di merito scandita da punteggi e classifiche, bensì sulla volontà di identificare le peculiarità delle due denominazioni cercando di “leggerle” da otto “semplici” bicchieri.

Ebbene, le differenze si sono delineate assai nettamente. Due i fili conduttori: le bollicine di origine trentina presentano aromi marcati di frutta bianca e fiori, con sensazioni di maturità ben espressa, una maturità da clima dolomitico più che continentale. L’avvertibile acidità (più tartarica che malica, più mela matura che mela verde) alimenta la freschezza in un rimbalzo continuo fra polpa e tensione. Da notare come l’aromaticità assuma connotati di maggiore delicatezza nel caso di vigneti di montagna: i cru migliori infatti si trovano a 500/600 metri slm, con sesti d’impianto concepiti in funzione delle esposizioni solari a quelle altitudini.

Le bollicine d’Oltralpe staccano profumi spiccatamente dinamici, fra florealità e frutta secca, con una tendenza più o meno ossidativa per un elegante quadro d’insieme. L’acidità (spesso di natura malica), a contrastare la dolcezza del liqueur o la maturità impeccabile del frutto, si avvale qui di una linfa minerale che le piante traggono dallo straordinario terroir gessoso tipico della Champagne (les craies). Inoltre davvero istruttivo appare l’uso dei legni, per niente o poco marcanti, a tutto vantaggio della espressività e del territorio. Spesso chiaramente leggibili le zone di provenienza, fra Côte des Blancs (a base chardonnay) e Montagne de Reims (a base pinot nero).

Lasciamo alle note di degustazione una più puntuale disanima delle differenze. Ma possiamo ben concludere che, grazie agli assaggi effettuati il giorno prima fra i banchi dei produttori trentini (di cui ci parlerà Fernando Pardini in un pezzo loro dedicato) e a questa didattica degustazione comparativa, la Trentodoc abbia decisamente imboccato la strada del riconoscimento e della identità. E affermare che molte delle sue bollicine, grazie alla caratterizzazione assunta, possono ormai ambire al posto che meritano nel competitivo contesto mondiale degli Champenois d’autore.

Trentodoc Selezione 1907 Riserva 2006 – Cantina d’Isera (chardonnay 100%)

Bolle fini, buona espressività floreale da chardonnay maturo al punto giusto, note di mela golden e “duro di menta”, quadro sottile ed elegante. Matrice minerale intensa, linearità d’azione, cremosità e assoluto bilanciamento. Slancio finale leggermente frenato dalla componente zuccherina. Bel ritmo gustativo, ottimo conseguimento.

Champagne Extra Brut Grand Cru Vieille Vigne de Cramant 2002 – Larmandier Bernier (chardonnay 100%)

Minerale, “gessoso”, verticale, selettivo, quasi rigido inizialmente. Si apre pian piano su note di frutta secca (fra noccioline e mandorle), clorofilla e idrocarburi, la carbonica è ottimamente integrata e il ritmo si fa incalzante, anzi inarrestabile con l’aerazione. Lunga scia sapida.

Trentodoc Altemasi Riserva Graal 2004 – Cavit (chardonnay 70%, pinot nero 30% dalle colline di Trento, Brentonico e Valle dei Laghi)

Note mature di frutta bianca, patisserie au four, mentolato dei legni, bergamotto da pinot nero, aspetti caramellati e di zucchero filato, mandorla. Vinoso, di struttura, polpa e volume. La scorrevolezza non è il suo forte. Giocato sui toni morbidi e sulla sofficità del tatto, appare più largo che profondo, pur recuperando nel finale una certa agilità.

Trento doc Riserva Methius 2005 – Metius Dorigati (chardonnay 60%, pinot nero 40% dai rilievi collinari di Faedo e Pressano, dai 350 ai 500 metri slm)

Naso complesso fra idrocarburi, menta, erbe officinali, agrume, bergamotto e mandorla “spellata”. Il tratto balsamico tende ad assumere connotati più crudi e vegetali, anche se non prevaricanti; acidità non diffusiva ma rinfrescante. Finale “regolato” dai legni, rigido e leggermente amaricante.

Champagne Extra Brut Grand Cru Le Mesnil sur Oger – Robert Moncuit (chardonnay 100%)

Naso netto, fondato su una dominante minerale decisa e tagliente e su note floreali. Estrema “verticalità” e droiture al gusto, notevole spinta dettata dall’acidità. Note di agrume per un finale tutto in freschezza, espressivo e “galoppante”.

Champagne Brut Grand Cru Cuvèe St.Vincent 2000 – Legras (Chardonnay 100% da Chouilly)

Bolla finissima, da invecchiamento sui lieviti. Ossidazioni guidate e piacevoli, bei contrasti (fra mela matura e balsami). Notevole espressività fra fiori, agrumi, tostature e frutta secca. Palato a dir poco minerale, affondo deciso nel segno della freschezza, pervasivo e solleticante.

Trento doc Riserva Aquila Reale 2003 – Cesarini Sforza (chardonnay 100% dal Maso Fontane- Val di Cembra)

Il naso traduce sensazioni di frutta matura, una nocciola “puntuta” e un leggero sopravanzo alcolico. Sviluppo largo e fruttato, morbido e accondiscendente, vanigliato e balsamico. Burroso e tostato il finale, che stenta un po’ a mantenere tono e tensione.

Champagne Brut Grand Cru Avize 2002 – Jacquesson (chardonnay dai lieux-dit  La Fosse, Nemery e Champ Cain di Avize)

Materia magnificamente integrata alla carbonica per un vino denso e cremoso, potente e strutturato, rimpolpato ottimamente dalla lunga sosta sui lieviti. Ricco e persistente, supportato da una acidità fresca e da una profonda mineralità, ha stoffa e ritmo da grand vin. Chiude lunghissimo su note di pasticceria e petit four.

Assaggi effettuati a Trento nel mese di novembre 2011.

L'AcquaBuona

2 COMMENTS

  1. articolo molto interessante ed approfondito il contest .Manca solo un “dettaglio”……. i prezzi !!!!
    Per chi ha la fortuna di assaggiare il meglio senza aprire il portafoglio forse non è importante ma per tutti gli altri direi di si .

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