Una chiacchierata con… Luigi Cataldi Madonna

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Se un marziano mi chiedesse di raccontargli in poche parole l’Abruzzo del vino probabilmente farei ricorso alla “santissima trinità” composta da Francesco Valentini (fu Edoardo), Emidio Pepe e Luigi Cataldi Madonna.

Il primo lo identifico col trebbiano d’autore (anche se montepulciano e cerasuolo mica scherzano!): Valentini è l’unico che, grazie a un connubio miracoloso tra uomo, clima e territorio è riuscito ad elevare a vino di caratura mondiale un bianco che, quando va bene, al massimo si sbicchiera tra amici di poche pretese. Il suo trebbiano è un “purosangue” longevo e complesso che tutto il mondo enologico ci invidia.

Emidio Pepe invece è il montepulciano (buono anche il trebbiano, però!): alcune annate del suo rosso (ad esempio la 2007 o, andando indietro, la 2001 o la 1993) sono capaci di scuotere le corde emotive nel profondo! Un vino che all’inizio può spiazzare, ma che, se si ha la pazienza di ascoltarlo, racconta un’affascinante storia fatta di sinergia e rispetto reciproco tra uomo e natura.

Luigi Cataldi Madonna completa il quadro con il cerasuolo e il pecorino. Il suo rosato base è il vino più abruzzese che ci sia: “vinello” di una spontaneità disarmante, fresco come le notti aquilane e coinvolgente come le bellezze naturalistiche dell’Abruzzo interno. Il Piè delle Vigne (cerasuolo affinato due anni) è uno dei rosati più succosi ed eleganti in commercio. Il “chiacchierato” pecorino, al di la della primogenitura marchigiana, oggi si identifica con l’Abruzzo e Cataldi Madonna ne è l’indiscusso padre putativo (fu il primo, nel 1996, a chiamare un vino con questo nome: cosa all’apparenza banale ma che ha poi fatto sì, grazie al successo commerciale, che il vitigno diventasse riconoscibile).

Per raccontare meglio i protagonisti di questa magica triade parto proprio dall’ultimo. L’occasione mi è stata offerta dagli amici Valeriani e Ronconi della guida Vini Buoni D’Italia, che nel wine-bar Cheese&Cheers di Roma hanno organizzato un incontro col produttore e con i suoi vini. Chi ha avuto la fortuna di partecipare ad una cena con Luigi Cataldi Madonna sa già in partenza che noia e formalismo si terranno alla larga! L’incontentabile e perennemente agitato professore (insegna storia della filosofia all’università dell’Aquila) è un abile oratore e loquace intrattenitore, e “carburando” nel corso della serata regala battute, aneddoti, racconti che, intrecciati con l’indubbia qualità dei suoi vini, contribuiscono a creare un’atmosfera rilassata e coinvolgente.

 Come sempre Luigi apre la serata ricorrendo alla metafora del “forno sotto il frigorifero”: è così che gli piace descrivere, con efficace sintesi, il territorio tra Ofena e Capestrano, in provincia dell’Aquila, dove ha sede l’azienda. Siamo su una conca-altipiano dalla caratteristiche pedoclimatiche uniche: l’effetto forno è dovuto alla particolare conformazione della zona, che d’estate concentra i raggi del sole facendo salire la temperatura spesso oltre i 40°, mentre il frigorifero naturale è il ghiacciaio (oggi declassato) del calderone del Gran Sasso, l’unico del centro-sud Italia, che di notte, con l’aiuto dei venti, abbatte il termometro regalando escursioni termiche impensabili altrove. Aggiungete a ciò un terreno di origine morenica, ghiaioso e roccioso, molto fresco, ed avrete la chiave di lettura per interpretare questi vini, tutti giocati sui profumi, sull’acidità, sulla spiccata e sapida mineralità, sulla facilità di beva (<<[…] va bene la freschezza, va bene la mineralità, va bene quello che vi pare, ma a me interessa che i miei vini “calino”! il vino da meditazione è uno stupro giornalistico, perché il vino è una bevanda e se non “cala” non serve a niente!>>). Caratteristiche che Luigi ed i suoi enologi hanno deciso di esaltare puntando su vinificazioni molto conservative – crio-macerazioni e minimo contatto con l’ossigeno – sovente oggetto di polemiche da parte dei puristi della naturalità (bellissima, a tal riguardo, la battuta di Luigi: <<spero di non deludere nessuno dei presenti ma purtroppo io non sono naturale, sono artificiale!>>).

Passiamo ai vini. Abbiamo aperto con il Trebbiano d’Abruzzo 2011: il vino senz’altro più sottovalutato, dallo stesso produttore. A mia domanda diretta Luigi ha risposto che ogni vino ha un suo percorso e che anche per questo bianco minore, dopo una serie di sperimentazioni, crede di aver individuato il profilo giusto. Si tratta di un “trebbianino” tutta beva, offerto sul mercato ad un costo molto accessibile, da mescita facile insomma, forse fin troppo profumato ma senz’altro assai fresco e piacevole.

Seguivano poi i due rosati: il Cerasuolo “base” 2011 – che ho già detto essere a mio avviso il paradigma del buon rosato abruzzese – era ancora in fase d’assestamento (qui è scattata una piccola frecciata alle norme attuali che consentono l’imbottigliamento dei vini Doc già a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo alla vendemmia: <<[…] siamo costretti ad uscire con alcuni prodotti per evitare che ti freghino gli altri…dove posso aspettare , aspetto, e infatti il Pecorino e il Pié delle Vigne escono dopo 2 anni e sono uno dei pochissimi a farlo, però con altri prodotti non me lo posso permettere>>). Il Piè delle Vigne 2009 è stata invece l’occasione per ricordare ai presenti che <<[…]il cerasuolo è sempre stato il vero vino della casa per il contadino dell’entroterra abruzzese, quello con cui si pasteggiava e si lavorava in campagna, dosando a piacimento la quantità di rosso che doveva far parte dell’assemblaggio finale>> (il riferimento è all’antica tecnica della “svacata”, utilizzata da Cataldi, che consiste nel vinificare in bianco una parte delle uve, per poi aggiungere la restante parte vinificata con una normale macerazione sulle bucce ma fermentata solo a metà).

Il Pecorino 2009 è stato senz’altro il vino che mi ha emozionato di più: su questo vino Luigi le ha provate veramente tutte prima di arrivare alla silhouette attuale. Raccolta tardiva, raccolta anticipata, legno sì, legno no, tempi di affinamento in acciaio e vetro diversi, cambiamento dei processi di vinificazione…il pecorino di Cataldi Madonna è l’approdo finale di un percorso durato più di 15 anni che lo ha portato a cercare di preservare al massimo il corredo aromatico di quello che Alessandro Bocchetti del Gambero Rosso definisce un “piccolo riesling mediterraneo”. (ricordo che la stragrande maggioranza degli omonimi in commercio oggi provengono da vigne impiantate solo negli ultimi 6-7 anni) E così nel bicchiere troviamo un caleidoscopio di profumi, dal litchi al frutto della passione, dal pompelmo alla scorza d’agrumi, con una sottile mineralità di fondo che sorregge, all’assaggio, un corpo importante mascherato da una facilità di beva impressionante. Un grande vino bianco tout court!

E’ toccato poi ai rossi: il Montepulciano “base” 2010, seppur un po’ “verdino”, invita all’amicizia, alla bevuta, alla tavola; il Malandrino 2009 ha una bellissima materia di fondo, ma una tessitura ancora un po’ troppo irretita dal legno (si farà…e la tendenza dell’azienda è di ridurre sempre più il passaggio in rovere). Infine una mini-verticale del “campione” di casa, il Montepulciano D’Abruzzo Tonì, con tre annate frutto di una scelta non casuale.

L’annata 1988 è stata quella del primo imbottigliamento: <<[…] a quei tempi non avevo alcuna intenzione di entrare nel mondo agricolo, ero un intellettuale che pensava che i cafoni fossero cafoni…feci questo vino come omaggio a mio padre (da cui il nome), utilizzando barrique comprate di nascosto…l’etichetta la copiai da Gaja…andai in enoteca e scelsi quella che mi piaceva di più. E’ un vino quindi fatto con molto entusiasmo e poca tecnica, che dimostra tutta la potenza del territorio di Ofena>>. Nel bicchiere ha ancora vitalità, si regge su un sottile equilibrio tra maturità e note ossidative, e regala una beva piacevole ed emozionante.

La 2002 è stata un’annata pessima, difficile e slavata:<<[..] per fare questo è un vino mi sono ispirato a Russell Coutts (celebre velista)…l’ho portato per due motivi: per dimostrare quanto può contare il “timone” del produttore anche nelle annate difficili e… perché non l’ho venduto e quindi lo uso in tutte le degustazioni!>> (più franco di così!). Nel calice la mano enologica importante si sente tutta: è un vino in perfetto stile fine-anni-Novanta/inizio-Duemila, con tanta materia, estratti e potenza (<<[…] a quel tempo per avere successo i vini dovevo farli così, solo dopo mi resi conto che il territorio non si prestava>>).

Per finire la 2008, appena entrata in commercio, bottiglia in cui è confluita la perfetta sintesi tra potenzialità del territorio e sensibilità del produttore: è un vino perfettamente centrato, di un nitore e una precisione millimetrica, con un’integrità del frutto eccezionale, una presenza del legno evidente ma equilibrata, ancora in divenire ma che già lascia intravedere tutto il suo talento.

Nella “santissima trinità” del vino abruzzese, se Emidio Pepe, decano dei produttori, può rappresentare il “padre”, e Valentini, visto il miracolo che riesce a fare con il trebbiano, lo “spirito santo”, Luigi Cataldi Madonna incarna allora il “figlio”: perché ha una storia tutto sommato recente, ma anche perché, “come un bravo figlio che ha studiato”, ha saputo cogliere con sensibilità rara gli insegnamenti di coloro con cui è venuto in contatto, ascoltando il suo territorio ed esportando nei suoi vini l’immagine di un Abruzzo tradizionale e moderna al tempo stesso.

(Credit: l’immagine della piana di Ofena con il Gran Sasso alle spalle è presa dal sito Ofena.info)

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

8 COMMENTS

  1. Bene, bene, bene. davvro proprio questo rimando alle scritture: “…Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi … In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me … Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui…”

    p.s. io comunque valentini lo ragiono diversamente
    Mario

  2. “,,,Invece ho trovato altrettanto “proprio” un tuo ragionamento presente in un articolo all’interno del quale era nuovamente presente la “trinità”. Relativamente alle questioni dell’analisi dei vini non voglio entrare, anche se continuo a ritenere che per valentini era necessario un altro approccio.

    Quello che [non] mi ha interessato del tuo discorrere è tutto nella parte introduttiva.

    Tu affermi infatti che l’Abruzzo oramai “..si è ritagliato un posto di rilievo sulla mappa enologica italiana..”. Bene, analisi importante ed interessante. Affermi a supporto di tale argomentazione che nella nostra regione “il vino buono (al palato, alla mente e infine allo stomaco) non manca…”.

    Già, il vino buono. Proprio sul “…vino buono allo stomaco..” in Abruzzo a partire dal 2000/2001 ho ragionato compiutamente all’interno della ricerca che ho articolato per un decennio sulle qualità che ritenevo necessario recuperare: per essere nel Tempo. Invece in giro si assaggiava altro.

    Il “…vino Buono allo stomaco..” veniva lavorato quotidianamente nei nostri spazi. Tale qualità, difesa ad oltranza contro lo strapotere di altre, fu posta come ragione guida anche all’interno di un dibattito pubblico nel quale eri presente ancora qualche anno fa. Bene, bene, bene…sei allora arrivato e sempre allo stesso modo. Non ti è facile rispettare ciò che nel nostro territorio è stato articolato.

    Del resto anche nel ragionare sul percorso attraverso cui un vino viene definito manifesti una “Fragilità Culturale” che il megafono non può certo risolvere. Il megafono, tale “Fragilità”, al limite, può solo megafonarla.

    E io posso solo registrare tale ampliamento del limite culturale nel quale, a volte, i megafoni dimostrano di voler continuare a vivere.

    Se vuoi ne possiamo ragionare….

    Mario Iacomini

  3. Caro Mario,
    forse ti sfugge che questo è uno spazio di una testata giornalistica online, che è ben contenta di ricevere commenti agli articoli che pubblica purché siano prettamente attinenti agli stessi. Se hai qualcosa da commentare su quanto qui pubblicato sarò ben felice di risponderti. Il resto lasciamolo alle chiacchere da bar. Cordiali saluti.

  4. “…Bene franco, bene.
    Sono con te quando dici che molte cose mi sfuggono. Del resto è da sempre che evidenzi i miei “spazi vuoti di sapere”. Hai sempre puntato la lingua sui miei orrori – di pensiero – relativi ai risultati della mia ricerca sul gusto e della “poi pratica”.

    Io non sono un critico ne tanto meno uno studioso. Io ho sempre e solo fatto ricerca. Per questo leggo e rifletto il pensiero di quelli che certamente sono più attrezzati di me…per sapere dove ho sbagliato.

    Se ti ricordi bene, sbagliavo anche quando cercavo di riflettere e far riflettere sulla necessità di lavorare, attraverso uno spazio ristorativo, con i prodotti del nostro territorio: l’Abruzzo. Molti clienti storcevano il naso nel momento in cui si rendevano conto che avevamo solo vini abruzzesi.

    Nel ’97/’98 di vini abruzzesi se ne trovavano pochi nel nostro comprensorio. Il mercato era occupato da produzioni “estere”. Cos’ come, successivamente (dal 2001/2002 in poi), sbagliavo a riflettere e far riflettere sulla necessità di lavorare sui vini “…buoni allo stomaco..” Molti clienti storcevano il naso nel momento in cui si rendevano conto che stavamo piegando verso una tipologia di vini che non era quella di “successo”. Impiegammo più di tre anni per far passare la proposta dei vini “crudi”, dei vini “…buoni allo stomaco..” Con Pepe, organizzammo anche dei momenti di divulgazione….

    Già, i miei soliti spazi vuoti di sapere. Sbagliavo, del resto i miei padri spirituali erano altri. Si, i miei padri: quelli che segnano il tempo

    Ragioniamo sul tuo articolo allora…

    Io sono stato però educato a riflettere e a ragionare su di un testo con un approccio allargato alle ragioni complessive articolate, nel tempo, dall’autore. E un articolo è comunque testo che si inserisce nell’opera complessiva di analisi, di critica e di divulgazione di un autorecritico.

    Mi hanno educato, ad esempio, a riflettere sull’ opera di pasolini regista mettendo in relazione i vari film, in una progressione di “senso e di valore “, con la produzione di pasolini scrittore, saggista e poeta.

    Altro ma non distinto è il necessario ragionare sulla costruzione dell’opera di alcuni altri registi o di scrittori o di pittori o di…critici.

    Il mio ragionare su articolato io, evidentemente, lo ritengo porprio. Lo ritengo proprio anche in virtù del fatto che l’articolo da cui ho estrapolato alcuni passi, mi sembra, molto vicino a quello – questo – su cui stiamo ragionando.

    A parte l’intervista, la struttura, il tema, il senso, eccetera, sono simili: i testi sono simili. Ed allora come fare a non considerare i due articoli come un testo di critica unico? Ciò che sfugge, allora, non sfugge a me.

    Il mio tentativo di ragionare i due articoli attraverso un’analisi traversa permetterebbe, inoltre, di allargare il confronto sulle questioni dell’attuale attualità. Non senti quel che si sta ragionando in giro? Dal tuo luogo, oramai, dovresti renderti conto che i miei spazi vuoti di sapere sono stati colmati. Certo, è un tuo diritto dire che molto mi sfugge, così come è mio diritto affermare che dall’analisi traversa dei due articoli il tuo ragionare manifesta una “Fragilità Culturale” di fondo.

    Per le chiacchiere da bar, debbo sottolinearti il fatto che i bar (come attività dedita alla ristorazione, quindi anche i locali, i ristoranti, eccetera) sono i luoghi in cui le chiacchiere debbono funzionare. Per questo motivo, io non mi sono mai permesso di produrre “chiacchiere da bar”. Da sempre sto molto attento quello che dico e che scrivo. Vuoi mettere…il “…vino buono allo stomaco…”!!!

    Ed allora, come fare a non ragionare il tuo ragionare?

    Aspetto allora un tuo cenno di riscontro. Magari non sarebbe male postare passi maggiori dell’articolo da me preso in esame.

    Mario Iacomini…”

  5. “…Caro Franco Santini,
    sono in attesa di una tua risposta.

    Credo di essere stato chiaro sulla modalità, da me adottata, di lettura di un testo.

    Per questo motivo spero che il tuo intervento giunga presto. Vorrei infatti chiarire il perché ritengo proprio il mio rimando all’articolo “gemello”. Di quest’ultimo allora serve il testo.

    Mi piacerebbe innanzitutto ragionarvi il fatto che ciò che sfugge non sfugge a me.Con il testo dell’articolo gemello ciò sarà evidente.

    Altro ma non distinti è il ragionamento che dal confronto potrebbe svilupparsi su ciò che in abruzzo è stato negli anni prodotto.

    Non sarebbe male, visto che stai anche ragionando – in tuoi interventi altri – sulle [non] qualità abruzzesi – i risultati della mia ricerca – affrontare il discorso…a tutto tondo.

    Che ne pensi?

    Bene, benissimo…

    Rimango in attesa del tuo intervento.

    Una domanda: il testo dell’articolo gemello lo posti tu?

    Mario

    p.s. Come sai sono sempre disponibile ad accettare ciò che mi viene detto. Cerco, però, di ragionare e far ragionare sulle qualità (delle premesse – ? -) che determinano i giudizi che su di me o sui risultati della mia ricerca vengono espressi. Come sai, sulle questioni della crisi della ristorazione, ad esempio, i nostri ragionamenti li abbiamo pur fatti viaggiare….tanto tempo fa! Anche allora tutti – anche tu – dicevano che molte cose mi sfuggivano e che, quindi, quel che proponevo era del tutto errato. Poi…..”

  6. “…Mi sto rendendo conto che forse prima di affrontare le questioni relative al contenuto dei tuoi due articoli gemelli (+o-) dovremmo cercare di comprendere se la mia proposta di ragionare un testo attraverso un’analisi “traversa” è proposta possibile.

    Quali sono i motivi che ti hanno spinto a articolare il tuo intervento (“…forse ti sfugge che questo è uno spazio di una testata giornalistica online, che è ben contenta di ricevere commenti agli articoli che pubblica purché siano prettamente attinenti agli stessi. Se hai qualcosa da commentare su quanto qui pubblicato sarò ben felice di risponderti..”)?

    Io non ero stato attinente al testo?

    E perché mai ritieni che io sia stato non attinente al testo?

    Io stavo solo ragionando partendo da un tuo testo “contiguo” – anche temporalmente – . Non era possibile operare in questo modo?

    E’ possibile, cioè, impostare un percorso di analisi del tuo articolo partendo dallo studio di un tuo altro testo?

    A me sembra ovvio – possibile in questo caso – il mio procedere anche perché il testo dal quale sono partito è testo gemello a quello qui pubblicato.

    Prima di ragionare il contenuto dell’articolo – dei due articoli – un bel confronto sulla metodologia della critica non sarebbe male…

    Fammi sapere… aspetto la pubblicazione dell’articolo da quale sono partito: l’articolo gemello

    Mario

  7. Caro Franco Santini, sono ancora in attesa dell’articolo gemello…
    Grazie
    Mario

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