Bollicine su Trento: è pioggia che fa bene. Panorama ultime annate/1

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TRENTO – Ottima occasione, quella che mi si è presentata qualche mese addietro, per approfondire e testare lo stato dell’arte spumantistico trentino. Davvero. Si è trattato del lancio di un marchio collettivo assai sbandierato e molto atteso chiamato TRENTODOC, nato con l’intento di rafforzare un brand che pare abbia dovuto soffrire una neanche troppo latente incompatibilità di pensiero e d’azione fra i vari attori di una storia peraltro bella da conoscere e da tramandare. Fra cantine sociali e marchi storici, fra grandi aziende e piccoli vigneron, i rapporti in ottica “geopolitica” e commerciale non sempre sono (stati) agevoli. La tipica caparbietà, tutta montanara, della gente del posto ha poi fatto il resto.

Così -notizia dell’ultim’ora- scopro che questo marchio, fresco di varo, se lo vanno contendendo diversi enti di promozione e tutela, ciascuno con prerogative e intenzioni differenti, ciascuno con le sue belle rivendicazioni da mettere sul piatto, e la confusione sul da farsi per rafforzare la nomea di una terra potenzialmente molto vocata per la spumantistica regna (quasi) sovrana. Ma io, ligio come sempre al mandato affidatomi, che è quello di confondermi con vini e terroir (di gran lunga la cosa che mi viene meglio e che amo fare di più), ravvedo qui una ghiotta occasione per dischiudere le mie acerbe conoscenze sul tema, alle prese con le ultime annate dei benedetti Trentodoc.

Così salto volentieri a piè pari annose discussioni su massimi sistemi, opportunità “mercantili”, strategie promozionali e di comunicazione. Fa specie però pensare che nella stessa Trento, se giri per i locali “in” della città, dove verso sera prende corpo e voce una fervida movida e i giri di bicchiere turbinano che è un desio, su 10 turisti che chiedono una flute 7 intendono (e vogliono) un Franciacorta (probabilmente ignorando l’esistenza stessa dello spumante trentino), 2 un Ferrari (di cui uno solo dei due sa che Ferrari è una cantina trentina) e 1 -vivaddio- dimostra curiosità verso i Brut della zona. Se questa è la realtà delle cose certo che può far male, all’orgoglio e alla storia di una regione assolutamente meritevole di maggiori attenzioni.

Ma non c’è da esser troppo pessimisti, su! Le bollicine oggi “tirano più che un carro di buoi”, e in questo trend fatto di entusiasmi e mercati nuovi il Trentino ovviamente potrà e saprà inserirsi con efficacia e perspicacia, a giocarsi la sua bella partita da protagonista. Probabilmente, se si conoscesse meglio la realtà variegata e stimolante della produzione vinicola regionale, sarebbe meglio per tutti. Perché spesso i bicchieri parlano più di tante parole, e io confido sempre – forse troppo? – nella verità e nella potenza evocatrice di un bicchiere. E qui di bicchieri interessanti ve ne sono. Si tratta magari di spargere ben bene la voce in giro! Così come c’è ancora della strada da fare, ed è un personalissimo punto di vista, per esibire una caratterizzazione più decisa e coerente con i privilegi che i terroir di montagna sono potenzialmente in grado di garantire in maniera esclusiva rispetto ad altre zone spumantistiche italiane. Non è roba da poco, tutta questa unicità. Non andrebbe disattesa. Non è roba da poco tutto questo pregresso di sperimentazioni, esperienze e consapevolezze. Mortificare un patrimonio di cultura e sensibilità interpretativa con diatribe di cortile, endemici ritardi, strategie fumose di marketing forse non è il caso. Così come non è il caso, da parte dei produttori, adagiarsi su stilemi stilistici poco personalizzanti e piuttosto omologanti, alla ricerca di una idea di bere easy, sdolcinata, inoffensiva e compiacente. E i piccoli vignaioli del Trentino, poi la finiamo lì, devono poter contare su una voce istituzionale più forte, una voce autorevole, preparata, dinamica, consapevole, che “gridi” anche per loro. Perché piovono bollicine su Trento, ed è una pioggia che fa bene, basterebbe non disperderla in troppi rivoli stanchi.

Qui di seguito la prima parte dei miei incontri, proposti in stretto ordine di apparizione.

Abate Nero

Confesso di aver conosciuto da Luciano Lunelli ed Eugenio de Castel Terlago una delle produzioni “mosse” più interessanti del contesto regionale, capace di coniugare ad una manifattura attenta di stampo sartoriale una caratterizzazione tipologica molto territoriale fondata sulla freschezza acida, senza ricorrere a generosi dosaggi o a sfiancanti morbidezze. Nella definizione puntuale, nel ritmo e nella sottigliezza ho ravvisato le carte in più per approdare ad una espressività convincente, che mi parla (senza bisogno di parole) della montagna che c’è lì.

Abate Nero Domini 2007 (100% chardonnay)

Fragrante, nocciolato e floreale, elegante, sottile, fresco, accattivante, davvero gustoso e calibrato. Fra i migliori Brut assaggiati quest’oggi. Si inizia bene!

Cuvée dell’Abate Riserva 2006 ( 80% chardonnay, 18% pinot nero, 2% pinot bianco)

Ampio, “confortevole”, pacioso, piacevolmente sapido e leggermente dolcino a fondo bocca; più largo che teso, non dimentica la finezza nel tratteggio della carbonica e ti lascia su ricordi di confetto e menta.

Abate Nero Extra Brut (100% chardonnay)

Diretto e diritto, floreale, balsamico, franco, fresco e calibratamente ammandorlato. Non complesso, quello no, ma godibile e pimpante.

Accademia del Vino Cadelaghet

Piccola selezione di bollicine, quella proposta dall’Accademia del Vino di Renato Fronza, che va peraltro a completare un’offerta composita di vini tranquilli e monovitigno attraverso cui si intende spaziare lungo tutte le direttrici tipologiche classiche regionali, mirando soprattutto ad una esplicita “puntualizzazione” varietale. E se lo stile adottato nelle bolle non ha niente di ammiccante, inserendosi di diritto nell’alveo della tradizione spumantistica dei luoghi, l’intransigente severità che emerge da queste selezioni non lascia troppo spazio all’immaginazione. Una fisionomia austera, che in gioventù (come è stato nel caso dei nostri assaggi) poco concede al dettaglio e alla articolazione ma semmai chiede tempo, per distendersi e conciliarsi con le esigenze dell’equilibrio espositivo e dell’armonizzazione dei sapori.

Ca’ Del Aghet Brut 2008 (100% chardonnay)

Mandorla decisa per un naso affusolato, poco cangiante, e per una bocca “secca e dura”, fondata su cadenze ostinate di frutta secca e su una tendenza coerentemente amaricante al gusto. Insomma, poche concessioni qui, e media articolazione.

Academia Riserva 2004 (chardonnay 95%; pinot nero 5%)

Netta sensazione di lieviti “birrosi”, che aprono poco al dettaglio e alla complessità del sorso, rendendolo un po’ stretto e obbligato nel viatico dei sapori. Umorale, severo, non propriamente fine, chiude (e si chiude) su note di mandorla.

Agraria Riva del Garda

Struttura cooperativa gardesana -Garda di sponda trentina ovviamente-, l’Agraria Riva del Garda propone un solo Brut non millesimato ricavato da appezzamenti vitati disposti sui primi rilievi collinari vista lago. Non potevano non dedicare l’etichetta ad uno dei termometri naturali più caratterizzanti quel territorio: l’Ora del Garda, brezza salvifica con la missione di conciliare – nei frutti e nelle persone- solarità mediterranea e tempra dolomitica.

Brezza Riva Brut (100% chardonnay – vendemmia base 2007)

Morbido e lineare, al contempo timido nel proporsi e accondiscendente nei toni, non fa della continuità d’azione il suo punto di forza, eppure è vino piacevole, garbato, che tende a placarsi lesto nella persistenza.

Altemasi di Cavit

Del Trentino tutto, “la” cantina sociale per antonomasia. Hai un bel dire quantità! Qui i numeri e la consistenza sono davvero impressionanti. Certo è che nel variegatissimo portafoglio aziendale la genìa spumantistica è forse quella che più sta trascinando, in termini di riconoscimento ed apprezzamento  (quantomeno a livello di critica enologica e di consumatore “avveduto”), il celebre marchio Cavit. Segnatamente la linea top, chiamata Altemasi, nella quale si è inteso racchiudere tutta la sapienza enologica di un team preparato e le giustificate ambizioni di una maison imponente a cui concorrono, e non poco, certi esclusivi terroir.

Altemasi Brut 2007 (100% chardonnay – vigneti disposti fra i 250 e i 650 metri slm; pergola trentina per l’80% -zone di provenienza uve: Altopiano del Brentonico, Colline di Trento, Valle dei Laghi)

“Mela e malinconia”, aura tecnica e profumi che paiono soffrire fin troppo l’evoluzione e il tempo che passa; decisamente meglio al palato, meno mollezze qui, con il nostro che d’incanto ritrova profilatura e indirizzo, rendendosi piacevole.

Altemasi Graal Riserva 2004 (70% pinot nero, 30% chardonnay – uve provenienti da due vigneti: pinot nero dall’altopiano del Brentonico a 700 metri slm; chardonnay da vigneti disposti a 650 m slm – 10 anni sui lieviti)

Poco concessivo, “impettito”, mandorla e rigore ascetico; anche in questo caso guadagna espressività al gusto, pur restando un vino sostanzialmente austero e senza fronzoli. Struttura salda, buon carattere e qualche freno negli allunghi.

Altemasi Rosé (Novità; vendemmia base 2007 – zone di provenienza uve: altopiano Brentonico e colline di Trento, vigneti disposti fra i 450 e i 600 metri slm)

Molto pinot nero qui, fragrante, piacevole, goloso. Il fondo dolcino non “stucca” poi tanto e fissa le coordinate organolettiche di un Brut delicato, piuttosto semplice, se vogliamo, ma ben disegnato.

Balter

Vignaiolo scrupoloso e selettivo di Rovereto, Nicola Balter traspone nella sua linea spumantistica tutto il calore e l’avvolgenza di un terroir che sembra forzare, naturalmente forzare, su tonalità solari e mature, alle quali si associa solitamente una carbonica generosa, a regalare contrasto più che finezza. La timbrica è comunque personale: non senti poi troppo, ahimé, la scossa “elettrica” apportata dall’acidità. Vigneti sui 350 metri slm.

Balter Riserva 2005 ( 80% chardonnay, 20% pinot nero)

Cerealicolo, sulfureo, umorale ai profumi, che chiudono sulla mandorla. Roccioso al palato, ha carattere, mordente ma non troppa finezza.

Balter Brut (100% chardonnay; 36 mesi sui lieviti)

Il dosaggio qui non manca; mela e pesca evidenti e quasi invadenti. Carbonica non finissima, ciccioso e fragrante, sconta forse un pelo di stucchevolezza di troppo. Generoso e prim’attore.

Balter Rosé (Novità – Pinot nero 100%. Vendemmia base 2009)

Intenso, quasi violento nei profumi: frutti rossi in prima linea, e ruggine. Coerente al palato, carbonica da ingentilirsi, tratto gustativo tutto sommato semplice, sicura piacevolezza.

Bellaveder

Altro nome relativamente nuovo del panorama vinicolo trentino, la cantina del simpatico Tranquillo Lucchetta sembra avviarsi col passo giusto (e la giusta consapevolezza) nella spumantistica d’autore, sfruttando efficacemente terroir di matrice geologica differente per regalarci bollicine d’altura, se non propriamente negli antefatti (e comunque le vigne stanno fra i 300 e i 400 metri sui colli di Faedo) quanto meno nella sostanza. Mano sicura nei calibratissimi dosaggi e Brut che si avvicinano molto a dei Pas Dosé quanto a portamento e dinamica. Sono bicchieri interessantissimi questi qua, che non cavalcano mode con faciloneria ed approssimazione ma si propongono orgogliosi con la fisionomia di una bollicina “impegnata”, in odor di territorio.

Bellaveder Riserva 2007 (100% chardonnay)

Accurato il dosaggio, anche se l’impianto appare di media freschezza. Mano leggera, il vino scorre bene, è dinamico, sapido, diritto, efficace. Però!

Bellaveder Nature 2007 (100% chardonnay)

Qui ritmo, snellezza, grinta e sapidità. Senza niente concedere al belletto appare ben direzionato, continuo, tonico e bellamente ammandorlato (ma senza esagerare). Né più né meno un (buon) Pas Dosé.

Cantina Aldeno

Sono piccole parcelle disseminate sui pendii soleggiati del conoide di Aldeno -quelle alte alte fino ai 900 metri slm- a dare linfa e uve alla selezione “in Brut” della Cantina di Aldeno, la struttura cooperativa che a partire dal 1972 ha abbracciato in una unica realtà le due storiche cooperative vinicole del paese. E non mancano motivi di attrazione in quel che bevi, soprattutto per il modo in cui vengono dissimulate la spinta fruttata e il generoso dosaggio, garantendo ai vini una silhouette dalle “tinte” delicate, più di sfumatura che di vigore.

Altinum Brut 2007 (chardonnay 80%; pinot nero 20% – 42 mesi sui lieviti- zone pedecollinari e collinari di Aldeno)

Buona soavità ed eleganza per un Brut cremoso e avvolgente, senza essere snervato. Frutto esplicito a polpa bianca e buon mentolato. Davvero piacevole alla beva, anche se tende a semplificarsi nel finale (dove spunta un filo di dolcezza mielata di troppo). Di tessitura delicata, non manca di sottigliezze.

Cantina d’Isera

Storica cantina cooperativa della Vallagarina, terra profondamente legata al Marzemino, la Cantina d’Isera ha imboccato solo di recente la via della spumantizzazione, inizialmente intendendola alla stregua di un festeggiamento solenne in occasione di ricorrenze importanti (tipo i cento anni dalla nascita della cantina, avvenuta nel 1907) poi, visti i risultati, con una abnegazione e un impegno che i bicchieri di oggi traducono senza infingimenti. Confesso di essere rimasto colpito dalla espressività e dalla puntualità di questi Brut. Le migliori espressioni provenienti da una struttura cooperativa. Quantomeno in questa tornata di assaggi. Quantomeno selon moi.

Selezione 1907 Brut 2007 (chardonnay 100%)

Piacevole, fresco, ben accordato fra le parti, lineare nello sviluppo, morbido ma senza esagerare.

Selezione 1907 Extra Brut 2007 (chardonnay 100%)

Bello spettro aromatico, di grano e menta, buon ritmo e sostanziale piacevolezza del sorso, senza toccare chissà quali picchi di complessità. Buono.

Selezione 1907 Riserva 2006 (chardonnay 100%)

Bella ampiezza aromatica, davvero un’altra storia qui, ottima tessitura per un vino serio, fresco, minerale, senza fronzoli. Un passo diverso, un passo in più. Bel conseguimento.

Cantine Monfort

Storia di attenzioni e caparbietà quella della famiglia Simoni e della loro casata Monfort. Da vigneti di proprietà e da selezionati conferitori, in tanti anni di attività questa cantina si è costruita una solida reputazione a suon di vini tipici, espressione leale della tradizione dei luoghi. Val di Cembra, colline di Lavis e colline di Trento le aree di provenienza delle uve. Quanto alle bollicine, al millesimato si affianca oggi un promettente Rosé.

Monfort Brut 2008 ( 80% chardonnay, pinot nero 15%, pinot bianco 5% – dalle colline di Trento e Pergine Valsugana, ad altitudini comprese fra 500 e 600 metri slm)

Un po’ svagato, mollezze varie e distrazioni. Senso di diluizione. Poca tonicità. Confidando in una bottiglia sfortunata…..

Monfort Rosé 2008 (Novità – pinot nero 100% – zona provenienza uve: Pergine Valsugana, fra i 500 e i 600 metri)

Frutti rossi del bosco, ritmo, sostanziale finezza. Assai rifinito, chiude accogliente con garbo e fragranza fruttata, senza scomodare picchi di profondità.

Cantina Mori Colli Zugna

Altra storica “sociale” trentina, di stanza in Vallagarina, la Mori Colli Zugna, oggi guidata da Germano Faes, si occupa di “appena” 600 ettari di vigna, disseminati su varie giaciture e varie altitudini fra la Valle dell’Adige e il Basso Sarca, arrampicandosi in quota sulle pendici del Monte Baldo. Nella proposta spumantistica le uve chardonnay che concorrono al Terra di San Mauro provengono dall’altopiano del Brentonico, sopra i 400 metri.

Terra di San Mauro Brut

Grano e nocciola al naso, naso screziato da una insistita riduzione in odor di zolfo; al palato morbidezza, linearità, amalgama discreto. Non il cambio di passo, non la complessità.

Cantina Rotaliana di Mezzolombardo

La Rotaliana, come la chiamano da queste parti, è indissolubilmente legata agli estri e alla storia del Teroldego, non ci sono santi. Per cui, se parliamo della sponda spumantistica, non possiamo non parlare della caparbietà di un direttore-enologo, il simpatico Leonardo Pilati, che ha insistito in una scommessa dai pochi numeri e dalle giustificate ambizioni. Complice in questo caso non certo il giardino vitato più grande d’Europa, ovvero la Piana Rotaliana, quanto chardonnay e pinot nero coltivati presso alcuni masi di montagna della Val di Non, dei colli di Trento e di Faedo. I vini, per il momento, si muovono nell’alveo della correttezza e della piacevolezza (ed è il caso del Brut) oppure ricercano opulenza, struttura, pertugi più profondi figli dell’evoluzione (ed è il caso del Riserva), non sempre con i risultati attesi.

Redor Brut (chardonnay 100%, vendemmia base 2009)

Pera e spezie, tecnica e piacevolezza. Ordine e disciplina. Bere quotidiano.

Redor Riserva 2006 (chardonnay, pinot nero – da vigne d’altura a pergola trentina)

Burroso e assai restio al movimento, rovere e dolcezza mielata avvolgono il palato rendendo tutto sommato piacevole il bicchiere. Manca tensione, ma l’accoglienza è assicurata.

FERNANDO PARDINI

5 COMMENTS

  1. […] TRENTO – Proseguiamo qui con la panoramica dedicata alla “vena” spumantistica trentina; una disamina leggera e calibratamente incantata dei protagonisti del territorio e delle loro etichette più significative, queste ultime raccontate attraverso le ultime versioni presenti sul mercato. Per chi fosse interessato agli antefatti e alla prima puntata della panoramica, legga qui. […]

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