Vinitaly 2012: giri di Puglia/2

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VERONA – Seconda puntata a parlare di Puglia. Secondo giro di giostra in compagnia di realtà vecchie e nuove, piccole e grandi, conosciute e non provenienti da una terra antica, autentico serbatoio di vigne e vini, di ancestrali certezze e salvifiche spinte in avanti. Per chi fosse interessato agli antefatti e ai primi incontri, legga qui. Buona Puglia!

PASQUALE PETRERA – FATALONE

Di fronte alla caparbietà, alla visione “critica” e alla sensibilità interpretativa del giovane Pasquale Petrera senti forte la speranza che niente è perduto. Se una terra potrà contare su queste nuove coscienze e su questa idea di “ruralità consapevole” (Veronelli docet) non ha che da “temere il meglio”! Quinta generazione di vignaioli qui. Nel 1987 il primo imbottigliamento di Gioia del Colle Doc, ad indicare una strada, a preservare una tradizione apparentemente -ed inspiegabilmente- destinata all’oblio.

Otto ettari di rocce carsiche e terreni argillo-calcarei ricchi di minerali (e rinvenimenti fossili), a circa 400 metri sul livello del mare. Grande scheletro e grandi escursioni termiche: “l’altra” anima del Primitivo di Puglia, più laminata, struggente, fresca, profumata, rocciosa. Tutta un’altra storia. Età media del vigneto 22 anni. Dal 2002 agricoltura bio certificata e il pallino per l’ecosostenibilità, ciò che ha condotto l’azienda ad essere oggi totalmente alimentata da fonti rinnovabili.

Dalle contrade Gandella e Spinomarino – piena Murgia barese- i vini di Fatalone aprono uno squarcio importante nel cuore della vitivinicoltura mediterranea. Lo fanno contando unicamente sulla forza di un terroir speciale, su una enologia pulita ed essenziale, su una grammatica enologica non sempre ineccepibile ma capace di partorire veri e propri gioielli di autenticità, la lingua di gran lunga più diffusa su questo antico altipiano di Puglia.

Spinomarino 2011 (campione da vasca. Uve greco, macerazione sulle bucce, lieviti indigeni, pressatura con i raspi) – Buccioso, “artisan”, dal frutto maturo in evidenza e dalla bella spina minerale a supporto. Esprit contadino & consapevole, sono uva spina, susina gialla, mandorla e miele. Sono schiettezza e generosità, avvolgenza e piacevolezza. Una masticabilità che sa di cose buone, quelle che non vuoi perdere.

Tores 2009 (Primitivo vinificato parzialmente in bianco) – La spinta floreale bilancia come può la venatura surmatura e selvatica. Prugne, amarena e mandorla. Carattere e calore. Non proprio la finezza.

Primitivo di Gioia del Colle 2007 – Vulcanico, viscerale, distintivo, bel calore, bel grip, mediterraneo negli accenti, verace nell’anima.

Primitivo di Gioia del Colle Riserva 2005 – Sfaccettato, lirico, beva struggente e dinamica. Di una leggiadria evocatrice. Floreale, teso ed essenziale, è una lama di purezza in terra di Murgia. Vino antico e moderno, forse senza tempo, che ammicca prepotentemente al futuro e disegna una traiettoria a sé stante, lontana anni luce dagli approdi più ovvi e dagli accomodamenti. Non riesco davvero a immaginarmi quali misteriosi impulsi la pratica della musicoterapia possa mai trasmettere ai mosti di Fatalone. So soltanto che qui c’è un coro intonato a cantare una terra, e tutto questo, a ben vedere, basta.

MOTTURA

Numeri importanti quelli della storica cantina Mottura, e peso produttivo che non scherza. Ché se sono solo una ventina gli ettari di proprietà, se ne contano almeno 150 fra quelli in affitto. Questa la solida base su cui si fonda una produzione diversificata (pure troppo) capace di ben 3 milioni di bottiglie annue, per la maggior parte destinate ai mercati esteri (non scordiamoci che i Mottura furono fra i primi nomi della vitivinicoltura pugliese ad esportare i propri prodotti al di fuori dei confini regionali, grazie anche alla assidua frequentazione milanese della famiglia). Intanto, ad Antonio e Pasquale Mottura si affiancano oggi le giovani generazioni (la quarta per l’esattezza, dall’inizio di questa storia databile 1927), rappresentate qui dalla giovanissima Marta Mottura, ancora studentessa.

E se le svariate etichette in gioco confermano una conclamata perizia tecnica e la volontà di non staccarsi poi troppo dalle compiacenze affettate di un bere quotidiano, maggiori ambizioni sono riposte nella linea Le Pitre, che prende origine da una trentina di ettari disposti nell’agro salentino di Tuglie, in provincia di Lecce, per cercare di esprimere al meglio, secondo le intenzioni della proprietà, il connubio vitigno-territorio attraverso una interessante ricerca clonale e una dote di vecchi alberelli (50-60 anni). Quattro le etichette prodotte, per un totale di appena 20.000 bottiglie complessive e uno stato dell’arte che rende l’idea di un lavoro ancora in fieri, che poggia su solide basi tecniche ma che ancora forse non esprime tutto il potenziale che soprattutto le uve rosse, primitivo e negroamaro, sembrano in grado di poter accordare.

Salento Bianco Le Pitre 2011 (fiano; chardonnay) – “Ordine e banana”, niente di particolarmente incisivo se non fosse per quella chiusura asciutta e fiera, da cui trapelano tonicità e saldezza. Frutta a polpa bianca (mela) in chiara evidenza, assieme alla tecnica.

Salento Rosato Le Pitre 2011 (da uve negroamaro) – Disciplinato e piacevole, saldo e rifinito nel finale, senza sbrodolature e con stimoli finanche sapidi. Non la personalità che trionfa, ma buona (mani)fattura.

Negroamaro Le Pitre 2010 – Bon bon alla ciliegia, prugne essiccate, liquirizia, cacao e rovere dolce ad imbrigliare ed ammorbidire il tratto gustativo. Simpatico il fondo floreale, per una movenza più femminea e meno ingessata di quanto ci si aspetterebbe. Corretto, franco, pulito, assai fresco se lo bevi.

Primitivo Le Pitre 2010 (da alberelli sessantenni) – Spezie e brace in avanscoperta, botta zuccherina nel proseguo, quale generoso lascito del frutto, rosso rosso del bosco: polposo, ricco, più personale e nature rispetto al Negroamaro, è vino caloroso ed avvolgente, che ispira nelle trame la terra sua d’origine.

VIGNE & VINI

Se c’è una cosa che potrebbe di primo acchito confondere l’asserto e depotenziare la curiosità, è proprio il nome aziendale. Niente di più sincreticamente banalizzante di un “Vigne & vini”. Chiaro, limpido, manifesto. Al limite della impersonalità.

Ecco, fate conto che la genericità di un nome, di questo nome, niente abbia a che vedere con l’impersonalità. Soprattutto se avrete il piacere di apprezzare la particolare verve della produzione che quel nome sottintende. In questa storia, che ormai conta quasi un secolo, tutta l’esperienza di una famiglia, la famiglia Varvaglione, da sempre impegnata nella vitivinicoltura in terra di Primitivo e da circa 11 anni prodiga di imbottigliamenti, con l’intento di sposare vari intendimenti ed indirizzi stilistici (dalla linea Giovani alla Linea bio, dalla linea dei classici pugliesi alla linea Papale). E ciò grazie al controllo di oltre 150 ettari di vigneti sparsi nella campagna di Taranto, non solo di proprietà ma appannaggio di tutta una serie di conferitori selezionati. A valle, un’idea solida e concreta di tipicità, espressa dall’estro enologico dell’attuale patron, Cosimo Varvaglione. In questo contesto, la linea Papale esprime pienamente l’idea. Ed è un bel vedere: Primitivo di Manduria espressivi, forti, terragni, calorosi eppure dettagliati, intriganti, mai banali. In più un Dolce Naturale che – in certe annate- si lascia ricordare con affetto. E’ un buon viatico.

Primitivo di Manduria Papale 2008 – Dai vecchi alberelli di contrada Papale (fra Leporano e Pulsano), da suoli argillo-calcarei, ecco qua un vino viscerale, alcolico, potente e prim’attore. Robustezza e generosità qui, su ricordi di bacca selvatica ed erbe spontanee. Carica zuccherina ben contrastata da una sapidità salmastra. Finale che si stempera e si allunga su scie speziate più ricamate. Buono!

Primitivo di Manduria Papale Linea Oro 2008 – Ancora bacche selvatiche, corteccia, humus, per un portamento più austero del fratello, quantomeno più controllato sul versante dolce-zuccherino. Moderno ma con calibro, conserva equilibrio e compostezza. E un’indole portata alla sobrietà, alla pacatezza, ciò che non lo discosta poi tanto dalle rotte dell’eleganza.

Primitivo di Manduria Dolce Naturale Chicca 2008 (da alberelli cinquantenni, raccolta tardiva settembrina) – Mediterraneo intreccio di ribes, mora, datteri, ruggine, radici & terra. Gusto morbido, dolce non dolce, melodico e avvolgente, intonato ed intrigante.

CANTINE MENHIR

Da come ha impostato le cose Gaetano Marangelli, e dalle risposte che trovi nei bicchieri di oggi, ti accorgi abbastanza rapidamente di essere davanti a una realtà in cui niente è nato per caso. Qui una raffinata ricerca estetica, nel packaging così come nella comunicazione di una terra speciale, trova coerenti portavoce nei vini che bevi, dai quali trapela l’attenzione certosina alle forme e di cui ne apprezzerai la misura, la pulizia, l’opera di sfrondamento dalle sovrastrutture, che se da un lato offrono una appagante ed accomodante senso di piacevolezza, dall’altra lasciano intuire che forse, in certi casi, un registro espressivo più “libero” (o liberato) renderebbe maggior giustizia alla individualità e al carattere.

A Minervino di Lecce, nel tacco più tacco “d’Italì”, dalla appendice più orientale non lontana dalle spiagge di Otranto, c’è una campagna -salentina savasandir – che affonda le sue radici nella Storia e ancora ne conserva struggenti le testimonianze, fra parchi monolitici (da cui il nome aziendale) e frantoi ipogei, fra antichi oliveti e mare. A Minervino di Lecce c’è anche una viticoltura attenta, dedicata a una terra che è anche del vento e a suoli poco profondi di medio impasto argilloso e forte presenza calcarea. E ci sono vini curati e affidabili, di impostazione stilistica moderna, che fondano il loro potere seduttivo su un ragionevole compromesso fra tecnica e personalità. Il progetto Menhir, progetto giovane, è datato 2002, e conta oggi su una sessantina di ettari fra cui una dotazione di vecchi alberelli ottantenni. Dalla selva di etichette Gaetano estrae qui, mi è parso di capire, i vini più significativi.

Pietra 2010 (primitivo; susumaniello) – Misurato negli accenti aromatici, liscio e morbido al gusto, piacevole e confortevole. Una nota dolce avanza pian piano, ma inesorabilmente, a rendere il proseguo più stucchevole.

Albanegra 2010 (aleatico, malvasia nera, primitivo) – Rosmarino netto ai profumi, che sferza e veicola un naso dove la dolcezza del frutto maturo si fa bilanciata e accorta. Precisione tecnica e attenzione alle forme, dicevamo: sì, è proprio così. Ancora un intero mazzetto odoroso al palato, per un gusto quantomeno singolare. Vino molto curato, trattenuto negli accenti, super preciso, assai godibile ed efficace. A ben vedere, senza che sfiori banalità o deja vu.

Calamuri 2008 (primitivo da vecchi alberelli) – Molta pietra dietro la coltre del frutto, che son more di rovo e menta. Poi se ne escono le erbe selvatiche. Bocca con qualche tratto più “affilato” e vegetale da mettere sul piatto dei ragionamenti. Il legno alza il tono di voce tendendo a risucchiare un finale di peso dal carattere quasi iodato. Anche qui, manifattura attenta agli equilibri.

FERNANDO PARDINI

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