Cibus 2012, il salone per chi mangia

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PARMA – Il sapore dolciastro, la caricatura di quella che dovrebbe essere una crema alla nocciola dentro un wafer afferrato prima di metterci in viaggio per Parma, assume le sembianze di un inizio “in tema”. Nel senso che stiamo andando alla sedicesima edizione di Cibus, e Cibus non è la “solita” vetrina di artigiani del gusto, sfoggio di sapori che sono almeno allo stato attuale appannaggio di pochi. È il Salone internazionale dell’alimentazione, che suona importante, visto che tutti devono mangiare e questi tutti sono in tanti. E l’evento è tanto più significativo in una nazione in cui rapporto con il cibo è quasi viscerale, in cui l’agroalimentare genera il 15% del Pil e rappresenta una delle voci più incisive del nostro export, che anche nel 2012 viaggerà con un +10% rispetto all’anno precedente, come era già successo nel 2011 rispetto al 2010. Cibus è insomma la fiera per chi mangia e per chi dà da mangiare.

Che però quest’anno, va comunque detto, poteva apparire alquanto “salonedelgustizzata” o “cheesizzata”. Nel padiglione 6 c’erano infatti i piccoli produttori aiutati dalle Regioni nella partecipazione; in Piemonte (particolarmente ricca di iniziative e di documentazioni) apparivano le nocciole e le creme al cioccolato, nel Lazio la porchetta, l’Alto Adige si dava un tono parlando delle sue “imprese”, anche se poi dalle confezioni esposte occhieggiavano famiglie sorridenti su prati verdi con lo sfondo delle immancabili montagne, e poi naturalmente tante mozzarelle e tanti formaggi, conserve… Ci si poteva soffermare su realtà come Casale Nibbi, che ad Amatrice produce ottimi formaggi vaccini biologici (gli “stracchini stagionati”), oltre che mele. O si poteva incontrare un collaboratore di Enzo Recco, che da Formia seleziona produttori padani di Provolone, ne “importa” forme da 20, 30 e 50 Kg e con l’aiuto delle proprietà dell’aria marina iodata li stagiona fino a cinque anni, dando così l’occasione di apprezzare cosa è questo formaggio fuori dalla gabbia dell’unico e onnipresente brand che tutti conosciamo. O si poteva conoscere cosa succede se al latte, prima che si formi la cagliata, si aggiunge un po’ di birra artigianale o di Barbera d’Asti, assaggiando gli aromatici e stranianti Margot e Goliardo del caseificio Pier Luigi Rosso, del biellese.

Ma il senso di Cibus è forse un altro, quello di produrre una mappa dell’agroalimentare nazionale, fatta magari anche solo di sensazioni sparse, ricevute osservando i padiglioni pieni di stand giganteschi e colorati dove non mancano merendine, snack e caramelle. E ammirando le decine di prosciuttoni appesi, o la mortadella gigante ideale per foto ricordo, si comprende quanti salumi mangino gli italiani (si calcola 20 chili annui a testa), si pensa a quanti artigiani ci vorrebbero per produrli, e si spera che a questo esibito gigantismo corrisponda poi qualche sensazione vera al palato. E sarebbe comunque forse inutile chiedere, lì, da dove provengano i maiali, cosa mangiano, come sono strutturati gli allevamenti; così come sarebbe inutile, presentandosi dal grande produttore di Bresaola della Valtellina, mostrare di sapere che probabilmente è prodotta con carne sudamericana, mentre quelle prodotte con carne italiana (Fassona, Chianina, anch’esse presenti in fiera) stanno in Piemonte o in Toscana, magari senza il pedigree dell’antica invenzione e della tradizione della procedura.

E per trarre un quadro in qualche modo consolatorio, si può notare come esistano comunque dei marchi che riescono a coniugare una diffusione non propriamente local con un’immagine evocatrice di artigianalità e buona qualità . Come, tanto per menzionarne solo due che vengono alla mente, la Rigoni di Asiago, con gli assaggi delle sue confetture biologiche disposte a realizzare un mosaico colorato, o i salumi aquilani di Peppone, che si vedono nella grande distribuzione senza perdere uno spiccato carattere “paesano”. Che esistono pizze surgelate che tante pizzerie se le sognano, come quelle che si assaggiavano negli spazi di Svila, da Visso (MC), terra di gente operosa nelle montagne fra Umbria e Marche. E che il surgelato può essere accostato anche all’alta cucina come accade alla Surgital, che da tempo abbina la sua immagine a quella di Gianfranco Vissani, che ha allestito un vero ristorante dai toni eleganti con cucina a vista dove la sua brigata si muove fra pentole e sbuffi di vapore.

Anche se poi, alla fine, l’impressione strana che si prova facendo scorrere l’occhio dall’allestimento delle sue accattivanti paste ripiene (che evocano farina, uova, campagna, mani forti e sapienti e grande tradizione) al grosso frigorifero che a fianco ne contiene le confezioni, è forse l’effetto di una contraddizione difficile da superare.

 

Riccardo Farchioni

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