Ingenuo e struggente: è Dolceacqua. Parte seconda: ritratti e vini

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In questa piccola galleria di ritratti, frutto dell’incontro ravvicinato di qualche mese fa con i produttori della zona, una disamina di volti, storie, stili e vini, fra incanto e didascalia. E una fotografia oltremodo personale delle ultime annate di Rossese di Dolceacqua attualmente in commercio. Qualche piccola anticipazione di carattere tecnico prima del delirio di parole: con la dizione Superiore si intende un vino che per disciplinare può uscire sul mercato solo dal 1 novembre dell’anno successivo alla vendemmia. Dove non c’è scritto niente ci riferiamo al “Classico“, che invece potrebbe teoricamente uscire fin dalla primavera successiva alla vendemmia. Val Nervia e Val Verbone sono le due vallate principali (ma non esclusive) in cui sostanzialmente dimorano la gran parte dei vigneti a Doc: rappresentano insomma il cuore della denominazione. Più aperta e ventilata la prima, con esposizioni sia a est che a ovest; più stretta e variegata la seconda, che risente maggiormente del mitigante influsso marino e della presenza del massiccio di Perinaldo, che chiude l’accesso ai venti provenienti da Nord. Quanto alle annate in gioco, trattasi sostanzialmente della 2011 e della 2010. Calda, generosa, alcolica la prima, ispiratrice di vini tendenzialmente polposi, croccanti, avvolgenti e “paciocconi”  (salvo rarissimi casi); più equilibrata e fresca la 2010, semplicemente – a detta di molti – il più grande millesimo da trent’anni a questa parte per i vini di Dolceacqua. I risultati sembrano avvalorare questa ipotesi.

Nota a margine: fra i produttori degni di nota che, per vari motivi, non ho potuto incontrare durante la mia ultima trasferta segnaliamo Altavia, Tenuta Giuncheo, Luigi Caldi, Rosmarinus, Enzo Guglielmi.

Luca Dallorto – Du Nemu

Luca Dallorto è molto giovane, la sua storia vitivinicola cosa recentissima. Eppure ai Rossese della casa, provenienti da Arcagna e Tramontina in Val Nervia (due ettari e mezzo fra vecchi alberelli ottantenni più un saldo di vigne quindicenni, disposti fra i 400 e i 500 metri slm su suoli marnosi con sedimenti di sabbia), sono bastate pochissime vendemmie per far parlare di sé, appaiando le convincenti prestazioni di un Pigato assai speciale derivato da un piccolo appezzamento di marne e sabbie (Montecurto) che si trova a Camporosso.

E mentre nel Rossese di Dolceacqua Du Nemu 2011 respiriamo la florealità e la confidenzialità tipiche del vino d’annata, declinate secondo uno sviluppo snello e scorrevole (soprattutto se rapportato al millesimo in gioco), nel Rossese di Dolceacqua Superiore Du Nemu 2010 si esaltano fibra e solidità, flemma e portamento, una timbrica mineral-ferrosa e un sottofondo pepato. Austero e determinato, dalle cadenze “grafitate” e idrocarburiche, mostra un bel caratterino e un tannino sodo, futuribile.

Foresti

Marco Foresti sta traghettando con perizia e sincero entusiasmo la storica cantina di famiglia nel passaggio cruciale, avvenuto qualche anno addietro, da azienda imbottigliatrice -qual’è stata fin dal momento della sua nascita (1979)- a produttrice di vini derivanti almeno in parte da vigneti di proprietà, questi ultimi acquisiti sia in zona Arcagna che Luvaira. I numeri (90.000 bottiglie annue, compresi i bianchi) ci parlano di una produzione ben visibile, fatto più unico che raro a Dolceacqua. Ovviamente il Rossese, affettivamente e strategicamente, rappresenta la punta di diamante. La nuova proposta si muove negli alvei della dignità territoriale e della semplicità d’impianto, se stiamo al simpatico Rossese di Dolceacqua 2011, dai rilievi fruttati finanche tropicali; innesta una marcia in più per grinta e tenacità nel caratteriale Rossese di Dolceacqua Superiore 2010 (blend di uve provenienti da comuni della Val Nervia e della Val Verbone), di cui mi piacciono l’asprezza e il contrasto gustativo, sia pur a scapito delle rifiniture, e si acquieta nelle trame morbide ed accomodanti del Rossese di Dolceacqua Vigneto Luvaira di Bertù 2009, derivato da un vigneto centenario, che a fronte di un amalgama frutto/rovere non proprio originalissimo e di una sensazione generalizzata di dolcezza un po’ “spalmata”, non si fa mancare le sottolineature acide tipiche del cru.

Gajaudo fratelli – Cantina del Rossese

Una delle pochissime realtà private di Dolceacqua (insieme a Foresti) che può contare su numeri importanti: 150.000 bottiglie annue, ivi compresi i bianchi, sono qui una enormità. Eppure l’apprezzabile lavoro svolto dai fratelli Fulvio e Giulio Gajaudo in oltre venti anni di attività si riflette oggi in vini limpidi e centrati, innervati da buone infusioni di carattere e da solide fondamenta tecniche. I 2/3 della produzione provengono da selezionati conferitori sia della Val Nervia che della Val Verbone, poi ci stanno tre ettari di proprietà alle Morghe, uno dei cru più alti e freschi della denominazione. E mentre i cru Luvaira ed Arcagna traggono la loro forza espressiva da alberelli settantenni, le uve che compongono il Dolceacqua Superiore provengono da Soldano e Dolceacqua. Nel frattempo, in attesa degli imbottigliamenti delle selezioni 2010, ci pensa un goloso Rossese di Dolceacqua 2011 a non farne rimpiangere troppo l’assenza. Aperta aromaticità di viola, ribes e pepe nero, gusto dinamico, frutto dichiarato ma non invadente, equilibrio alcolico, gioco sapido-amaricante nel finale: davvero un buon “annata”, quanto mai didattico per comprenderne, del Rossese, il lato più comunicativo ed istintuale.

Ka’ Manciné

Conosci Maurizio Anfosso ed è un attimo simpatizzare con la sua contagiosa risata. Ben presto capirai che la sua veemente voglia di fare è figlia legittima di una passione autentica. I suoi occhi brillano di fronte ai vigneti, lo vedi. Quando poi conosci suo padre, della “dinastia dei mancinei” (il capostipite della famiglia veniva chiamato “manciné”  – mancino – per distinguerlo dagli altri Pietro del paese), te lo spieghi tutto il carattere solare ed estroverso del figlio.

L’attività qui riprende nel ’98, quando si decide di ripiantare ad alberello e far rinascere a nuova vita lo straordinario anfiteatro del Galeae, in Val Verbone, un vigneto esposto molto bene fra le bellissime anse di una collina verdeggiante, a 400 metri slm, proprio sopra l’abitato di Soldano. Dal 2006 Maurizio (altrimenti detto “il matto di casa”) sforna le sue prime bottiglie, dopo aver acquisito nel frattempo il piccolo, struggente vigneto Beragna, poco distante dal Galeae ma con esposizione “selettiva” a nord ovest; un appezzamento che subisce molto l’influenza del mare grazie al gioco dei venti e che può contare su una dote insostituibile di ceppi ultra centenari, in parte a piede franco. In totale, fra Galeae e Beragna, fanno tre ettari a rossese, su suoli scisto-marnosi (qui chiamati “sgrutti”) e con variabilità estrema quasi fascia per fascia.

Stile molto riconoscibile qui, grazie alle calibratissime estrazioni tese a “denudare” i vini e a porne  in risalto i tratti essenziali, che emergono con cristallina nitidezza nel ricamo aromatico e nella puntuale scansione dei sapori. Ecco così la silhouette profumata, apparentemente fragile e ossuta del Beragna, innervata da una fresca corrente di acidità, contrapposta alla polpa e alla solarità di Galeae, caratteri ben evidenziati anche dalle ultime annate in gioco, con un Rossese di Dolceacqua Beragna 2011 , piccolo Volnay de noantri, dal colore rosso rubino tenue e luminoso, dai profumi fragranti tutti giocati in sottrazione e di sottile filigrana minerale, dal gusto slanciato ed irresistibile; e con un Rossese di Dolceacqua Galeae 2011 dal profilo più mediterraneo: attacco “rodaniano” di garrigue e spezie, poi polpa, calore e succosità. Le belle esposizioni, “provocate” dall’annata calda, hanno instillato più avvolgenza che tensione, più dolcezza che freschezza, ma in sua compagnia starai bene.

Maccario Dringenberg

Piccola ma radicata cantina della Val Verbone, il cui fondatore Mario Maccario iniziò ad imbottigliare nei primissimi anni ’70 del secolo scorso, Maccario Dringenberg conserva in se diverse esclusività, nome incluso. Oggi Giovanna Maccario, figlia di Mario, guida con piglio deciso l’azienda familiare coadiuvata dal marito Goetz Dringenberg, che -lo avrete capito- non è propriamente autoctono. La simpatica coppia ha “partorito” una serie di cru ben delineati nel carattere, oltremodo affascinanti per tensione sapida e capacità di dettaglio, che ben onorano alcune delle giaciture più significative della zona, contribuendo con pieno merito alla riscoperta “consapevole” del potenziale espressivo insito nella tipologia.

Da un lato c’è Posaù, splendido vigneto “pendente” incastonato nella macchia mediterranea di San Biagio della Cima: ottima esposizione, ceppi sessantenni, suolo pieno di fossili. Dall’altro lo struggente Luvaira, a cavallo fra Val Verbone e Val Nervia, esposto a sud ovest, dotato di matrici più acide, con alberelli anche centenari. Il tutto si traduce attualmente in un paio di etichette emblematiche (e in un affidabilissimo “annata”, o Classico), che hanno trovato nel millesimo 2010 l’alleato ideale per trasmettere senza ostacoli la loro struggente espressività.

Così, mentre il Rossese di Dolceacqua 2011, nel suo avviluppo caldo e fruttato gioca piacevolmente più in larghezza che in profondità, il Rossese di Dolceacqua Superiore Luvaira 2010 è un vino bellamente nervoso, teso, freschissimo, che chiede tempo per sdilinquirsi ma si lascia apprezzare per la finissima tessitura minerale, il coté pepato e la seducente scia terrosa. Contrastato e grintoso, ha il futuro dalla sua parte. Infine lui, il Rossese di Dolceacqua Superiore Posaù 2010: grande speziatura, mirabile fusione delle varie voci gustative, forme aggraziate. Lirico, intonato, carezzevole, slanciato, è bellezza in filigrana, potenza evocatrice di una terra e conseguimento raro.

Fra i progetti in gestazione, una microproduzione derivante dal mitico vigneto Curli, minuscolo appezzamento esposto a nord ovest sulle alture di Perinaldo, molto caro a Luigi Veronelli (e al vecchio sindaco del paese, tal Emilio Croesi, reinventatosi vignaiolo) che ne magnificò un tempo le virtù trasposte in vino. L’attesa, anche e soprattutto per il pregresso d’autore, si sta facendo elettrica.

Perrino Antonio – Testalonga

Persona dal carattere amabile e garbato, Antonio Perrino -per la gente del posto Nino Testalonga– oltre che vignaiolo storico resta un instancabile portavoce della propria terra. Difficile restare indifferenti di fronte a una persona così: troppo forti l’incanto e la gentilezza. Nel solco di un tracciato stilisticamente consolidato, dalla sua piccolissima cantina nel centro storico di Dolceacqua ha fatto nascere alcuni dei portavoce liquidi più autorevoli della tipologia, sotto l’egida di una enologia pulita di stampo artigianale, contando su un ineludibile fattore terroir, qui rappresentato dai terreni argillo-calcarei di Arcagna, culla nobile della Val Nervia, e su una sensibilità interpretativa di rara coerenza e mai scesa a compromessi (fedele per esempio alle vecchie botti di rovere e ai lieviti indigeni).

Bere i suoi Rossese significa non soltanto bere Arcagna, ma bere Testalonga. Schietti e umorali, soprattutto se còlti in giovane età, conservano in filigrana il temperamento e la salinità dei cru più vocati, e sono capaci di un arco evolutivo particolarmente lungo, in grado di farli evolvere molto bene nel tempo. Fin dai primi imbottigliamenti degli anni ’80, i suoi vini sono ancora oggi fatti oggetto di culto da una fitta schiera di appassionati, i più sensibili allo stile tradizionale. Il Rossese di Dolceacqua 2010 non sfugge alla regola: dietro le iniziali velature olfattive si cela un vino elettrico, ritmato, dall’acidità in rilievo, freschissimo. Un timbro floreal speziato instilla un grande senso di naturalezza al palato, per un gusto dalle movenze agili e dalla titillante sapidità. Vino artigiano per antonomasia, interiorizzato e bello, è solo da attendere. All’aria, per chi non ha fretta, emergono il lampone e la ciliegia, con la proverbiale nota resinosa tipica di questa etichetta.

Poggi dell’Elmo

Dietro (o sotto) Poggi dell’Elmo si cela uno dei nomi che contano, fra i vignaioli storici di Dolceacqua: quello dei Guglielmi. Enzo Guglielmi è infatti uno dei grandi padri  -ancora in attività con una linea propria- della denominazione. Anche se qui è il nipote Gianni, figlio di Elmo, a cui è dedicata l’azienda, a reggere da qualche anno il timone e ad orientare la produzione verso la veracità e la schiettezza, stando almeno alle etichette assaggiate in questa tornata. Così è per il semplice Rossese di Dolceacqua 2010 e così è per il Rossese di Dolceacqua Superiore Pini 2010 (zona dei Pini, in Val Verbone, con vigne vecchie esposte a sud est e sparpagliate in diverse parcelle), grazie alla polpa vinosa, alla succulenza balsamica e silvestre, al piglio caldo e vigoroso che tanto fa “Pini style”.

Riviera dei Fiori – Maixei

Unica “voce” cooperativa all’interno della denominazione, Riviera dei Fiori ha voluto qualificare la propria produzione affidandosi ad un piccolo patrimonio di vigna (6 ettari) distribuito fra una trentina di soci e inaugurando da qualche stagione la linea Maixei ( “maixei”, che si pronuncia “maigei”, in dialetto significa muretto a secco, l’icona della viticoltura ligure), destinata alle enoteche e alla ristorazione. Capacità dei singoli soci ed età delle piante sono le discriminanti su cui poggiano le selezioni, selezioni che fin dalle prime edizioni hanno assunto un registro evoluto sia ai profumi che al gusto, ciò che se da un lato affascina per tenerezza, sincerità ed “appiglio” territoriale, dall’altro necessita forse di un ulteriore messa a punto sul piano della tonicità e della freschezza gustativa. Damiano Marcellino è il nuovo giovane enologo, che ci guida alla conoscenza di un Rossese di Dolceacqua Maixei 2010 old fashioned, dove il rubino ammette molte trasparenze, il profilo aromatico è terroso e floreale, lo sviluppo dolce e avvolgente, con l’alcol ad ammorbidirne i tratti. Il Rossese di Dolceacqua Superiore Maixei 2010 ne ripercorre cromatismi e timbrica aromatica (ruggine, fiori e pepe bianco), giocando con delicatezza su sottili equilibri e su più evoluti registri espressivi. Infine il nuovo Rossese di Dolceacqua Superiore Barbadirame 2010 (affinato in rovere), dedicato al pittore naif di Dolceacqua che fu amico di Picasso, ai sentori di fiori d’arancio e fragoline di bosco associa un’apprezzabile disinvoltura, concedendosi schietto su scie terrose e gentilmente speziate.

Rondelli

Roberto Rondelli è una delle giovani promesse apparse di recente nella galassia Dolceacqua (2008 la prima annata imbottigliata). Due ettari in zona Brunetti e Arcagna (con il proposito di ampliare fino a cinque), impianti risistemati ad alberello “dritto” a partire dal 2000 e l’esclusività di coltivare uve alla Migliarina, fresco ed appartato cru dell’alta Val Nervia, a picco sul fiume Roja, non lontano dal confine francese. Sensibili escursioni termiche propiziano una delle vocazioni più “tardive” all’interno della denominazione. Ed è da questa cantina che arriva una delle sorprese più belle dell’anno fra i rossi liguri, non tanto per il Rossese di Dolceacqua 2011, tonico, fragrante, “viscioloso”, dal temperamento un po’ freddo per via degli insistiti risvolti balsamico-selvosi; non solo per l’attraente e peperino Rossese di Dolceacqua 2010, “aereo”, agrumato, sottopeso quanto vuoi ma pur sempre un inno alla beva, quanto per lo stupendo Rossese di Dolceacqua Migliarina 2010, in cui sfumature, contrasti, filigrana tannica e setosità giocano a favore di personalità, concretizzando un profilo elegantissimo, tutto “in levare”, in odor di Pinot Nero.

Terre Bianche

Di fronte alla curatissima produzione di Terre Bianche ti accorgi come grammatica enologica e carattere possano andare d’amore e d’accordo, e alimentare una realtà di buona consistenza “numerica” (otto ettari vitati qui, fra proprietà ed affitto, di cui ben cinque a rossese) ed ottimo potenziale espressivo già capace di dispiegarsi grazie al Bricco Arcagna, cru in grado di assolvere brillantemente al compito di coniugare “classicismo” e modernità attraverso un uso calibrato del rovere (piccolo), tecnica che ancora oggi incontra i suoi bravi detrattori fra i produttori della zona.

Nella limpida connotazione stilistica dei vini, nel “cesello” e nella precisione esecutiva che li contraddistingue, tutte le maniacali attenzioni di Filippo Rondelli, produttore sensibile e curioso, fra gli indiscussi promotori della rinascita del Rossese, e al contempo infaticabile comunicatore del territorio: basti pensare alla “beneamata” Associazione Vigne Storiche, che lo vede sempre in prima linea in qualità di coordinatore e “motivatore” del gruppo.

E se il Rossese di Dolceacqua 2011, le cui uve provengono da Terre Bianche, Arcagna e Soldano, traduce fedelmente la generosità di un millesimo caldo a suon di ricchezza fruttata ed avvolgenza, il Rossese di Dolceacqua Bricco Arcagna 2010 (dalle arenarie del cru omonimo, a 400 metri slm, da ceppi cinquantenni con “picchi” di 120 anni) disegna forse la più brillante prestazione degli ultimi tempi, collocandosi di diritto fra i migliori conseguimenti dell’anno. E’ un naso “mirtilloso e grafitato” il suo, di nobile speziatura, intriso di viole e sensualità. In bocca è sostenuto, incisivo, adeguatamente coeso, dalla trama complessa e minerale, capace di sciogliersi in una sapidità salmastra dai curiosi risvolti di albicocca, mirto e ginepro. E’ proprio un bel vedere.

Tenuta Anfosso

Sfidare le vertigini per visitare lo scenografico vigneto Pini assieme ad Alessandro Anfosso ti fa comprendere tanto di questi posti. Di cosa significa lavorare una vigna, per esempio, e di cosa significa preservarne l’integrità. Dopo questa intensa trasferta a Dolceacqua, ho realizzato che in fondo l’attività principale dell’uomo – dai tempi dei tempi fino a oggi- è stata una fra le più rudimentali e faticose di sempre: quella di smuovere sassi, scolpire sassi, spezzare sassi, e costruirci muretti, sorreggere terrazze di terra. E i liguri lo sanno bene: quella è la condizione imprescindibile per “vedere” un futuro. Ecco, la “magnifica ossessione” di Alessandro Anfosso, e dei vignaioli come lui, è quella di garantire la stabilità delle sue terre pendenti, ovvero quella di costruire dei buoni maixei.

Pini, dove ha l’onore e l’onere di coltivare la vite, porta in dote suoli di sgrutti e sabbie, ma soprattutto alberelli che in alcuni casi arrivano a 130 anni di età! Dal 2002, coadiuvato dalla moglie Marisa Perrotti, ha deciso la strada dell’imbottigliamento, dopo un primo periodo di conferimenti e di generosi auto-consumi, grazie al ristorante di famiglia. Oltre ai Pini, c’è un’importante acquisizione nel vigneto Luvaira, per un totale di quattro ettari a rossese. Gli affinamenti -volutamente prolungati- in acciaio e in bottiglia (i 2010 usciranno nel 2013), con l’utilizzo parziale dei raspi in fase di vinificazione a cominciare dal 2008, propiziano vini lenti e umorali, dal temperamento caldo e vigoroso. In attesa delle botti grandi (sì, Alessandro ha deciso di acquistare una botte!) il Rossese di Dolceacqua Superiore 2010, derivato dai vigneti più giovani appartenenti ad entrambi i cru, pone in rilievo una nota balsamico-officinale e un tratto vinoso, “selvoso”, compassato, piuttosto ombroso insomma, anche se intrigante. Il Rossese di Dolceacqua Superiore Poggio Pini 2009 è stimolante, silvestre, sensuale, anche in questo caso innervato da stimoli balsamico-officinali e da una curiosa sensazione come di rovere, ciò che ti sembra di provare nel masticare i suoi tannini, rovere che eppure non c’è (ma forse sono i raspi). Il Rossese di Dolceacqua Superiore Poggio Pini 2010 presenta un evidente afflato vegetal-balsamico-speziato, affilato e piccante; poi, al gusto, una sensazione di frutto molto maturo ad allargarne la trama. Morbido & avvolgente, più remissivo che non al naso, solo media ho la tensione. Infine lui, il Rossese di Dolceacqua Superiore Luvaira 2010: inappuntabile nel suo corredo pepato, dalla rimarchevole qualità di frutto e dalla piacevole carnosità, stimolato che è tutto dire da una provvidenziale “lama” di acidità, disegna una prestazione convincente e molto centrata, puntando dritto al futuro.

Tornatore Giuseppina

Qui recuperiamo una dimensione stilistica e d’impresa super artigianale. Un ettaro scarso di vigneto, distribuito fra Armetta (o Cian da Marchesa) e Tramontina, in Val Nervia, costituisce il patrimonio a disposizione di Nuccio Tornatore. Il suo Rossese di Dolceacqua 2010 possiede l’imprinting del Rossese d’antan: scarno, ruspante, rugoso, con una sprezzante fierezza acida da mettere sul piatto dei ragionamenti, una trama speziata a rifinire il rifinibile e tanta, tanta spontaneità.

Introduzione a Dolceacqua e galleria fotografica: leggi qui.

 

FERNANDO PARDINI

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