Montalcino in verticale/6: Podere Salicutti

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Al Podere Salicutti si respira un’aria speciale, frutto di una provvidenziale corrispondenza euritmica fra vini e produttore, entrambi coerentemente dialettici (o dialogici). Di fronte ai rossi del Podere, infatti, c’è di che “dialogare”, tante le sfumature e tanta la personalità, e ancor di più da quando il vigneto sta avviandosi verso l’età matura. Così come c’è da “articolare” al solo confrontarsi con il loro artefice, Francesco Leanza: un confronto sempre foriero di approfondimenti, che ti costringe ad entrare nel dettaglio, fino al cuore delle cose, lasciando alla porta gli aspetti più appariscenti e vanitosi di un mestiere e di un mondo. In altri termini, Francesco Leanza è uno dei vignaioli “critici” di Montalcino, un pungolo e uno stimolo per affrontare acute riflessioni sul vino, sul Brunello e sul suo “governo”. Lo scrupolo professionale di questo vignaiolo veste di coerenza “etica” l’essenza stessa del suo lavoro, e la passione emotiva traspare tutta quando si vanno a toccare gli argomenti che più gli stanno a cuore, cuore che a partire dal 1994 batte forte per la terra di Montalcino e per i suoi vini. Un innamoramento fatale questo qua, per un siciliano d’origine, in grado di far cambiare vita, casa e prospettive. E che come tutti gli innamoramenti fatali rende particolarmente sensibili quando si parla dell’”innamorata”. Ancor di più quando se ne sparla.

Rigore e spirito di ricerca, mutuati probabilmente dal pregresso professionale (chimico in quel di Roma, prima del trasferimento in Toscana), permeano da sempre il suo agire. Scelte chiare e nette qui, da tempi non sospetti: agricoltura bio certificata (si tratta del primo caso in ordine di tempo a Montalcino) e una dimensione d’impresa in tutto e per tutto artigianale, con a fondamento un parco vigneti “ a misura d’uomo” (quattro ettari suddivisi in 4 appezzamenti nel quadrante orientale della denominazione, sulla dorsale che da Montalcino porta a Sant’Antimo, ad altitudini superiori a 400 metri slm) e un’idea di enologia pulita e poco interventista. Tutte le fasi di lavoro, sia in campagna che in cantina, sono gestite direttamente dal titolare: agronomia tesa a preservare la microfauna naturale, escludendo l’impiego di erbicidi e prodotti di sintesi; stallatico e sovesci di leguminose per il nutrimento, poltiglia bordolese e zolfo puro come antiparassitari. E poi vendemmie parcellari e piccole rese. In cantina impiego prevalente di lieviti indigeni, vinificazioni in acciaio, affinamenti sia in botte grande che in tonneaux, nessuna filtrazione, nessun uso di agenti esterni. Le uve che entrano nel Brunello provengono dagli appezzamenti Piaggione (che dal 2001 dà il nome al vino) e Teatro, da suoli ricchi di scheletro e di matrice argillo-sabbiosa, da esposizioni propizie e variate, a scolpire rossi caratteriali, sfumati e robusti al tempo stesso, di particolare avvolgenza alcolica e dalle avvincenti “coloriture” minerali. In più, dotati di una sobria e rigorosa nervatura tannica.

La recente verticale aziendale ne ha ripercorso la storia attraverso l’assaggio di quasi tutte le annate prodotte, svelando un percorso stilistico in ascesa che presenta uno scarto di consapevolezza in più a partire dal 2002. La gioventù del vigneto (teniamo conto che i primi impianti risalgono al 1994) e una fase estrattiva un tempo forse meno calibrata, se nelle prime edizioni spingevano sul fronte tannico e indirizzavano l’assetto aromatico-gustativo su tonalità “scure” e austere, con il tempo hanno accolto e propiziato una dimensione più godibile e sfaccettata, dove ad emergere sono una complessa stratificazione tannica e tratti sapido-minerali oltremodo caratterizzanti. Davvero importante l’escalation di bei conseguimenti, se pensiamo soprattutto alla recente storia vitivinicola dell’azienda e – per l’appunto- alla sostanziale gioventù del vigneto. Quasi che l’approccio nature, e l’accresciuta sensibilità interpretativa, avessero nel frattempo lavorato ai fianchi le sottese potenzialità del terroir, e consentito ai vini di mettersi progressivamente a nudo, senza filtri, senza costrizioni, senza impedimenti. Dai pensieri, dalle riflessioni e dai vini (oltre al Brunello nascono qui uno dei quasi-Cabernet più personali del comprensorio – Dopoteatro – e un Rosso di Montalcino in grado di riproporsi sovente con l’impronta caratteriale del “fratello maggiore”), traspare limpidamente il rispetto antico che si deve a una terra che ti accoglie. D’altronde, uno scrigno di unicità probabilmente irripetibile come quello di Montalcino altro non chiede se non lealtà e purezza nei gesti: tutte doti non soltanto fondanti, ma messe in pratica, al Podere Salicutti.

Brunello di Montalcino 1999

Caffè, ghianda e corteccia indirizzano le trame aromatiche su registri espressivi ombrosi, austeri, severi. Poi se ne esce una vena più dolce – figlia della evoluzione – a mitigarne le asperità e nel contempo consentirne più adeguate variazioni sul tema. Sviluppo gustativo coerente e poco concessivo, solido e alquanto tannico, determinato anche se poco flessuoso, a scolpire i lineamenti di un vino robusto, vivo, rigido e intransigente.

Brunello di Montalcino 2000

Profilo più dolce e torronato qui, su note di terra arsa e fiori essiccati, da cui intuisci una certa evoluzione, tipica di una annata calda. In bocca ha una buona espansione e poi un tannino risoluto a rintuzzarne gli allunghi. Insistiti gli accenti di cuoio e liquirizia.

Brunello di Montalcino Piaggione 2001

Naso non troppo portato per il dettaglio; bocca super tenace, di liquirizia e catrame, di durezze e decisionismi, inflessibile e impettita, in debito semmai di articolazione.

Brunello di Montalcino Piaggione 2002

Dal profilo terroso spunta una vena mineral-agrumata molto intrigante, a dare fiato. Bella bocca: spedita, equilibrata, fresca e sorprendente. Tonico e fragrante, è proprio un bel conseguimento, soprattutto in rapporto al millesimo, e concretizza un cambio di rotta significativo in termini di qualità estrattiva, ciò che ne consente oggi una progressione più armoniosa rispetto ai precedenti millesimi.

Brunello di Montalcino Piaggione 2003

Naso ricco di frutto e materia ma senza slabbrature o ridondanze; piacevole, denso, succoso, dalle ficcanti incisioni sapide: un vino riuscito, nonostante l’annata torrida e insidiosa.

Brunello di Montalcino Piaggione 2004

Bella complessità aromatica, fra viole, balsami e spezie: emergono con nettezza garbo espositivo e grazia espressiva. Gli accenti sono ben modulati, i dettagli rivelati. Qui senso e spazialità, rifiniture sapide e tannini rinfrescanti. E un finale importante ravvivato da scie d’agrume e liquirizia dolce.

Brunello di Montalcino Piaggione 2005

Tonico, risoluto e “diritto”, dalla timbrica “balsamico-sottoboscosa”, è figlio legittimo di una annata “acida”, lo senti. Sia pur meno sfaccettato rispetto al 2004, presenta uno sviluppo senza smancerie ma di buon sale, che non fa inasprire la montata tannica, anzi la scioglie. Una eco floreale e speziata, assieme a un impianto gustativo fresco e reattivo, ne fanno lampeggiare “l’indole” gastronomica: più lo bevi e più ti piace.

Brunello di Montalcino Piaggione 2007

Bella ariosità aromatica, elegante, fruttata, mentolata e floreale, dai dettagli ben scanditi. Palato con un pizzico di dolcezza in esubero, epperò netto, chiaro, luminoso, caldo e avvolgente, misuratamente tannico, con intriganti risvolti speziati e minerali da regalare.

Degustazione avvenuta in azienda nel giugno 2012

FERNANDO PARDINI

2 COMMENTS

  1. Grandissimi vini quelli di Francesco…Sarebbe bello riproporre una verticale anche del Rosso, tra i miei preferiti in assoluto.

  2. x Edoardo: Beh, direi che sarebbe una buona idea. Concordo sul brillante carattere del Rosso Sorgente di Salicutti. E credo che visto in prospettiva, attraverso una verticale, possa onorare da par suo una tipologia fin troppo offuscata dall’ingombrante presenza del Brunello. E come lui molti altri Rosso di Montalcino in circolazione.

    grazie della lettura
    fernando

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