Il vino degli auguri: Carema DOC Etichetta Bianca 2008 – Ferrando e C.

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Il Vino: Carema Etichetta Bianca 2008 – Ferrando e C.

Vitigni: nebbiolo, localmente detto picotendro

Sottozona/cru: Carema – Ivrea (TO)

Data assaggio: dicembre 2012

Il commento:

Il granato è vivo e confortante, pur concedendosi ai margini le naturali sfrangiature tipiche di un vino che non intende far sue le ragioni dell’estrazione bruta o degli attributi per gli attributi. E ancor di più te ne accorgi se solo lo accosti al naso: un universo cangiante di umori sottili, stimolanti, raffinati, aerei. A volte solenni, a volte sbarazzini, che riempiono il tempo e la voglia di stare in sua compagnia.

E’ un’aurea classicità di nebbiolo d’altura che fa da sfondo ad un quadro dinamico di rose, humus, menta, china, erbe fini, pepe, bergamotto e mandarino: finissimo, fresco, lungo, vibrante e ancora speziato, una trama carnosa ne copre appena la splendente e scarnificata nudità, regalandogli una coinvolgente cremosità tattile. Quanto basta per non farti apprezzare il gradino tannico. Quanto basta per conciliare mirabilmente le voci e illuminare a giorno l’evidenza sua più lampante: una beva irresistibile. Enorme la complessità, che è poi istinto puro. Prodigioso l’equilibrio.

A 20 euro o giù di lì (rapporto qualità/prezzo da lasciar senza parole) la sublime consistenza del nebbiolo di montagna, quale idea di purezza irraggiungibile ai più (con riferimento all’intero orbe terraqueo).

La chiosa:

Dopo un bicchiere così, l’ultimo dei tanti Carema dei ricordi miei (la mia prima esperienza risale al 1990, a un Carema, quella volta lì della Cantina dei Produttori locale, intimo e celestiale, assaporato su una carbonada valdostana alla Clusaz, bomboniera di tepore e buoni mangiari a un passo o due dal San Gottardo), la domanda più impellente alla quale vorrei trovare risposta resta la solita: possibile che la meraviglia sottesa in questi vini eroici, piemontesi per razza e geografia, valdostani per movenze e sfumature, rischi di non esser più? Possibile che bisogna stare a discutere se vini di tal prodigiosa unicità rischino di essere gli ultimi esemplari della specie? D’accordo la rivalità, d’accordo che nello stesso Piemonte convivono e si confrontano, a suon di nebbioli d’autore, Langhe e Alto Piemonte, ma davvero esistono mercati tanto ottusi da mettere a repentaglio la tenacia e la volontà di resistere dei pochi vignaioli di Carema (per i quali corre l’obbligo della benedizione), perché quei vini pare trovino difficoltà a diffondersi fuori regione, se non addirittura fuori zona, e quindi, se ti va bene, li devi vendere deprezzati?

Certe volte accade. Sì, accade: che l’evidenza -o almeno quella che io ritengo tale- sia talmente chiara da non dare adito a dubbi. Un’evidenza con l’ambizione e il privilegio di mettere tutti d’accordo: l’oenophile più avveduto e il distratto neofita. Così, per me, i vini di Carema: un’evidenza. Se però le cose vanno diversamente, e portano a farsi queste drammatiche domande, la mia resta purtroppo un’illusione, non una evidenza condivisa. Eppure, più ci penso e più non me la spiego tutta questa distrazione, tutta questa mancanza di prospettive (non solo critiche), tutto questo farci del male.

Così, con il bicchiere di oggi, brindo non solo all’anno nuovo, ma soprattutto ai vini “partigiani” e ai cento Carema nascosti e disseminati nel nostro paese. E, insieme ai vini, a tutti i custodi delle terre estreme. Affinché si preservino, resistano ed emergano, rari e preziosi come la dignità.

FERNANDO PARDINI

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