Fuori dal coro (la prospettiva del bufalo). Prima parte: Toscana

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subInutile negarlo, la girandola infernale degli assaggi estivi mi stordisce. Mi stordisce straniandomi. Difficile starmi attorno in questo periodo. Finanche rischioso. Le migliaia di vini sorseggiati e commentati diventano sogno e ossessione, e mi catapultano in una strana dimensione psicofisica, a metà strada fra amaro disincanto e ardore agonistico, che mal si confà all’indole riflessiva che mi pervade per tutto il resto dell’anno. Ci vuole tempo per digerire tutto, per risalire all’aria dalla lunga apnea enoica. Ci vuole tempo per elaborare e raccogliere i segni utili per una scrittura che possa considerarsi arricchita, più consapevole o più ispirata. Ci vuole tempo per ritrovare il senso di un lavoro tanto maniacale quanto straniante.

Un aspetto che mi conforta e che stimola sempre aspettative tutte nuove è quello che riguarda il lato oscuro della ribalta, tutto ciò che sta in penombra. Quella fitta rete di vignaioli e di piccoli-grandi vini che per una ragione o per l’altra non hanno ancora i riflettori della notorietà puntati addosso. Perché sono ancora troppo pochi coloro che li riconoscono per quanto valgono, perché magari trattasi di giovani realtà, perché la comunicazione è quella che è, perché i vini sono quello che sono. Perché dei riflettori, forse, potrebbe non fregargliene nemmeno.

Insomma, non si vive di soli nomi noti, ecco. Una consapevolezza questa che mi aiuta a riemergere dal cono d’ombra tipico del criticone, immerso a discettare di pedisseque e micragnose puntualizzazioni notarili, quasi a tarpare le ali alla spontaneità e al mero trasporto emozionale. Ed è per questo che invariabilmente mi prende la voglia di parlare dei vini fuori dal coro, dei vini obliqui, dei vini che non ti aspetti, di quelli che non conoscevi, di quelli che scartano di lato (come il bufalo, ci direbbe il De Gregori), di quelli che- indipendentemente dal tasso di complessità- disegnano traiettorie stilistiche con le quali è bello averci a che fare. Di quelli che ti attraggono e non sai perché. O forse lo sai ma non ti importa di spiegarne i motivi.

Questi piccoli pezzi, quasi fossero schizzi impressionisti, sono dedicati a quei vignaioli lì, a quei vini lì. Con la speranza di instillare un briciolo di curiosità in più. O di diventare tutti un po’ più bufali.

Costa dell’Argentario Ansonica 2012 – La Parrina (€ 9/10)

Mi sono chiesto spesso, nei torridi pomeriggi estivi post degustazione: “ma cosa potrei bermi mai stasera di rinfrescante, di spensierato, di toscano, se proprio proprio decidessi di bere?”. La risposta, inevitabilmente da qualche anno a questa parte, prende la forma dell’Ansonica della Parrina. Un bianco di una purezza, di una naturalezza, di una nitidezza….. una boccata di mare, ecco cos’é.

Val di Cornia Vermentino Filemone 2012 – La Fralluca (€ 9/10)

Mi piace l’insopprimibile urgenza di curiosità che anima Luca Recine e Francesca Bellini. Dote immersa  in un mare di umiltà. L’umiltà di chi sa che deve ascoltare, provare e imparare. E gli piace farlo. Quel tipo di umiltà che già sta ripagandone gli sforzi. Suggestivo il contesto ambientale. Non te lo aspetti giù ai Barbiconi, nei pressi di Suvereto. E singolare l’unicità di questo bianco straordinario, in grado di mettere in fila, dopo appena tre o quattro vendemmie, tanti e tanti bianchi della costa toscana. Perché quel terroir speciale riesce a trasmettergli una freschezza acida e una capacità di dettaglio tali da far la differenza. Il 2012, ancora giovane e impettito, esploderà dopo l’estate in una cascata di sottigliezze aromatiche, nelle quali sarà piacevole confondersi. Snello e “verticale”, istintivo e circuitore, vi sorprenderà.

Il Pagliaio Bianco 2012 – Romano Franceschini (€ 7/8)

Romano Franceschini resta fondamentalmente un grande ristoratore. Il suo Da Romano a Viareggio, in oltre quarant’anni di storia, si è ritagliato una bella fetta di notorietà grazie alla ispirata e freschissima cucina di mare elaborata dalla moglie Franca ma grazie anche al senso dell’accoglienza e dell’ospitalità che Romano stesso ed il figlio Roberto -custode della sterminata cantina- riescono a trasmettere ai loro ospiti. Però è pur vero che le origini a volte non si dimenticano. E le origini montecarlesi di Romano (uhei, Montecarlo di Lucca neh!) hanno giocato a favor di vigna. Nel senso che Romano, con incrollabile pazienza e curiosità da apprendista, non smette di coltivare le sue vigne di Montecarlo per dare vita a un paio di vini di cui andare giustamente orgoglioso, pur consapevole dei limiti. Ed è il bianco a dare le maggiori soddisfazioni. Ora, fino a un paio di vendemmie fa, questo vino era un Montecarlo doc, un classico uvaggio (per la zona) di trebbiano, roussanne, sauvignon, malvasia. Un Montecarlo filologicamente impeccabile, con il suo gusto asciutto, terragno, piacevolmente ammandorlato. Esce dalla Doc e cosa mi combina quest’anno? Pur pescando dalla stessa composizione varietale di sempre, ecco che lo slancio, la complessità aromatica, la grinta e la elettiva sapidità ne fanno un vino più completo. Non resta così altra scelta: conoscerlo.

Colli di Luni Vermentino Linàro 2012 – Boriassi (€ 8/9)

Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Venti anni e passa fa il mio grande amico Giancarlo Giannini, che non faceva l’attore (anzi, non era proprio lui) e che a quei tempi gestiva un “impegnato” negozio bio-antroposofico di cose mangerecce in quel di Viareggio, mi concedeva volentieri di avventurarmi nei sentieri sensoriali di certe etichette bio. Non sempre coi risultati attesi per la verità, anzi. Ebbene, punta di diamante di quel negozio erano i Vermentino di Giancarlo Boriassi, già allora certificati bio. Ho il ricordo di vini pragmatici, non troppo profumati, granulosi, austeri, quasi irrisolti. Sapete quei vini che facevano dubitare chi volesse avvicinarsi al mondo, per noi italiani ancora sostanzialmente inesplorato, dei vini nature? Bene, a distanza di tanti anni ho assaggiato e riassaggiato le produzioni nuove della casa e c’è di che andarne fieri. Quest’anno ho preferito sicuramente il cru Vigneto Mezzaluna, dal temperamento forte e orgoglioso, ma voglio qui spendere una parolina sul più semplice Linàro. Per quella sua indole istintiva e seducente insieme, per come si concede ai profumi, per come riesce a mantenere sapore e piacevolezza nel sorso non svestendo mai i panni del vino stilizzato, snello e poco alcolico. Una goduria!

Unlitro 2012 – Ampeleia (€ 9/10)

Doveva scendere in Toscana una vignaiuola coi fiocchi come la trentina Elisabetta Foradori per rimodellare la fisionomia dei vini maremmani nel verso del contrappunto gustativo e della freschezza di beva. Lo sta facendo, e bene, nella sua Ampeleia. Però l’ultimo nato, Unlitro, da uve grenache e mourvedre, affinato in cemento, recupera brillantemente l’idea salvifica del vino sbarazzino e compagnone, senza sbracature ed ovvietà, concretizzando un profilo snello, gioiosamente vinoso, fruttato e goloso. Un profilo che non dimentichi. Una simpatica bottiglietta (da un litro, appunto) da tuffare senza timori in glacette e da sorseggiare fresca fresca ovunque tu ti trovi.

Santippe 2011 – Poggio Trevvalle (€ 7/8)

Annata da incorniciare per il piccolo grande Santippe dei fratelli Valle. Sangiovese in purezza proveniente dalla zona di Arcille, nei pressi di Grosseto, da agricoltura bio della prim’ora. Un rosso che è quasi un rosato. Tutto sussurri e niente grida. Sfaccettato, longilineo, profumato, senza gradino tannico. Un valoroso compagno della tavola quotidiana. Da bere reiteratamente senza sensi di colpa o pentimenti.

Rosso di Montalcino 2011 – Pian delle Querci (€ 8/9)

Ecco qua la dimensione di Rosso di Montalcino che sempre vorrei trovare nel mio bicchiere: profumi da sangiovese esposti in maniera garbata ( sottobosco, pietra, erbe aromatiche, alloro), snellezza gustativa, tensione, fiera essenzialità senza fronzoli, il tutto nel nome della bevibilità e della schiettezza. Sì, sono vini sentimentali quelli di Angelo Pinti. Un qualcosa di ancestrale li attraversa tutti, Brunello (buonissimi) inclusi. Qualcosa che era già lì e che era solo da cogliere, senza esasperati tecnicismi, senza interventismi di maniera. In modo naturale, semplice, senza forzature. Sì, sono vini “sospesi” e senza età.

Morellino di Scansano Brumaio 2010 – Pietramora di Collefagiano

Una delle sorprese più liete del mio fitto girovagare maremmano degli ultimi anni. Calata in un affascinante contesto ambientale, Collefagiano appunto, capace di piegare alle ragioni del terroir la fisionomia del sangiovese donandogli accenti più rocciosi, minerali, profondi, ben aldilà della mera centralità di frutto. Una scommessa nata una dozzina di anni orsono fra amici, semplicemente innamoratisi di questo angolo di Maremma. Da una agricoltura bio, Brumaio, sangiovese in purezza affinato in acciaio, dopo alcune tappe di avvicinamento centra il colpo, e lo fa da vero e proprio vino d’autore. A margine, insieme al vino, potrete conoscere un’altra affascinante realtà, di tipo ricettivo, che ha a che fare con la proprietà. A Scansano c’è uno dei bed & breakfast più carini, originali, curiosi ed affascinanti mai incontrati. Dove il gusto del design sposa il rispetto filologico delle strutture originarie in un cortocircuito di idee e soluzioni difficili da dimenticare. Morelliana si chiama. Four rooms. Quattro stanze. Il tutto sotto la regia attenta di Gaia Cerrito, ideatrice e gestrice di queste camere strambe, nonché one woman band dell’attiguo ristorante, dove in buona sostanza fa tutto lei!

Dedicato a Benedetta 2010 – Fietri

Se dovessi impalmare la giovane realtà chiantigiana più intrigante dell’anno non avrei molti dubbi, impalmerei Fietri. Poche vendemmie alle spalle, vigneti alti alti (fino a 600 metri) sopra l’abitato di Gaiole, belle escursioni termiche. Un contorno non banale per una sensibilità interpretativa capace di trasporre tutto il portato di dinamismo e freschezza in vini dalla fisionomia già affermata ed apprezzabile. Oddio, i nomi di alcuni di loro non sono un granché (Alius et Idem, Hic et Nunc e via latinando). Pensate soltanto ad ordinarli ad un ristorante! Ma sono assolutamente qualcosa in fatto di temperamento, radicamento territoriale e riconoscibilità varietale. Accanto ai Chianti Classico, in decisa crescita di focalizzazione, questo sangiovese in purezza ispira un buon viatico. E’ vino complesso, dinamico, fondato sul registro floreal speziato del vitigno di base, di medio peso e medio volume ma intrigante, profumato e puro.

Salamartano 2010 – Montellori (€ 27/30)

Qui lo dico e qui lo nego: e se il migliore bordolese style di Toscana non dimorasse a Bolgheri ma a Fucecchio? Una idea che quasi quasi mi convince. E mi convince sempre di più se mi accosto e riaccosto al Salamartano 2010 di Alessandro Nieri. Un approdo importante questo qua. Perché c’è profondità, equilibrio (ah, l’equilibrio!), assenza di forzature, sviluppo articolato e coinvolgente, finale prezioso e ricamato, soprattutto freschezza. Un gran vino, che in barba ai vitigni componenti profuma di Toscana. E profuma di sé, dal momento in cui questo piccolo grande cru ha una storia importante alle spalle. Che ha avuto solo il torto, si fa per dire, di crescere in una zona non troppo illuminata dai riflettori del main stream. Ma il futuro, per una volta, ha preso casa a Fucecchio!

Montecucco Sangiovese Riserva Cenere 2008 – Amiata (€ 21/24)

Tre ettari di vigna sulle alture di Montegiovi, in odor di Amiata, e fin da subito la sorprendente capacità di andare al cuore del discorso. Che poi, trattandosi di Montecucco, hai un bel discorrere, quando ti trovi di fronte a una denominazione partita con tutti i crismi della distinzione ma che poi si è parzialmente arenata fra passi più lunghi della gamba, azzardi enologici, terroir non sempre al top, consapevolezze non troppo consapevoli. La luce trasmessa dai vini di Simone Toninelli è invece una luce che illumina, in grado di tradurre con dovizia di particolari tutte le potenzialità del sangiovese d’altura. Il Riserva Cenere 2008, come già fu per la prima annata (2006), è un vino di sobria compostezza ed austera eleganza, quasi trattenuto negli accenti, dotato però di una profilatura gustativa e di un portamento da signor vino. E’ figlio del vulcano, e si sente.

FERNANDO PARDINI

4 COMMENTS

  1. Ovvìa Fernando, finalmente dal tuo grande sapere un po’ di vini “fuori dal seminato”. Buona estate e a presto.

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