Il De Gustibus di Robert Appelbaum: l'”Homo Restauranticus” messo a nudo

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Appelbaum_DeGustibusOsservando i settori delle librerie dedicati alla gastronomia, si avverte ultimamante un nuovo interesse nell’approfondire le caratteristiche dell’esperienza del mangiare al ristorante, un luogo privato che svolge un servizio pubblico e dove si va principalmente per consumare un pasto, ma anche per assistere e partecipare ad un rito o una rappresentazione personalizzata, dove ci si trasforma e si cambia identità, dove si cristallizzano un momento di vita ed una catena di emozioni, si fissa un istante di un viaggio o di una relazione affettiva. Un’esperienza cercata e vissuta da coloro che scelgono di andare a mangiare fuori dalla propra casa, che tracciano un confine fra un prima ed un dopo con il fatidico pensiero: entriamo.

La categoria protagonista di questa esperienza è quella dell”Homo Restauranticus”, alla quale appartiene in modo pieno e totale Robert Appelbaum, che, da intellettuale “non specializzato” (è studioso di letteratura ed arte) consente al lettore un buon grado di immedesimazione, tenendo fra l’altro spesso a sottolineare il suo budget limitato, talvolta anche ristretto, e considerando dunque come oggetto delle proprie analisi quello che definisce “ristorante per noi comuni mortali”. Quindi niente libro di critica gastronomica anche perché il critico non deve avere, in linea di principio, problemi di risorse economiche quando effettua la sue recensioni. No: l’autore, a parte la divertente descrizione di un pranzo meraviglioso, emozionante e frastornante in un due stelle Michelin di Londra firmato da un pupillo di Gordon Ramsay che doveva stare entro le 60 sterline del menu a prezzo fisso e che a forza di vino e formaggi arriva a 221, è “uno di noi”.

Interessante la storicizzazione: inizialmente il ristorante è un fenomeno tutto francese. Viene inventato a Parigi, nel periodo post rivoluzionario “di sperimentazione sociale”, con i tanti cuochi delle famiglie aristocratiche finiti per strada. Si inserisce rapidamente nel tessuto della società e nell’immaginario dei grandi letterati (Balzac), trovando così, presto, il suo primo descrittore, o critico, in Grimod de la Reniere con il suo Almanach des Gourmands. che si assume anche un compito “educativo”: in una società in ricostruzione, nella quale ormai non solo i nobili potevano mangiar bene, il gourmand aveva bisogno di un modello, di un’etica, perché poteva diventare uno dei protagonisti della nuova era in fase di definizione nella quale il ristorante era il luogo della buona cucina con anche una spiccata funzione sociale. Ma il ristorante evolveva più lentamente di quanto sarebbe piaciuto a Grimod, impaziente e creativo; così, dopo qualche edizione, chiuse la sua avventura letteraria per noia, ritirandosi in una tenuta in campagna acquisita grazie ad una eredità.

Un precoce narratore di ristoranti come Grimod fu la dimostrazione lampante di quanto l’esperienza a tavola si presti al racconto: a partire da lui stesso, che cercò di esplicitarne i caratteri quasi artistici, passando per la cuoca americana Mary Fisher, (autrice fra l’altro di The Gastronomical Me, ma quando qualcuno si deciderà a tradurlo?) che ne testimoniò le capacità di appagamento sensoriale ed esistenziale, ai critici (o critiche) come Gael Green o Ruth Reichl, fino, in tempi moderni e post-sartriani, al consumatore, a “sua maestà il consumatore” che sceglie blog e social network per rendere manifesto il proprio consumo attraverso foto e parole.

Un consumo che nel ristorante può perdere tuttavia gran parte del suo carattere spersonalizzante: mentre non sappiamo chi e in quale contesto ha prodotto, fabbricato il telefono che abbiamo in mano, sappiamo invece che il piatto che ci arriva al tavolo è stato pensato per noi, o perlomeno per qualcuno che è a pochi metri di distanza da chi lo realizza e che sa che siamo lì. Viene stabilito, insomma, un contatto umano pressoché unico in tempi di spietate transazioni impersonali.

A costo di qualche filosofeggiamento forse di troppo, è questo un libro che dimostra quanto sia sfaccettata e feconda in termini emozionali ed esistenzali l’esperienza l’andare al ristorante. Appelbaum sfoggia una bella ed ampia cultura gastronomica quando descrive ciò che mangia senza toni dottorali o gerghi critichesi, semplicemente grazie ad esperienze stratificate e vissute con passione e la curiosità analitica dello studioso, aprendo la mente del lettore grazie ai confronti che fa tra i suoi Stati Uniti, e l’Europa, o fra Parigi e Londra, o fra Francia ed Italia. E non mancano interessanti analisi di testi, famosi come Il pranzo di Babette, o meno.

Robert Appelbaum
De Gustibus. Alla ricerca dell’esperienza gastronomica
Odoya (Ottobre 2012)
319 pagg – 18 euro

Riccardo Farchioni

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