Fuori dal coro (la prospettiva del bufalo). Quinta parte: Liguria

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BufaloInutile negarlo, la girandola infernale degli assaggi estivi mi stordisce. Mi stordisce straniandomi. Difficile starmi attorno in questo periodo. Finanche rischioso. Le migliaia di vini sorseggiati e commentati diventano sogno e ossessione, e mi catapultano in una strana dimensione psicofisica, a metà strada fra amaro disincanto e ardore agonistico, che mal si confà all’indole riflessiva che mi pervade per tutto il resto dell’anno. Ci vuole tempo per digerire tutto, per risalire all’aria dalla lunga apnea enoica. Ci vuole tempo per elaborare e raccogliere i segni utili per una scrittura che possa considerarsi arricchita, più consapevole o più ispirata. Ci vuole tempo per ritrovare il senso di un lavoro tanto maniacale quanto straniante.

Un aspetto che mi conforta e che stimola sempre aspettative tutte nuove è quello che riguarda il lato oscuro della ribalta, tutto ciò che sta in penombra. Quella fitta rete di vignaioli e di piccoli-grandi vini che per una ragione o per l’altra non hanno ancora i riflettori della notorietà puntati addosso. Perché sono ancora troppo pochi coloro che li riconoscono per quanto valgono, perché magari trattasi di giovani realtà, perché la comunicazione è quella che è, perché i vini sono quello che sono. Perché dei riflettori, forse, potrebbe non fregargliene nemmeno.

Insomma, non si vive di soli nomi noti, ecco. Una consapevolezza questa che mi aiuta a riemergere dal cono d’ombra tipico del criticone, immerso a discettare di pedisseque e micragnose puntualizzazioni notarili, quasi a tarpare le ali alla spontaneità e al mero trasporto emozionale. Ed è per questo che invariabilmente mi prende la voglia di parlare dei vini fuori dal coro, dei vini obliqui, dei vini che non ti aspetti, di quelli che non conoscevi, di quelli che scartano di lato (come il bufalo, ci direbbe De Gregori), di quelli che- indipendentemente dal tasso di complessità- disegnano traiettorie stilistiche con le quali è bello averci a che fare. Di quelli che ti attraggono e non sai perché. O forse lo sai ma non ti importa di spiegarne i motivi.

Questi piccoli pezzi, quasi fossero schizzi impressionisti, sono dedicati a quei vignaioli lì, a quei vini lì. Con la speranza di instillare un briciolo di curiosità in più. O di poter diventare tutti un po’ più bufali.

La Bettigna – Colli di Luni Vermentino 2012 ( € 11/13)

A volte capita, sì, capita. Che la passione e l’impegno vengano ripagati con straordinario anticipo. Certo, è cosa rara in un mondo senza stile, ma direi che è andata così a Nicola Lazzoni ed Emilio Falcinelli: due amici in primis, due grandi appassionati di vino in secundis. Dal recupero di un piccolo “clos” situato a Molicciara, alle pendici del colle di Castelnuovo Magra, al primo vino il passo è stato breve. Ma che passo! Annunciato da “cadenze” aromatiche tipiche di un bianco che sente (ma non troppo) la macerazione, con il frutto maturo in evidenza e una veracità tutta artigiana ad instradarne i profumi, conserva una brillante quanto inattesa dinamica , che pesca e trova una incisiva salinità a spianargli la strada e a connotarlo come autentico “vino di bocca”: caratteriale, vibrante, dal timbro minerale. E’ lì che marca la differenza, è lì che senti il futuro bussare.

Cesare Scorza – Cinque Terre Bianco Burasca 2012 ( € 16/18)

Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: il termine viticoltura eroica, se riferito alle Cinque Terre, perde ogni connotazione retorica per assumere un significato ben più pregnante, che va oltre le oggettive difficoltà colturali e logistiche proprie del gesto agricolo per abbracciare il senso più profondo di una appartenenza ad un territorio. E’ idea stessa di vita, e commovente ostinazione.

Ché non lo puoi spiegare altrimenti il sacro fuoco che muove quella gente a lavorare una terra sostanzialmente impervia e poco accomodante, e a costruirci muretti, spostare sassi, riparare frane….. incessantemente, per un tempo senza fine, come piccoli capitani Achab di terraferma. E questo non tanto e non solo per ricavarne, grazie a dio, dei frutti individui, ma soprattutto per il sacrosanto rispetto dovuto ad una terra che ha dato, generato, partorito e accolto. Per garantirne la vitalità insomma, che è poi il solo lascito struggente per le generazioni future.

Cesare Scorza è uno dei vignaioli più preparati delle Cinque Terre. Il suo unico vino, fieramente “acciaioso”, le cui uve provengono da alcuni fazzoletti di vigna abbarbicati sui poggi di Manarola, esemplifica perfettamente la tipica fisionomia dei bianchi della zona: solarità, avvolgenza, temperamento verace. Condite qui da una provvidenziale sensazione salmastra, di salsedine proprio, a rammentare l’imprinting di un vero e proprio vino “di scogliera”. Il Burasca 2012 è un compendio riuscito di forza e sottigliezza, ardore e introspezione. Un ispirato melange che sa di uva, e ci ricorda ad ogni bicchiere il sole che c’è lì.

Valdiscalve – Colli di Levanto Verment Ing Terre di Reggimonti 2012 ( € 10/11)

Le alture di Levanto, in località Reggimonti, hanno ben giovato al vino omonimo prodotto da Gianni Cogo. Quantomeno in un’annata insidiosa come la 2012. E se in fondo l’idea bizzarra di storpiarne il nome per accreditargli un titolo accademico (che riconduce al mestiere originario del suo autore) non può che farci blandamente sorridere (nulla di più distante però dal concetto stesso di vino), di fronte alla silhouette slanciata di questo bianco di collina il sorriso vien fuori più spontaneo e per nulla ironico.

E’ pari pari quel sorriso che può strapparti un vino ligure fin nel midollo, con lo spettro ampio dei profumi, qui sintetizzati dagli umori della macchia mediterranea e dell’agrume, e con un profilo gustativo dinamico, arioso, seducente, contrastato. Un ottimo conseguimento insomma, che tiene puntati i riflettori della curiosità su una zona non propriamente affollata di vignaioli (eufemismo) ma certamente in grado di trasmettere una interessante caratterizzazione ai vini, lì dove polpa di frutto e sottigliezze si bilanciano alla ricerca di una piacevolezza che sappia dichiararsi autentica.

Bisson – Portofino Cimixà L’Antico 2012 (€ 11/13)

Assaggio con continuità, da molti anni, le numerose etichette appartenenti all’eclettico catalogo di Piero e Marta Lugano. Un catalogo che spazia dall’entroterra più vocato del Tigullio genovese, onorato con vitigni quali vermentino, bianchetta e ciliegiolo, fino ad approdare alle Cinque Terre. Una proposta che raramente ha riservato cadute di tono, tanta l’affidabilità e la cura che stanno alla base delle selezioni. Poi, un giorno, accade quello che non ti aspetti, ma che magari auspicavi da tanto: il colpo a effetto. Ecco, per me è arrivato quest’anno. Fin dal primo incontro con questo straordinario, misconosciuto vino-vitigno del Tigullio, recuperato all’oblio da un piccolo drappello di appassionati supportati nella ricerca e nello sviluppo delle marze da studi scientifici e universitari. Dopo qualche vendemmia di assestamento, il 2012 del Cimixà (che pronuncerai cimigià, questo il nome dell’uva) rivela una personalità che non puoi evitare, invidiabile fusione di eleganza, portamento e dinamica gustativa. Un bianco complesso, signorile, che per limpidezza del disegno, ampiezza e intensità è in grado oggi di concretizzare impensate traiettorie espressive, tutte da percorrere, tutte da assaporare.

VisAmoris – Riviera Ligure di Ponente Pigato Sogno 2011 ( € 16/18)

Se c’è un exploit che è uno, tenuto soprattutto conto della recente fondazione della cantina, è quello di VisAmoris. Una passione sfegatata verso l’uva pigato ha portato Roberto Tozzi e Rossana Zappa a creare una realtà ancora piccola nei numeri ma quanto mai determinata nel perseguire un sogno: esaltare l’eclettismo di questo storico vitigno del ponente ligure. Da cui lo studio sul campo, e in cantina, per ricavare diversi Pigato che si differenziassero per via dei metodi di elaborazione assunti. Un coacervo di stili, dal quale però è possibile individuarne oggi il tratto accomunante, che è poi la chiave di volta di un innamoramento, il mio: levità, leggerezza, bevibilità.

Nello stupendo Sogno 2011 la macerazione sulle bucce a temperatura controllata e il breve passaggio in legno ( così recita la brochure aziendale) non lasciano traccia. E manco lo diresti che ci siano state, se solo ti affidi alla longilinea silhouette di questo bianco. Tanto da farlo assomigliare a un piccolo grande Riesling, perlomeno negli accenti agrumati e minerali di quel naso sontuoso ed elegante. Un bilanciatissimo supporto alcolico (solo 12,5°!!) non fa altro che rendere ancor più agile e spigliata la beva, che diventa trascinante, lunghissima, infiltrante. Un Pigato incredibile, che danza sulle punte e vola in alto.

Rondelli – Rossese di Dolceacqua 2012 (€13/15)

Nel fermento di idee e consapevolezze nuove che va scuotendo e vivacizzando l’appartata produzione enoica imperiese, raccogliamo oggi i segni di un risveglio qualitativo ad ampio raggio, ciò che da un po’ di tempo a questa parte ha attirato le attenzioni degli appassionati e degli operatori (quantomeno i più curiosi), soprattutto sul versante del Rossese di Dolceacqua, vino-vitigno ad incredibile tasso di dignità territoriale: ricchezza aromatica, movenze femminee nei registri espressivi, garbata tessitura tannica, intrigante coté speziato ne disegnano i “contorni” organolettici, alimentando il fascino di questi rossi flessuosi, accattivanti e istintuali. Dalle prime avvisaglie ricavabili dall’annata 2012 tutte queste doti, assieme a una adeguata tensione gustativa e a un alcol più bilanciato rispetto alla insidiosa vendemmia precedente, dovrebbero emergere appieno e concretizzare vini seducenti, profumati, elettrici e ritmati. Per avvicinarsi, lo speriamo, alla mirabilia che già è appartenuta all’annata 2010.

Un esempio per tutti è costituito dal Rossese “classico” 2012 di Roberto Rondelli: puro, elegante, puntuale nei rimandi ai piccoli frutti del bosco e alle spezie fini, bilanciato e spedito nella trama di bocca. Un vino, se non profondo, quanto mai goloso e super bevibile, che rende ancor più motivata l’attesa per il cru Migliarina (uscirà l’anno prossimo), solitamente in grado di tradurre con dovizia di particolari, grazie al sottile fraseggio aromatico e allo sfumato contrappunto gustativo, tutte le suggestioni che sole appartengono a certi vigneti d’altura della Val Nervia, a un passo o due dal confine francese.

FERNANDO PARDINI

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