Antonin Carême, che inventò la cucina moderna

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Ferri-caremeIn certi periodi le lancette della storia sembrano girare improvvisamente più veloci, e certe vite possono, come aggrappate, seguire percorsi accelerati fino a diventare vorticose. Uno è sicuramente quello degli anni immediatamente successivi alla rivoluzione francese, e una di queste vite fu sicuramente quella di Antonin Carême, che può essere considerato uno dei fondatori, se non il fondatore, della cucina moderna.

Mentre ogni ordine sociale e politico è spazzato via e le teste dei ghigliottinati rotolano copiose nelle ceste dei boia, nella Parigi di quagli anni c’è un bambino che come tanti altri tiene il naso incollato sulla vetrina di una pasticceria. Si chiama Marie-Antoine, ma presto diventerà Antonin perché dopo la sorte toccata alla regina il suo nome aveva all’improvviso iniziato a portar male, e vive ammassato insieme a 13 fra fratelli e fratellastri in una stanza di una baracca in rue De Bac. Presto, a dieci anni, dopo una bella mangiata il padre lo congederà mandandolo a guadagnarsi la vita in strada.

Nessuna cattiveria: a quel tempo, a quell’età, se si era sopravvissuti a malattie ed infezioni si era pronti alla vita. Così, solo, scalzo e sfinito finisce agli spiedi della Fricassée de Lapin: un lavoro terribile, dal mattino alla sera “riempiendosi i polmoni di fumo, bruciandosi le ciglia, la punta delle dita, le guance” per poi cenare tardi con brandelli, cotenne, ossa ed interiora. Ma un lavoro, e con esso la sopravvivenza.

Con le braccia ustionate e dopo aver respirato il fumo di quintali dilegna e carbone, il suo percorso prosegue nella zona più gourmand di Les Halles, in una pasticceria fra rue Mondérour e rue Malconseil. Nel frattempo, è da poco tornato in città Anthelme Bríllat-Savarin, e Antonin lo segue al mercato mentre fa la spesa e poi cucina nella sua casa “omelette al tonno, fagiano ripieno all’arancia, filetto di manzo ai tartufi, rombo al vapore su strato di verdure”. E pian piano si forma la sua personalità: perfezionista fino al minimo dettaglio, passa le notti studiando tutti i possibili trucchi per una pasta sfoglia perfetta, come un legno o una stagionatura influisce sulla cottura, impara da solo a leggere e a scrivere, tanto che diverrà lui stesso scrittore di monumentali trattati di cucina che avranno il ruolo di seppellire la cucina rinascimentale grassa, e speziata e di fondare quella moderna.

Nel frattempo Napoleone trionfa, e con lui il suo potentissimo ministro Charles Mauríce de Talleyrand-Périgord, il “diavolo zoppo”, ambiguo ed intelligente, avido e seduttore, patrocinatore di banchetti da cinquecento invitati ed appassionato di pièces montées, gli alti centrotavola di marzapane, zucchero filato e confetti. E Carême, sempre più richiesto, ne realizza uno da sette piani. Napoleone, dopo Talleyrand, comprende come questo personaggio geniale può essere utile alla loro diplomazia e come grazie a lui “la cucina ci aiuterà a restituire alla Francia il suo antico splendore”. Il che significa, nella pratica, “365 menu uno per ogni giorno, senza mai ripetere una pietanza ed usando esclusivamente ingredienti di stagione, erbe aromatiche fresche, verdure, salse leggere”.

Mentre Carême fa uscire il suo primo libro, Le Patissiere Royal Parisien, che vende nella sua abitazione di rue Caumartin 20 e presso l’editore, la storia accelera di nuovo, l’impero di Napoleone scricchiola e con lui anche la moda delle grandes pieces, che diventano piccole e snelle, e il suo gusto sempre più fine producendo salse con lo Champagne, salmì di pernice al Bordeaux, terrine di testa di cinghiale ricoperte di gelatina.

Napoleone fugge dall’Elba, i sovrani appena reinsediati vengono presi dal panico. Carême entra nell’orbita dello zar e apprezza il servizio alla russa: non tutte le pietanze rovesciate insieme sul tavolo ma servite in un ordine che vede prima i potages, poi gli antipasti, le carni, i pesci e i dolci. Ormai è richiestissimo in tutta Europa, viene considerato un artista, un genio, e pochi si accorgono che i suoi capolavori sono il frutto di preparazioni millimetriche ed impegno gigantesco. Ancora un viaggio in Russia dove attenderà invano lo zar impegnato altrove, ancora successi, un’opera monumentale sulla cucina in cinque volumi, altri libri, una infinità di ricette rielaborate. Resiste agli inviti del re d’Inghilterra e all’ambasciatore di Russia a Napoli. Finisce in rue d’Artois, nel sontuoso palazzo dei Rothschild dove ha a disposizione novità come i fornelli a gas e dove pranzano Chopin, Heine, Ingres e Delacroix, ma soprattutto Gioacchino Rossini con cui s’intende a meraviglia, e finisce la sua vita avventurosa e ricchissima mormorando forse la parola casserole.

Un testo denso, questo, nel quale non vanno ricercate profonde analisi gastronomiche, ma dove si racconta con passione una vita speciale, riuscendo a situare molto bene una personalità forte in un contesto anch’esso assai speciale, descritto in modo dinamico e scoppiettante. Forse talvolta ci si lascia prendere dall’entusiasmo degli aggettivi roboanti e dei dialoghi ad effetto, ma non c’è dubbio che il libro conquista, così come conquista il ritratto di quest’uomo dalle doti non comuni di intelligenza, forza di volontà, capacità di lavoro, lucidità e fantasia.

E alla fine, si impara molto osservando da vicino la figura di un grande cuoco che chiuse i conti con il rinascimento, e rivivendo un pezzo di storia fra i più appassionanti e gravidi di conseguenze ed influssi per la modernità.

Edgarda Ferri
Il cuoco e i suoi re
Skira – Settembre 2013
144 pagine, 15 euro
ebook 9,99 euro

Riccardo Farchioni

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