Massi Fitti 2010 – Suavia

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Il vino: Massi Fitti 2010Suavia

Cru/comune: Fittà – Soave (Verona)

Uvaggio: trebbiano di Soave

Data assaggi: novembre 2013

Il commento:

massi fittiIl giallo è ancora “elettrico”, cristallino, vibrante di toni smeraldini; il naso finissimo e verticale, di erbe e agrumi freschi: profondo, infiltrante, speziato, conserva ricordi di anice, mentuccia e mughetto. L’attacco di bocca è ampio e maturo, lo sviluppo più snello e profilato. Chiude sapidissimo su note sulfuree e fumé (di roccia), mantenendo ritmo, brillantezza e articolazione lungo tutto l’arco gustativo. E’ vino sans signature, puro ed espressivo, fedele traduttore della voce del suo territorio.

E’ il Trebbiano di Soave vestito a festa. E, una volta tanto, la festa è la sua. A 14 euro sugli scaffali d’Italia.

La chiosa:

Il recupero dalla dimenticanza, l’esorcizzazione di un possibile oblìo: in sintesi, la consapevole risposta sul campo a una domanda fondamentale, al contempo etica e programmatica, che sta nel chiedersi se abbia ancora senso, qualora mai lo abbia avuto, continuare a disperdere quel che resta della nostra biodiversità dal momento in cui si scelga di puntare su una vitivinicoltura con a fondamento l’intimità della propria terra. O se, al contrario, la preservazione di un habitat e dei suoi “abitanti” rappresenti la naturale conseguenza del gesto agricolo illuminato.

In fondo, è un po’ come onorare la virtuosa attitudine al ricordo, per realizzare che se un vitigno è nato e cresciuto in uno specifico areale ci sarà pure stato un motivo, nella civiltà contadina di allora; un motivo che chiedeva -e ancor chiede- rispetto. E se un tempo la scarsa produttività del trebbiano di Soave (da non confondersi con il trebbiano toscano o d’Abruzzo, casomai geneticamente imparentabile con il trebbiano di Lugana o il verdicchio) aveva fatto pilatescamente propendere per il progressivo abbandono della sua coltivazione -ma che volete, erano gli anni dell’ipertrofia produttiva nel più grande vigneto d’Europa!-, oggi questa sua caratteristica non può che stimolare la curiosità del vignaiolo attento. Figuriamoci poi nel caso in cui la sensibilità interpretativa è tutta virata al femminile! Ebbene sì, le giovani sorelle Tessari  -Meri, Valentina e Alessandra- hanno saputo riprendere e capitalizzare gli insegnamenti del padre Giovanni focalizzando le attenzioni sul binomio vitigno-terroir in modo intelligente, puntando così a una caratterizzazione forte nei loro vini, già avvertibile nel Soave Classico “base” ma che si fa esaltante nei preziosi cru della casa.

Massi Fitti è un progetto recente dalle radici lontane. Lo studio dei vari cloni presenti nei vecchi vigneti di proprietà, la successiva selezione sulla base delle migliori attitudini e infine l’ideazione di un impianto con la varietà di trebbiano ritenuta la più valida, hanno trovato compimento in una vigna che poggia sui suoli basaltici di pura matrice vulcanica di Fittà, nel cuore classico della denominazione Soave. Lì dove altitudini e ventilazione garantiscono spazialità aromatica, e dove l’unica concessione alla “contemporaneità” è costituita dalla scelta del sistema di allevamento a guyot, anziché della vecchia pergola veronese.

Fin dalle prime apparizioni questo nuovo cru di Suavia è andato distinguendosi per temperamento “vulcanico” e capacità di dettaglio: in barba alla gioventù del vigneto ha già dimostrato di essere in grado di sprigionare una precocissima complessità. Potenza del terroir certo, corroborata dai modi appropriati di tirar su una vigna e tramutarla in vino. Ma secondo me anche l’insondabile segno di riconoscenza di una natura benigna e matrona, da tributare a chi non intenda sacrificare più sapienza viticola, gesti e vocazioni sull’altare di una astratta, e a volte ossessiva, ricerca di modernità a tutti i costi.

Dal piccolo, misconosciuto trebbiano di Soave, da sempre timido sparring partner dell’elettiva garganega, il respiro autentico e profondo che solo attiene ad un radicamento reale, ad un acclimatamento reale. A qualcosa che non ti inventi e che era solo da cogliere. A qualcosa che era già lì.

FERNANDO PARDINI

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