Le fiabe del vino/Ambrogio, Salvo e il Calepino

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CalepinopaesaggioNacque Giacomo, in una valle baciata dal Sole, un giorno d’autunno, quando il tramonto lasciava sfumare il suo ultimo lembo arancio nel cielo, prima della notte…

Valcalepio. Ecco, quale valle! Castelli Calepio, precisamente il paese natio di Giacomo, ne era il cuore. E con lo stesso incanto naturale che aveva accolto il primo vagito di Giacomo, proprio in quella valle stava scritta un’affascinante storia, fatta di aromi e di parole. Ve la racconterò!

Giacomo era figlio di una nobile famiglia e come tradizione di quell’epoca (fra il 1430 e il 1500) ai cadetti di famiglie nobili si assicurava un’istruzione impeccabile, ma la sorte li vedeva abbracciare la vita monastica. Così fu per Giacomo. Entrò in convento nell’ordine degli eremitani di San Agostino e prese il nome di Ambrogio Calepio, detto il Calepino. Ambrogio era un giovane curioso, interessato alle parole, interessato in modo maniacale ai vari significati delle cose. E sebbene la sua formazione fosse di stampo umanistico, aveva più l’animo da scienziato.

Umile amante delle cose semplici e genuine, senza smorfie, senza malizie era dotato altresì di un carattere irrequieto e vivace, desideroso di sperimentare in prima persona, oltre che di ascoltare le storie, le gioie e i drammi delle persone che spesso si rivolgevano a lui per la sua sincera accoglienza. Fu in una calda notte di agosto, che Ambrogio dopo aver passato l’intero pomeriggio a leggere e studiare testi antichi, su una panchina, all’ombra di un bell’albero rigoglioso, sentiva il desiderio forte di uscire dal convento e farsi un giro in paese. Ma come fare?

Il Padre superiore, Fra Mario, sorvegliava tutti i novizi con il preciso ordine di non farli uscire di sera e a maggior ragione di notte. La notte era da dedicare alla preghiera contemplativa e al riposo.

Ma Ambrogio quella sera non stava nella pelle… avvertiva un prurito pungente che lo assaliva in ogni parte del suo corpo. Doveva uscire! Così si inventò un travestimento con la complicità di un giovane cuoco, Adamo, che lavorava nel convento. Si fece prestare un mantello, si tolse la sua tonaca e facendosi passare proprio per Adamo, disse ad alta voce, mente camminava svelto nel chiostro del convento:

“Padre Mario, devo far un salto in paese, ho bisogno di più erbe selvatiche per preparare l’infuso per il nostro amaro digestivo… tra poco ci sarà la fiera di beneficenza per i poveri e noi dovremmo poter vendere varie bottiglie. So che in paese è passato un mercante di ottime erbe selvatiche e se non mi affretto subito non ne troverò abbastanza”.

Padre Mario annuì, per nulla sospettoso. E così Ambrogio fu finalmente fuori. Imboccò una stradina illuminata solo dalla luna e dopo una discreta camminata vide, in lontananza, una fioca luce provenire da un piccola casa in aperta campagna. Ne fu incuriosito e si diresse là. La luce illuminava l’interno e Ambrogio scorse l’esile figura di un uomo che con lo sguardo penetrava un grande libro dalla copertina verde smeraldo, alla luce di una tremula candela.

Ambrogio si disse a voce bassa:

“Che bello, un altro essere solitario che ama abbandonarsi alla lettura anche di notte”. Bussò. Poco dopo si sentì una voce forte:

“Chi è?” “Sono Fra Ambrogio, un frate del convento di Valcalepio”.

Non voleva mentire, soprattutto a chi come lui amava la lettura.

“Un frate a quest’ora della notte?” -“Vi prego apritemi, fidatevi di me, voglio solo far conoscenza…”

L’uomo, sebbene un po’ incredulo e sorpreso, sentiva che quella voce era sincera, non era la voce di un malintenzionato e aprì. Ambrogio fu colpito dall’essenzialità di quella dimora, ma anche dalla sua precisione ed armonia. Si sentiva in un luogo famigliare e sicuro.

“Cosa leggete?” disse all’uomo senza preamboli. Lui accennò un debole sorriso e rispose “Leggere! Io non so leggere….”

“No! E allora perché eravate chino su un libro. Scusate se vi ho osservato un poco dalla finestra”.

“ Ah si.. quel libro! Ne contemplavo solo le immagini…è un libro che mi ha regalato un mercante in cambio di un cesto delle mie pesche profumate. E’ un libro di piante. Io amo le piante. Gli alberi da frutto, gli olivi, la possente quercia, ma soprattutto mi affascina la vite!”

“La vite!”

“Si la vite, con le sue foglie che sembrano generose mani, la vite che va amata e rispettata, la vite che ci elargisce di quei nobili chicchi, da cui si spreme il succo divino… Sapete il succo caro a Bacco!”

“So, so! Noi in convento possiamo solo assaggiare il vino, ma da quell’assaggio si scrive un non se che di magico e rivelatore nel nostro cuore”.

Ben detto – proseguì il contadino che si chiamava Salvo – anch’io dico sempre che il vino lo beve e lo fa chi ha un gran cuore. Allora, dato che da subito siamo in vena di confidenze, aspettate…”

L’uomo si assentò un attimo in un’ altra stanza e ritornò da Ambrogio con due piccoli bicchieri colmi di vino rosso. Uno lo porse ad Ambrogio. I due si guardarono intensamente e bevvero!

Non dissero più niente quella sera, ma da quel momento nacque fra loro una grande amicizia.

Le notti in cui Ambrogio uscì dal convento travestito, raggiungendo la dimora di Salvo, inventandosi ogni volta fantasiose storie, sebbene argutamente verosimili, si moltiplicarono velocemente. Venne a sapere che quel vino bevuto la prima volta che era entrato in quella casa, era un vino che faceva un caro amico di Salvo, possessore di varie vigne. Venne inoltre a conoscenza che il sogno dello stesso Salvo era quello di riuscire a produrre a suo volta un buon vino, anzi un vino eccezionale, ma non aveva soldi e per il momento si manteneva vendendo al mercato i prodotti del suo piccolo pezzo di terra. Salvo, intanto, era sempre più estasiato dalla conoscenza e dalle leggiadrie del linguaggio di Ambrogio. Gli chiese persino di aiutarlo ad imparare a leggere e scrivere e poi un giorno, in modo franco e diretto gli disse:

“Fra Ambrogio, tu dovresti scrivere un libro. Un grande libro, anzi che dico il padre di ogni libro. Un libro che possa spiegare il significato di tutte le parole del mondo”.

Ambrogio rimase esterrefatto! Salvo sembrava davvero credere in lui e quell’idea, anche se aveva del bizzarro, diventò un tarlo fisso nella testa del frate. Non lo abbandonava mai… Diventò una fissazione così ricorrente che Ambrogio si fece coraggio e ne parlò con il padre superiore, Fra Mario. Quest’ultimo, però, non trovò affatto l’idea così meravigliosa come la vedeva Ambrogio e come voleva sostenere il suo amico contadino. Cercò, anzi, di dissuaderlo. Il suo compito era la preghiera, lo studio, la contemplazione, le attività del convento, il sostegno ai poveri. Fra Ambrogio sapeva tutto ciò e non voleva certo tirarsi indietro rispetto a quei doveri, però… però l’idea di scrivere un libro sul significato delle parole lo avvolgeva come un bozzolo avvolge un bruco. Stava diventando inevitabile, quel pensiero.

Ambrogio si sentiva sempre di più ansioso. Vacillava… Non sapeva se abbandonare quell’idea o disubbidire a Fra Mario, in segreto. Ma Salvo, lo sostenne ancora e lo spinse definitivamente verso quell’avventura. Disse all’amico frate che avrebbe potuto iniziare la stesura del suo grande tomo proprio a casa sua, di notte. E così fu. Non passò molto tempo e la prima versione del grande vocabolario, il Dictonarium Latinum, fu completa. Era il 1502. Salvo entusiasta lo portò ad un suo amico tipografo che la stampò. Ma Ambrogio, dall’animo perfezionista, non ne era ancora soddisfatto. Lo doveva migliorare, c’erano delle omissioni, delle incompletezze. Si mise subito all’opera e l’ampliò. Il gran vocabolario divenne così pubblico. Padre Mario si dovette ricredere. L’opera di Fra Ambrogio era immane, curata, di grande pregio: si vedeva che derivava da uno studio attento, preciso a da tanta passione. Fu fatta tradurre in quattro lingue.

Ma Ambrogio sentiva ancora di non aver finito la sua opera e inoltre, sentiva forte dentro di lui il desiderio di fare qualcos’altro…. Quell’opera era anche frutto di Salvo, della sua determinazione a spronarlo in quella meravigliosa storia. Non ce l’avrebbe fatta da solo!

Salvo doveva essere ricompensato. E Ambrogio sapeva già come. Scrisse una lettera accorata, all’insaputa dell’amico contadino, ad alcuni cugini lontani, molto facoltosi, chiedendogli di aiutarlo.

Ambrogio godeva di un posto privilegiato nel cuore dei suoi ricchi e nobili cugini, si era sempre dimostrato disponibile ad aiutarli in momenti di sconforto spirituale e di certo non attardarono ad esaudire la sua richiesta. Tanto più che Ambrogio li aveva convinti della nobile causa: doveva aiutare un amico a realizzare un sogno. E fra l’altro questo sogno avrebbe coinvolto anche loro. Di li a poco Ermanno e Francesco raggiunsero Ambrogio in convento.

E sempre di li a poco i due cugini comprarono una bella tenuta da un po’ in vendita, con un grande lotto di terra, proprio a Valcalepio. Ambrogio era entusiasta. Il suo piano iniziava a prendere forma. Nel frattempo però la sua salute stava peggiorando. Stava diventando cieco. Solo Salvo e Fra Mario sapevano la gravità della situazione. Salvo era infinitamente triste per l’amico frate, a cui voleva bene come ad un fratello. Tra l’altro sapeva quanto Ambrogio ci tenesse a terminare la sua opera colossale, aggiornandola di nuovi termini, fino alla versione definitiva. Ma l’amico non poteva più leggere, né scrivere. Era, inoltre molto stanco. Ambrogio sentiva che stava per arrivare la fine della sua piena vita e convocò al suo cospetto Salvo e i cugini. Intanto lo stesso Salvo si era mosso. Era andato a parlare con i confratelli del convento e contemporaneamente all’amico li aveva convocati tutti al capezzale di Ambrogio.

Fu in un pomeriggio di autunno, all’ora di un caldo tramonto, simile al giorno che aveva visto nascere Giacomo, poi diventato Fra Ambrogio, che due amici, legati da un puro sentimento di stima e amore fecero un’ importante confessione, l’uno all’altro.

Ambrogio disse:

Calepinobotti“Caro Salvo vedi questi due giovani, sono i miei cugini Ermanno e Francesco. Hanno comprato una tenuta e un grande lotto di terra proprio qua, a Castelli Calepio. Diventerà una bella cantina vitivinicola e sarai tu a farne il vino… e sono pienamente certo che il tuo vino sarà una vera perla di questa terra, capace di inebriare donne, uomini, giovani e anziani frati come me. Si….incanterà tutti con i suoi equilibrati e intensi aromi”.

Salvo con gli occhi sbarrati, la bocca aperta, il corpo che vibrava come un violino e con grossi lacrimoni che scendevano sul suo segnato volto, prese la mano di Ambrogio e la strinse con un gesto misto di adorazione e di infinita dolcezza. Non riusciva quasi a emettere parola. Poi si fece forza e disse quasi balbettando:

“Caro amico mio, anch’io ho una confessione da farti, i tuoi confratelli qua presenti hanno giurato su nostro Signore che continueranno in modo certosino la tua opera di ricerca fino ad arrivare alla definitiva versione del grande Vocabolario e, inoltre, e di ciò garantirò io, in prima persona, sarà divulgato in tutto il mondo. Il suo nome sarà Calepino.”

Poi si fermò e commosso rimase sospeso, come in una sorta di estatica attesa.

Ambrogio guardò intensamente l’amico, gli brillavano gli occhi mentre la sua mano era ancora stretta a quella di Salvo. Quest’ultimo cercò di prendere ancora parola, ma non riuscì ad iniziare il discorso che Ambrogio, fissandolo con un sorriso pacifico e soave, si addormentò per sempre.

Salvo allora, spinto da uno guizzo interiore che gli conferiva magicamente forza, guardò i cugini di Ambrogio e disse con l’ultimo filo di voce che gli rimaneva: “La vostra azienda si chiamerà, Il Calepino”.

E allora Ermanno e Francesco all’unisono, anche loro con gli occhi lucidi e commossi, si guardarono e poi fissarono intensamente Salvo e dissero:

“La NOSTRA azienda si chiamerà… Il Calepino!”

E fu così che in quella valla baciata dal sole, in onore di Fra Ambrogio da Calepio detto il Calepino, nacque la strabiliante azienda vitivinicola omonima: Il Calepino, appunto.

Ermanno, Francesco e Salvo lavorarono per vari anni in piena armonia nel loro rispettivo ruolo di gestori dell’azienda, i primi e di produttore di una rosa di incredibili vini, il secondo. L’anima di Ambrogio albergava a suo modo nell’azienda stessa: diventò pure una nobile etichetta, il Riserva di Fra Ambrogio e, inoltre, il grande vocabolario di quel brillante frate enciclopedico venne conservato gelosamente come la perla di un’ostrica, all’interno della tenuta.

Scherzosamente in cene conviviali tenute in da Salvo, Ermanno e Francesco, si leggevano via via alcune parole a caso dal Vocabolario e il tutto diventava un omaggio alla cultura oltre che all’ascolto del buon vino. Salvo, in talune di queste occasioni abbracciato dalla malinconia, si isolava per un po’ e pensava al suo Fra Ambrogio, al primo giorno che lo aveva visto e all’intenso e profondo silenzio che come la rivelatoria comparsa in uno spettacolo teatrale era affiorato fra lui e quell’uomo bevendo un piccolo bicchiere di vino rosso… quella comparsa si era incisa nei loro cuori con la forza di possenti radici, per sempre.

E quando a Salvo capitava di pensare ciò, si abbandonava completamente al potere del balsamo di Bacco senza misura, slegando, nel ricordo, l’intelletto dal suo rigido controllore…. e in quel frangente si sentiva in piena armonia col mondo.

***

immagini Il CalepinoRiserva di Fra Ambrogio
Metodo Classico
Uve Chardonnay 70% – Pinot nero 30%.
Vitigno 250 s/m; Cordone Speronato 4000 piante ettaro, G.D.C. 3000 piante ettaro.
Produzione 90/100 q.li/ettaro.
Pigiatura resa uva/mosto 60%.
Affinamento in botte 80% in acciaio, 20% in barrique.
Affinamento in bottiglia 60 mesi sui lieviti.
Gradazione 13,00% VOL.
Acidità totale 5,9 gr/lt.
Colore giallo paglierino carico con riflessi dorati.
Perlage spuma bianca ed evanescente, perlage fine e persistente.
Profumo evoluto, maturo ed elegante con ricordi di crosta di pane, lievito, miele di acacia

Contatti
Azienda Vitivinicola il Calepino
F.M. di Plebani Franco & C. s.n.c.
via Surripe, 1 – 24060 Castelli Calepio (Bg) Italy

tel. +39.035.847178
fax. +39.035.4425050
e-mail: info@ilcalepino.it

Valcalepio
Zona di produzione di vini DOC omonimi situata sulle colline orobiche delineate ad est dal fiume Oglio e ad ovest dal fiume Adda.
Castelli Calepio è il suo centro geografico e l’origine del nome è greca, da ”Kalòs“ che sta per ”buono“ e ”Pino“ che vuol dire “bevo”, testimonianza della sua antica tradizione enologica.
Già nel 1500, il letterato Girolamo Muzio scriveva: “La bontà e l’abbondanza del vino hanno dato il nome a Calepio, terra più fertile di quella di Alcinoo”

 

 

 

 

Francesca Ciuffi

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