A “Un filo dolce” protagonisti i biscotti di Prato. E non chiamateli “cantuccini”!

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libroPRATO – Nei giorni 8 e 9 novembre scorsi, presso il Palazzo Buonamici di Prato, si è svolta la seconda edizione di “Un filo dolce”, manifestazione che concentra i migliori pasticceri della città e non solo, finalizzata a promuovere le specialità pratesi come i bruttiboni, gli zuccherini e, soprattutto, i celeberrimi biscotti di Prato.

Proprio quest’ultimi sono stati oggetto del nuovo libro dell’editore Claudio Martini, “I biscotti di Prato” appunto, presentato durante l’evento. Nel corso della presentazione, Claudio Cerretelli (storico),  Francesco Pandolfini (Biscottificio Antonio Mattei), Marco Stabile (chef stellato dell’Ora d’Aria di Firenze), Gabriele Lastrucci (poeta) e Nadia Bastogi (storica dell’arte), hanno evidenziato gli argomenti principali del libro. Un libro ben fatto, curato nei particolari, completo di foto stupende e latore del biscotto di Prato a 360 gradi: inizia ovviamente con la ricerca storica della ricetta originale per poi proseguire con ricordi letterari, cinematografici e artistici in cui il biscotto è stato citato o dipinto. Infine ampio spazio alla mandorla – ingrediente fondamentale – al Vin Santo di Carmignano – fedele comprimario – e all’immancabile ricetta. Quello che emerge soprattutto è l’importanza di questo “popolare” dolcetto per l’immagine della città e della Toscana fuori dai confini regionali e nazionali: i biscotti di Prato, veri e propri ambasciatori gastronomici, nel mondo sono venduti pressoché ovunque e risultano tra i dolci più conosciuti, forti del calore familiare e di amicizia che trasmettono nonché della simpatica gestualità dell’inzuppo nel bicchiere di Vin Santo.

presentatoriCome premesso nel titolo è doveroso distinguere i cantucci dai biscotti, potremmo azzardare che i secondi sono stati l’evoluzione dei primi. Già nel cinquecento Prato era famosissima per i suoi forni, per il pane bianco che solo qui, grazie all’acqua povera di calcare, alla farina scelta e alla stipa usata per scaldare i forni, veniva di una bontà assoluta, invidiato anche dalla vicina e ricca Firenze. Ne veniva prodotta pure una versione dolce, più diffusamente di origine toscana anziché tipicamente pratese, con aggiunta di zucchero, chiare d’uovo e anice. Questi pani venivano tagliati a tocchetti – da qui il termine cantucci (di pane) – e biscottati (dal termine stesso, doppiamente cotti) ossia rimessi in forno per renderli più durevoli, fattore molto importante all’epoca. Solo qualche secolo dopo furono aggiunte le mandorle, i pinoli (in piccola percentuale) ed alcuni aromi – come il limone e la vaniglia – per dare origine al vero biscotto di Prato. Questa sovrapposizione (o evoluzione) ha generato una certa confusione nel mercato cosicché, probabilmente anche a causa della larga produzione operata da biscottifici industriali nazionali che ignoravano la sostanziale differenza, l’appellativo di cantucci o cantuccini ha avuto il sopravvento.

salaNella prima ricetta ufficiale, trovata nei manoscritti del pratese Amadio Baldanzi del XVIII° secolo, veniva aggiunto anche il burro per dare più morbidezza, un componente che di fatto ha generato le due tipologie storiche del biscotto di Prato. Oggigiorno poi la fantasia dei pasticceri si è sbizzarrita con le più ghiotte varianti, ma i biscottifici storici, per le due rispettive varietà, possono essere identificati nel biscottificio Antonio Mattei e nel Forno Steno.

Ad Antonio Mattei detto “Mattonella”, già “fabbricante di cantucci” come riportato sulla storica insegna del negozio di via Ricasoli, va il merito di aver diffuso il biscotto di Prato nel mondo. Dal 1858 la produzione di alta qualità del biscotto, nella versione senza burro, ha inanellato una serie di notevoli riconoscimenti culminati con la menzione speciale all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1867. Anche il mitico Artusi aveva riconosciuto in questo umile personaggio l’arte sopraffina del pasticcere riportando nei suoi libri culinari la ricetta della torta mantovana, altro capolavoro del Mattei derivante da una ricetta donatagli da alcune suore mantovane. Da sottolineare quanto Antonio fosse avanti anche nel marketing grazie alle confezioni artistiche e particolari – famose le cappelliere di latta – i biscotti si prestavano ad essere regalati in qualsiasi occasione, anche la più aristocratica. Oggi la tradizione continua con la famiglia Pandolfini e Francesco attualmente è anche presidente del Consorzio di Valorizzazione e Tutela dei Biscotti di Prato.

Quella del Forno Steno invece è storia più recente, nasce nel 1920 con la doppia produzione di dolce e salato per poi specializzarsi nella prima, tradizionalmente vicino alla ricetta con burro riportata da Amadio Baldanzi nel tomo XVII della sua raccolta. Dunque un biscotto di Prato più ricco e morbido che solo il gusto personale potrà preferire o no a quello di Mattei, comunque una scelta tra le massime espressioni di questo dolce. Tornando al discorso delle varianti più moderne, il Forno Steno ha ottenuto riconoscimento ufficiale di prima variante alla ricetta storica del biscotto di Prato, con la versione al cioccolato Jamaica, durante il Fancy Food Show di New York nel 2003. In seguito sono nate le versioni ai fichi di Carmignano, all’arancio e tante altre ancora.

Vin Santo in degustazioneNel libro vengono citati tanti altri produttori di qualità – da una recente ricerca di Confartigianato sono state censite ben 144 aziende artigiane nella Provincia di Prato per una produzione totale annua di circa sei tonnellate – e, giusto per fare qualche nome, possiamo ricordare il Fochi di Carmignano, il Santi di Migliana, i Ciolini di Carmignanello, il Peruzzi di Prato, ecc..

Come abbinamento direi che i vini dolci sono i favoriti, sebbene consiglierei di evitare quelli troppo dolci e aromatici, come i passiti o gli icewine, poiché possono coprire troppo il gusto delicato del biscotto; qualche vino rosso può andare – perché come diceva Alberto Sordi nelle vesti di Silvio in “Una vita difficile”: quei biscottini da Prato… col vino rosso so’ i più bboni del mondo! – ma sicuramente il Vin Santo di Carmignano “è la su morte”.

A seguire il Maestro Pasticcere Paolo Sacchetti, pasticcere dell’anno nel 2012 e titolare della pasticceria-caffè Nuovo Mondo (annoverata tra le venti migliori d’Italia dove fare colazione), ha deliziato la platea con uno show cooking di due ricette: caramella mou (aromatizzabile ai fichi di Carmignano o a quello che si vuole) e base per il “carbone” dolce (o altro a seconda del colorante che vi viene mescolato durante la preparazione).

La serata si è piacevolmente conclusa nel locale cult della movida pratese, il wine bar “Le barrique”, noto soprattutto per i sontuosi apericena. Andrea Mazzetti ha fatto gli onori di casa servendoci a dovere delle particolari e sublimi bottiglie omaggiate dal caro amico Renzo Priori, curatore dell’interessantissima carta dei vini del locale, attingendo per l’occasione direttamente dalla preziosa cantina personale.

biscotti di Prato moderniRicetta “casalinga” delle caramelle mou: a vedere Paolo all’opera sembra tutto piuttosto facile, e a detta sua lo è veramente, ma non darei per scontato il risultato finale… Anzitutto occorre dotarsi di termometro a sonda e di bilancia di precisione, perché nella pasticceria è come giocare al piccolo chimico: la pulizia, la precisione e le temperature sono fondamentali. Quindi procurarsi i seguenti ingredienti:

700 gr di panna, 150 gr di miele, 75 gr di burro, 120 gr di acqua, 575 gr di zucchero, 450 gr di glucosio, 4 bacche di vaniglia (meglio se Tahiti che Bourbon).

In una pentola unire panna, miele, burro e vaniglia (dopo aver inciso in senso longitudinale le bacche) e portare ad ebollizione, quindi togliere dal fuoco appena è stata raggiunta. Levare anche le bacche avendo cura di raschiare i semini interni da rimettere nel preparato. Poi fare il caramello cuocendo lo zucchero con l’acqua e il glucosio: qui è necessario usare il termometro a sonda perché è importante non superare i 145 gradi, perché oltre i 150 gradi il caramello diventa troppo amaro. Raggiunta la temperatura ideale unire l’altro preparato e riportare sul fuoco per eliminare la parte acquosa della panna ed ottenere la giusta densità. Arrivati alla temperatura di 121 gradi bloccare la cottura mettendo la pentola in acqua fredda. A questo punto è possibile unire le aromatizzazioni che si desiderano come, ad esempio per rimanere tra i prodotti tipici, i fichi di Carmignano frullati per evitare di lasciare pezzetti duri. Oliare con olio di semi un recipiente (bordi compresi) che possa contenere il preparato con un’altezza di circa un centimetro e versarvi il contenuto. Aspettare che raffreddi una notte e tagliare le caramelle il giorno dopo. Queste potranno essere conservate a lungo se incartate una ad una nella plastica o nella pellicola per alimenti poiché temono molto l’umidità. Buon esperimento!

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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