Alla Locanda Vigna Ilaria di Lucca l’elogio dell’Angus Prime italiano

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Maggi-Marsili-MasoniLUCCA – Serata memorabile quella di venerdì 12 dicembre, annus domini 2014! Il trittico d’eccellenza nell’enogastronomica lucchese (e toscana) formato da Andrea Maggi (oste), Maurizio Marsili (chef) e Michelangelo Masoni (macellaio cult) è riuscito a scuotere gli animi dei commensali proponendo alcune declinazioni del primo Angus Prime interamente allevato in Italia.

Per chi già non li conoscesse, Andrea Maggi, titolare della Locanda Vigna Ilaria, ubicata sulle colline lucchesi nella zona di S. Alessio, nonché del ristorante Del Teatro situato in centro a Lucca, è un oste – come lui ama definirsi – dinamico e attento alle esigenze dei clienti, con alle spalle una notevole esperienza anche internazionale nonostante l’età. Maurizio Marsili è uno chef che fa della cottura e del rispetto della materia prima l’arma vincente e della precisione e semplicità dei suoi piatti, dardi infallibili; uno chef, a mio avviso, mai adeguatamente valorizzato dalle guide. Michelangelo Masoni è il re della ciccia versiliese ma anche grande esperto di vini e cucina in generale, fresco vincitore del premio della guida Foodies del Gambero Rosso che ha riconosciuto nell’omonima macelleria al mercato centrale di Viareggio, uno dei sette migliori posti d’Italia dove comprare gastronomia.

tartareLa serata è stata l’epilogo di un iter originato da una “sfida” di Michelangelo: riuscire a gestire una lunga frollatura della carne. Per una tale impresa occorreva una carne speciale, una bestia particolare come il primo Angus Prime interamente allevato in Italia, in Piemonte, sotto la supervisione di Michelangelo stesso. Tanto per capire la cura dedicata al progetto, il fieno per il periodo invernale è stato selezionato in zona e spedito perché non ritenuto soddisfacente quello a disposizione nell’allevamento. Il risultato è stato una carne splendidamente marezzata di grasso “buono” e, grazie alla tecnica dry aged usata nella frollatura a bassa temperatura per un totale di ben 52 giorni (!!!), così tenera da risultare perfetta anche per preparazioni impossibili da proporre con gli stessi tagli di altri animali e con frollature più brevi.

linguaLa mano esperta di Maurizio ha fatto il resto, il menù è stato studiato di comune accordo in modo da esaltare le peculiarità della carne senza “caricare” eccessivamente le pietanze di ingredienti e spezie superflue.

Partenza con una classica tartare, sfoglia di formentone e verdurine di stagione: piatto minimalista, essenziale nei sapori, la tartare non è stata “lavorata” con verdure e aromi vari ma appena corretta per apprezzare il vero gusto della carne, la sua consistenza e la sua cremosità. La sfoglia è servita a donare croccantezza e contrasti dolci/tostati, le verdurine a rinfrescare il palato.

consomme e tortelliniA seguire lingua con spinaci crudi e cotti con olio ed aceto alla mela e fettine della stessa a guarnizione: uno dei migliori piatti della serata, la lingua si poteva tagliare con un grissino, gli spinaci equilibravano la delicata dolcezza con punte di amaro, l’acidità dell’aceto e della mela la naturale grassezza della carne. Piatto veramente equilibrato e gustoso, dispiace solo che sia stato portato come antipasto perché ne avrei mangiato volentieri di più.

Eccoci al primo: se qualcuno mi avesse pronosticato che un giorno avrei lodato un consommé lo avrei preso per matto e mai pensiero sarebbe stato più errato! In tavola viene servito il brodo con tortellini fatti in casa, cotti nello stesso, ma asciugati e raccolti in un paniere per poterli mangiare a mo’ di caramelle o nel brodo. Al primo cucchiaio del consommé ho avuto un “shock” tipo quello del critico Anton Egò in Ratatouille, non tanto perché ho rievocato ricordi d’infanzia (magari!) ma perché mi sono apparsi chiari e distinti tutti i componenti del brodo. Come per chi, dotato di orecchio assoluto, il pentagramma gli si riempie davanti agli occhi man mano che la musica suona, ho percepito nel dettaglio i singoli odori impiegati, l’essenza della carne e la voluttuosità del suo grasso magistralmente dosato per non rivestire eccessivamente il palato. Un’armonia volutamente misurata nel sale che trovava il complemento ideale nel tortellino, preparato con pasta finissima e ripieno della nobile carne, in un’esaltazione reciproca continua. Maurizio mi ha confidato che nel brodo ha evitato l’aggiunta di aromi come l’alloro o rinforzi come il vino, spesso impiegati per renderlo molto saporito, per non togliere i riflettori dall’étoile della serata, ossia la carne, e poterne apprezzare tutti gli umori. L’insostenibile leggerezza (e piacevolezza) del brodo… chapeau!

sorra e picagnaCon il secondo sono stato sorpreso da due tagli minori, la picagna e la sorra. La prima tagliata a cubo, cotta a bassa temperatura e servita direttamente nel piatto; la seconda lavorata a straccetti ed accompagnata da scorza nera, testa di rape e cipolla marinata. La picagna è stata preparata in una versione classica, la sorra, invece, privata della nervatura centrale, è stata servita nell’insolita versione a straccetti, insolita perché normalmente richiede un lunga cottura come nei brasati per essere “addomesticata”. Entrambe le soluzioni hanno ampiamente soddisfatto i palati ed espresso tutte le qualità della carne. Tutto merito della cura e pazienza di Michelangelo e delle “manine sante” di Maurizio.

dessertPer concludere in dolcezza e freschezza una delicata mousse al mandarino e una gustosa granita dello stesso. Dopodiché avrei potuto ricominciare…

La cena è stata accompagnata da un vino selezionato da Andrea appositamente per il nostro tavolo: Barbera Pro.vino 2009 di Federico Orsi – Vigneto San Vito, vino biodinamico che ha regalato sensazioni differenti nell’arco della cena passando da una temperatura piuttosto fresca a quella ambiente. Si è aperto su aromi floreali, melograno e piccola frutta rossa su un sottofondo di leggera terrosità e sfumature “rotie”. barberaBocca altrettanto ampia e succosa, con una lama acida notevole e piacevolmente integrata finché il vino è rimasto a bassa temperatura ma che, con l’aumento di questa, ha determinato un contrasto sempre maggiore e troppo marcato sul finire. Alla corretta temperatura si è dimostrato un vino interessante, dalle variegate sfumature e dotato di un’anima propria.

Sguardi estasiati e complimenti a profusione hanno ripagato largamente le fatiche del terzetto. Una serata memorabile, come dicevo in apertura, che rimarrà indelebile nella mia memoria e nel mio cuore.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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