Vini di Puglia, prima puntata: i bianchi e i rosati

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mappa-vino-doc-zone-produzione-pugliaLa Puglia del vino cresce, anche se considerato il patrimonio vitivinicolo a disposizione i margini di miglioramento sono ancora tanti. È come quello studente a scuola a cui i professori dicono “è bravo ma potrebbe fare di più”! Quest’anno ho potuto dedicarmi con pazienza ad un assaggio sistematico e completo della produzione enologica di questa splendida regione e proverò a raccontarvi in poche righe le mie impressioni generali.

Dici Puglia e pensi a tante cose. Sole, mare ed incantevoli spiagge, terra rossa e muretti in pietra, ulivi secolari e distese di grano. C’è anche il vino, ma viene dopo. Eppure questa regione di struggente bellezza è uno dei distretti produttivi più importanti e ricchi di storia del nostro paese. Da sempre è ribattezzata “la cantina d’Italia”, per quelle autocisterne che trasporta(va)no verso nord milioni di litri di rossi morbidi e generosi, figli della sua fertile terra, atti a rimpolpare lo scheletro di qualche produzione in carenza di …sostanza. Per decenni questo enorme potenziale è stato diluito in produzioni di mediocri qualità, cosa accade anche oggi per carità. Però è indubbio che da negli ultimi anni sia aumentato considerevolmente il numero di interpreti sensibili e di talento che hanno affiancato qualche ottima cantina storica nel tentativo di proteggere e valorizzare le peculiarità di questo territorio.

Sul fronte dei bianchi le zone più interessanti sembrano ormai essere ridotte a due: la Murgia e al suo confine meridionale la Valle d’Itria. Le Murge sono una subregione pugliese molto estesa, corrispondente ad un altopiano di forma quadrangolare situato nella Puglia centrale, che parte dalla provincia interna di Bari e di Barletta-Andria-Trani per spingersi verso la Basilicata a ovest e verso le provincie di Taranto e Brindisi a sud. Gravina in Puglia e Altamura sono le cittadine più note a nord, mentre in Valle d’Itria abbiamo Locorotondo, Martina Franca e i famosi trulli di Alberobello. Sono zone carsiche, collinari, molto ventilate e con notevoli escursioni termiche rispetto al resto della regione. Non stupisce quindi che da qui vengano i bianchi pugliesi più interessanti, dotati di un ventaglio aromatico più ampio e di una salvifica verve acida. Verdeca, bianco d’Alessano e soprattutto fiano minutolo sono le uve più interessanti, ma anche greco, falanghina, bombino bianco, moscato e chi più ne ha più ne metta. Il problema – della Puglia in generale – è che tutti fanno tutto, per cui si fatica a dare una vera identità territoriale a questi vini.

Accanto ad autoctoni intriganti troviamo una pletora di vitigni che parte dagli più scontati “internazionali” fino ad arrivare a soluzioni davvero improbabili, come un sylvaner della Valle d’Itria in versione stramatura (non è uno scherzo… se fossi un altoatesino nostalgico trapiantato a sud il disciplinare mi permetterebbe di produrlo)! Volendo dare due vini di riferimento, uno per zona, direi il Tufjano di Colli della Murgia e il Rampone de I Pastini, entrambi a base di fiano minutolo e da anni costantemente ai vertici qualitativi. Un outsider potrebbe essere il moscato bianco Jalal di Tenuta Cefalicchio, propaggine biodinamica della galassia Feudi San Gregorio. Il resto del panorama bianchista regionale mi sembra sinceramente trascurabile, con qualche rara eccellenza qua e la. Discrete malvasie, qualche moscato secco molto buono, perfino qualche vermentino o falanghina decenti, ma poco davvero al confronto con altre regioni più vocate (penso alla Campania in primis, per questioni di vicinanza). La Puglia è sempre stata e resta una regione profondamente rossista. Punto.

vini rosatiPassando ai rosati la questione per me si fa complicata. Viste le mie origini abruzzesi e la mia anima fieramente cerasuolista devo cercare di essere per lo meno “diplomatico”. Per l’importanza storica e culturale che questa tipologia di vino riveste la Puglia e l’Abruzzo sono molto simili. In entrambe il rosato è sempre stato il vino della tradizione, quello dell’amicizia, quello del lavoro nei campi: un testimone fedele dell’antica civiltà contadina di queste terre. Qui più che altrove, quando l’Estate si affaccia con i suoi primi caldi, il colore dei bicchieri sulla tavola si tinge di tutte le sfumature del rosa, allietando prima gli occhi e poi il palato. Tra le zone che vinificano “in rosa”, queste due regioni sono le sole (forse insieme al Trentino) in cui si può parlare a pieno titolo di “scuola” o tradizione rosatista, e i vini dei migliori produttori sono da tempo ben noti sia in Italia che all’estero. Insomma, anche in Puglia il rosato è una cosa seria, quando invece da molte altre parti l’approccio alla tipologia è recente e dettato principalmente da nuove spinte commerciali.

Questa premessa serve a giustificare l’ampio spazio che tutte le aziende, giovani e storiche, dedicano a questi vini. I risultati sono interessanti anche se devo ammettere che rispetto al panorama abruzzese trovo esaltate alcune componenti legate ad una piacevolezza fruttata semplice e un po’ scontata a scapito di mineralità e sapidità, che nei cerasuoli ben fatti sono invece un marchio distintivo. Inoltre c’è una grande varietà di stili e tecniche, con colori che vanno dal rosa buccia di cipolla “alla francese” fino al cerasuolo carico (sempre sul filone …tutti fanno tutto) per cui trovo molti vini poco riconoscibili e caratterizzati. Rosati ben fatti se ne trovano ovunque ma le zone più importanti sono storicamente il Salento, con il classico blend di negramaro e malvasia nera, e la zona di Castel del Monte, con la recente Docg a base bombino nero. Il rosato salentino storicamente ha una maggiore struttura e intensità e quando riesce a coniugare queste caratteristiche con un’anima più acida e fresca diventa davvero una goduria per il palato.

Il simbolo di questa tipologia di vini per me resta il Five Roses di Leone de Castris, uno dei rosati più famosi d’Italia, sia nella versione classica che in quella Anniversario (e anche in versione spumante). Nella zona di Castel del Monte clima e territorio favoriscono un naturale “alleggerimento”: un nome da segnalare qui può essere Giancarlo Ceci, con la sua azienda Agrinatura, una delle prime più di vent’anni fa a seguire la strada bio in Puglia. Il suo Parchitello è un rosato schietto e goloso. Altri nomi sicuri possono essere quelli di Rosa del Golfo, nel territorio della Doc Alezio, sia con l’omonimo storico rosato che con il Vigna Mazzì, oppure il Diciotto Fanali di Apollonio, o ancora il Veritas di Torrevento e l’Est Rosa di Pietraventosa entrambi dalla Murgia.

(P.S. – L’immagine di Castel del Monte è stata presa dal sito dell’Enoteca Regionale di Puglia)

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

1 COMMENT

  1. Può in effetti apparire strana inizialmente l’associazione fra vini bianchi o rosati con la Puglia, ma come viene molto ben approfondito in quest’articolo, in effetti questa regione resta per me una delle migliori produttrici di vino …. diciamo trattandosi di vini italiani una delle migliori 20 regioni. Complimenti per l’articolo, molto interessante.

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