La prospettiva del bufalo 2015. Vini fuori dal coro: Toscana

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La prospettiva del bufaloInutile negarlo, la girandola infernale degli assaggi “guidaioli” mi stordisce. Mi stordisce straniandomi. Le migliaia di vini sorseggiati e commentati diventano sogno e ossessione, e mi catapultano in una strana dimensione psicofisica, a metà strada fra amaro disincanto e ardore agonistico. Ci vuole tempo per digerire tutto, per risalire all’aria dopo la lunga apnea enoica. Ci vuole tempo per elaborare e raccogliere i segni utili per una scrittura che possa considerarsi arricchita, maggiormente consapevole o ispirata. Per ritrovare il senso di un lavoro tanto maniacale quanto straniante.

Un aspetto che mi conforta e che stimola sempre aspettative nuove è quello che riguarda il lato oscuro della ribalta, tutto ciò che sta in penombra. Quella fitta rete di vignaioli e di piccoli-grandi vini che per una ragione o per l’altra non hanno ancora i riflettori della notorietà puntati addosso. Perché sono ancora troppo pochi coloro che li riconoscono per quanto valgono, perché magari trattasi di giovani realtà, perché la comunicazione è quella che è, perché la diffusione è quella che è. Perché dei riflettori, forse, potrebbe fregargliene il giusto.

Insomma, non si vive di soli nomi noti, ecco. Una consapevolezza questa che mi aiuta a riemergere dal cono d’ombra tipico del criticone, abitato da pedisseque e micragnose puntualizzazioni notarili, quasi a tarpare le ali alla spontaneità e al mero trasporto emozionale. Ed è per questo che invariabilmente mi prende la voglia di parlare dei vini fuori dal coro, dei vini obliqui, dei vini che non ti aspetti, di quelli che non conoscevi, di quelli che scartano di lato (come il bufalo, ci direbbe De Gregori), di quelli che- indipendentemente dal tasso di complessità- disegnano traiettorie stilistiche con le quali è bello averci a che fare. Di quelli che ti attraggono e non sai perché. O forse lo sai ma non ti importa di spiegarne i motivi.

Questi piccoli pezzi, quasi fossero schizzi impressionisti, sono dedicati a quei vignaioli lì, a quei vini lì. Con la speranza di instillare un briciolo di curiosità in più nei coraggiosi lettori. O di poter diventare tutti un po’ più bufali.

TOSCANA

Serafico 2012 – Frank & Serafico (€ 16/18)

Frank e Serafico_logoAlla suggestione cinematografica di un nome, che potrebbe richiamare il filone “gangster” (ma che in realtà riassume i soprannomi dei vignaioli Fabrizio Testa e Pierpaolo Pratesi), aggiungeteci l’understatement delle retro etichette, che attaccano forbìte a raccontare mirabilia di una storia che parte da lontano, una storia altisonante e dai nobili connotati, per poi svelare che era uno scherzo, che non c’è niente di vero, che Frank e Serafico non vantano un illustre passato, che è un progetto recente il loro, nato da una passione condivisa e da una profonda amicizia.

Questa vena scherzosa fortunatamente non si traduce in altrettanti “scherzi” enoici. C’è da registrare invece una progressiva messa a fuoco stilistica, spalmata oggi su una gamma composita cui non fanno difetto definizione e dettaglio. Per esempio, fuor d’ovvietà si muove Serafico, un Vermentino in purezza con la particolarità di uscire sui mercati tre anni dopo la vendemmia: una mosca bianca! Ebbene, per tonicità e continuità d’azione la versione 2012 porta molto bene gli anni che ha, restituendoci un gusto carnoso, caldo, invitante, solido e sfumato al contempo, senza svenevolezze, mollezze o diluizioni: davvero saporito, questo è.  E pure elegante. Insomma, un Vermentino dal portamento signorile che sorprende e intriga, perché non lo trovi così, “d’amblé”, ad ogni angolo di strada, nel panorama in bianco regionale.

Aurora 2014  – Poggerino (€ 8/9)

Poggerino_Aurora etiAh, ‘sti Rosati che dilemma! Da una parte avversati dai winelovers più “schifittosi” e selettivi, dall’altra fin troppo imbalsamati nei confini angusti del vino che vorrebbe essere ma che non è, quantomeno in alcune regioni, dove i Rosati appaiono più che altro approdi svagati per uve di seconda scelta.

Ecco, in una regione a forte dominante “rossista” come la Toscana, con sempre maggiore frequenza stiamo assistendo all’entrata sul mercato di vini ricadenti in siffatta tipologia. Solitamente allo scopo di approdare a qualcosa di più agile e meno impegnativo per le esigenze della tavola quotidiana, e di propiziare attrattive verso una dimensione di vino più estiva e rinfrescante. Obiettivo più che legittimo, ci mancherebbe. Ora, da qui alla meraviglia ce ne corre. Però, quando ti trovi di fronte a un vino riuscito, goloso e coinvolgente come Aurora 2014 di Pierino Lanza, sangiovese in purezza, ti vien da riflettere. Perché non ci sono ombre qui, solo luce, e messa a fuoco, e giusto grado di contrasto. Che traducono lo stimolo delle fresche giaciture del Poggerino di Radda in un bicchiere slanciato, profumato, intrìso di tutto ciò che serve alla piena godibilità e al coinvilgimento: centralità di frutto, ricamo floreale, speziatura. Su tutto governa la spontaneità, la naturalezza. Ecco, dico io, se i Rosati possono essere così, viva i Rosati!

Morellino di Scansano 2013 – San Felo (€ 9/10)

San Felo_etiDella serie: ma quanto potrà incidere un’annata!? Oppure mettiamola in questo verso: potrebbe trattarsi della azzeccata commistione fra una rinnovata sensibilità interpretativa -che esalta le sfumature più che l’impatto e la densità- e le sollecitazioni di un millesimo in grado di apportare il giusto grado di luminosità nei vini di Maremma. Perché così è stato, se ripenso al sorprendente Morellino 2013 di San Felo. Dove la fisionomia stilizzata e “in sottrazione” nulla toglie alla capacità di dettaglio e alla profondità, contribuendo semmai a rendere il sorso affusolato, infiltrante, dritto, innervato dalla quintessenza aromatica dei sangiovese più schietti. Affinato in acciaio, è proprio un bel vedere.

Numero Otto 2013 – Castelvecchio Rocchi (€ 14/16)

Numero 8 - etiPer questioni di poche centinaia di metri Castelvecchio non ricade nell’areale del Chianti Classico, ma in quello dei Colli Fiorentini. Eppure quando sei lassù, a San Pancrazio, e ti confondi in quel paesaggio agreste di struggente naturalezza, non ci fai proprio caso, ché niente ha da invidiare al celebre dirimpettaio. Quanto ai vini di Filippo Rocchi poi, non difettano certo in definizione e pienezza, interpretati come sono con quel piglio “attualizzato” che accorda spazi privilegiati alla maturità del frutto, alla suadenza tannica e alla morbidezza. Vini peraltro che solitamente si pongono a debita distanza dagli approdi più convenzionali del cosiddetto “filone moderno”, a cui in ogni modo si rifanno.

Ecco, a guadagnare terreno prezioso sul fronte della spontaneità ci pensa questo Canaiolo in purezza chiamato Numero Otto, che ti strega grazie alla fiera originalità organolettica, caratterizzata da profumi ariosi, sfaccettati, seducenti e da una trama spedita, flessuosa, dinamica e sussurrata. Un vino disinvolto, schietto ed elegante, da cui traspare la dote della naturalezza, senza ammiccamenti. Così è, se gli pare: una sorpresa veriddio!

Syrah 2013 – Podere Bellosguardo (€ 22/25)

Podere Bellosguardo_logoUn incontro non previsto sotto l’egida della casualità. Che mi ha fatto conoscere però questo Syrah “montanaro”, vispo e dinamico, di piena rispondenza varietale, con il pungolo acido a caratterizzarne l’eloquio e a renderne personale il profilo. Un Syrah che ben interpreta la tipologia, cogliendone i reali privilegi, qui da noi troppo spesso sottomessi ai “pruriti” estrattivi dei loro fautori e alle invasioni barbariche del rovere nuovo: complessità aromatica, soffice tannicità, ritmo. Tutti racchiusi in un bicchiere spigliato e convincente che viene da Pratovecchio, nell’alto Casentino, grazie alle rinnovate attenzioni della famiglia Miraglia, che ha ravvivato nei fatti l’intuito che fu di un loro avo (direttore del ministero dell’agricoltura e foreste all’inizio del secolo scorso), innamoratosi di questo angolo sperduto di mondo a tal punto da acquistare un podere e piantarvi barbatelle “foreste” di syrah, per placare o stimolare la sua curiosità di tecnico. Oggi le discendenze dei vecchissimi cloni convivono con materiale più recente di provenienza rodaniana. Le conseguenze ci parlano di un vino schietto, comunicativo, tratteggiato in bello stile. E di un incontro inatteso che aspettavo da tempo.

Chianti Classico 2013 – Istine (€ 9/11)

Istine_chianti classico etiDi quando caparbietà e passione, tutte giovanili e tutte declinate al femminile, si traducono in qualche cosa che brilla, per idealità e concretezza. I nuovi vini di Angela Fronti per esempio, giovane vignaiola raddese, accordano focalizzazione stilistica e “fedeltà territoriale” in ispirata sintesi, vibrando per tocco e “sentimento” di fondo. Dopo un paio di vendemmie di rodaggio il millesimo 2013 ne ha svelato l’anima, sgombrandola da alcune incertezze del passato per illuminarne la rarefatta essenzialità. Così è, fra gli altri, per il Chianti Classico d’annata (sangiovese en pureté), la cui sinuosità e il cui fraseggio sottile sono al servizio di una trama delicata, freschissima e dissetante. E’ il Chianti nella sua quintessenza, quello che non tradisce il mandato territoriale affidatogli, quello che sa di Chianti a istinto, senza bisogno di mostrare la carta d’identità.

Ciliegiolo 2012 – La Selva-Egger ( € 14/17)

Ciliegiolo_La SelvaIl composito progetto agricolo e di vita creato tanti anni fa da Karl Egger nella campagna di Albinia, mi ha sempre trasmesso un senso di autenticità e lucidità imprenditoriale. L’idea di un posto dove tutto possa riacquistare il giusto peso. Sì, c’è il vigneto, d’accordo, ma ci sono anche i campi, i foraggi, i frutteti, gli orti, gli allevamenti di animali. C’è persino la produzione alimentare! Un grande podere a tutto tondo, dove si torna a parlare di rotazione delle colture e dove da tempi non sospetti (1980, leggasi millennovecentoottanta) si mastica e si pratica agricoltura sostenibile certificata bio. In luoghi e in contingenze storiche nei quali la dimensione monocolturale è divenuta imperante, La Selva è una finestra che si affaccia su un modo di intendere la campagna “vecchio stampo”, quasi certamente il più giusto.

Nel frattempo il Ciliegiolo 2012, non nuovo a prestazioni interessanti, onora la varietà grazie soprattutto all’articolazione, sia aromatica che gustativa. Mi piacciono infatti i cambi di ritmo, ché qui nulla è scontato, e i diversi piani di “lettura” su cui si pone, che accolgono l’istintualità ma occhieggiano pure alla complessità. Bello il ricamo speziato, intrigante la verve sapida e pepata del finale, succoso e integro il frutto, punteggiato da risvolti floreali. Tutta la solarità tipica della Maremma si traduce qui in un componimento armonioso, che suona accordato facendoti star bene.

Chianti Classico Riserva 2011 – San Martino (€ 12/14)

Chianti Cl Ris 2011 San MartinoPuntualmente includiamo in “prospettiva” l’incognita, la sorpresa fra le sorprese. Quella di cui niente sapevo e di cui poco sostanzialmente so. Proveniente da una micro realtà artigianale di Gaiole, mi ha investito, quello sì, come un’ondata di bellezza: è il Chianti Classico Riserva 2011 di San Martino. Che, in barba al millesimo insidioso, non fa una piega quanto a bilanciamento ed equilibrio alcolico, e colpisce al cuore per finezza, portamento, flessuosità e schiettezza. Una scintilla di chiantigianità sprigionatasi da un autentico vin de garage, le cui uve (sangiovese e canaiolo, e non ricordo se c’è una briciola di merlot) provengono da un piccolissimo fazzoletto di terra nei pressi di Castagnoli, governato dal viticoltore autoctono Aldèro Montagnani, non certo “di primo pelo”. A più riprese ci ha ricordato un Borgogna, per il candore fruttato, il fraseggio aromatico, la seducente tessitura tannica. E come tale ci ha fatto ulteriormente trasognare.

Penso che quella mia per il territorio del Chianti si chiami infatuazione. Quella terra, non so perché, riesce sempre ad illudermi che un vino sconosciuto, da qualche parte e in qualche modo, prima o poi saprà manifestarsi per sorprendermi. Quella terra porta con sé l’inesplorato, la possibilità, il sentimento portante di un’attesa. In questo caso è come se lo spirito indomito dei vecchi contadini chiantigiani si fosse “allungato” nella contemporaneità, con tutto il bagaglio dei saperi e delle arcaiche ma funzionali convinzioni. C’è qualcosa di archetipico in questo bicchiere, a cui fai fatica ad associare un tempo, e che non ti spieghi per intero. Ma è come tornare a casa dopo un lungo viaggio.

Brunello di Montalcino Colleoni 2010 – Santa Maria ( € 46/54)

Brunello ColleoniPescare un outsider nel mare magnum di Montalcino non è facile. Potrebbe portare a pensarti a qualche forzatura. In questo caso non ci sono forzature, perché Marino Colleoni, la sua idea pulita di agricoltura e il suo emblematico Brunello non le accolgono, e resteranno per sempre outsider: outsider per vocazione.

Non per questo i vini, nel mio personale sguardo critico sulla tipologia, sono soliti stazionare regolarmente ai piani alti altissimi del bere bene ilcinese. Fulgido esempio lo struggente Brunello 2010, figlio di una vendemmia acclamata, che dimostra di possedere le giuste vibrazioni per soddisfare l’appassionato più esigente, tradotte qui in un vino incredibilmente puro e trascinante, dove il limpido timbro fruttato, le sfumature di sapore e -soprattutto- la dinamica gustativa sembrano acquisire un quid di consapevolezza in più, racchiuse come sono in una trama “adulta”, di nobile e compassata autorevolezza. Oltretutto solcata da una ficcante vena acida, a sorreggere il sorso e ad instradarlo verso un finale di luminosa persistenza. E’ un vino dal piglio artigianale, la cui veracità si stempera in eleganza con abbagliante nitore. Un vino da bere e ribere. O da conservare, come desiderate. In primis, però, da ricercare. Anche se so che qui sta l’impiccio, dal momento in cui la tiratura limitata, diretta conseguenza delle basse rese e dei tre ettari scarsi di vigna, ne ostacolerà la reperibilità. Ma il gioco può valere la candela per avere la compagnia di un vino libero.

Altre prospettive: LIGURIA, FRIULI, ALTO ADIGE

FERNANDO PARDINI

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