Roagna, battitori liberi di Langa

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Alfredo e Luca nella nuova cantinaDopo tanti anni di praticantato enoico un’idea te la sei fatta. Non rappresenterà forse la più oggettiva delle verità ma quantomeno sarà un’idea tua, cresciuta e sviluppatasi con calma. Esperìta, approfondita. Ti conforterà, al punto da assurgere a caposaldo di “trasparenza interpretativa” e prospettiva critica, due irrinunciabili obiettivi per chiunque intenda traguardare l’amato mondo vitivinicolo con occhi da narratore o da analista. Le idee, si sa, coinvolgono storie, e le storie immancabilmente il vigneto. E se tutto ciò che ha a che vedere con i frutti della terra è materia da santificare punto e basta, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza dell’imprenditore agricolo, i distinguo semmai nascono dalla sensibilità interpretativa e dal tasso di personalità nei vini. Insomma, a marcare la differenza è una “visione”. Sono i gesti e sono i modi. Così, a fronte dei tanti anni di praticantato, dei mille incontri e dei millanta vini bevuti e raccontati, credo di aver conosciuto una vetta laicamente santa per espressività e intendimenti, capace di intrecciare esperienza, idealità, vigna e vino in sintesi virtuosa. E’ una storia particolare, badate bene, e per questo emblematica, la cui nomea si alimenta di un solo nome, ROAGNA, e di un solo luogo, la LANGA. Ecco, è da storie così -da vini così- che un’idea te la fai.

Luca e Alfredo RoagnaAlfredo e Luca, padre e figlio, generazioni ultime dei Roagna da Barbaresco, prima di tutto andrebbero conosciuti. Solo in questo modo si potrà comprendere quanto la loro geniale, selvatica, ruspante autenticità di uomini (prima ancora che di vignaioli), il loro “sentire obliquo” e la loro travolgente passione per la terra di Langa siano sincere. Sì, Roagna è un modo di intendere e di volere. E la genìa a cui appartengono una razza a sé! Prendi Alfredo per esempio, l’understatement fatto persona: in perfetta simbiosi con i suoi vigneti, non puoi pensare all’uno disgiunto dall’altro. E’ nella coesistenza e nella compenetrazione che si fondono e si estrinsecano le ragioni di una personalità e di una “diversità” caratteriale. L’arrivo in azienda del giovane figlio Luca poi, oggi poco più che trentenne, ha coinciso certamente con un periodo ricco di progettualità, idee ed investimenti. La contagiosa energia e la vivacità intellettuale di Luca sono servite come il pane. Ma i Roagna hanno attraversato il tempo di Langa e le stagioni mutevoli del vino d’autore “in direzione ostinata e contraria”, incarnandone per intero lo spirito artigianale, fuori dal coro, apparentemente stralunato, quello che prende spunto dalla saggezza dei vecchi per tramutarsi in una prassi (in una visione) speciale, tanto coerente con il passato quanto assolutamente attualizzata. La forte identità dei loro vini ne è l’indelebile firma. E poi l’indole naif che aleggia sui “personaggi” Roagna non tragga in inganno i disattenti e i detrattori “per contratto”: qui pragmatismo, consapevolezza, intraprendenza e preparazione tecnica stanno di casa.

PajéNel corso degli anni hanno sviluppato e perfezionato la LORO prassi vitivinicola, concretizzatasi in una gamma di vini piccola nei numeri ma grande nella sostanza, che dalla natìa Barbaresco ha poi compreso anche l’altra sponda, quella del Barolo, grazie all’acquisizione (1989) del vigneto Pira di Castiglione Falletto, un unicum di 11 ettari en monopòle nel bel mezzo del quale è sorta di recente la nuova, amplissima cantina. D’altronde, i vigneti a supporto di questa storia hanno, come suol dirsi, “capacità di pensiero e di parola”: Pajé, Montefico, Asili. Nientepopodimenoche. Acquisiti in tempi diversi nella misura di microappezzamenti – 1929 Montefico (0,28 ha), 1953 Pajé (1,82 ha), 1961 Asili (0,22 ha)- sono  luoghi da cui è passata e ancor passa la storia dei grandi rossi di Langa. Nei vini omonimi, targati Barbaresco (ma non dimentichiamoci di un elettivo Dolcetto e della sua “vocazione da maratoneta”), resta impresso il “marchio” speciale forgiato dai Roagna. Ne illumina in modo abbagliante lo straordinario potenziale di complessità aromatica, qualità tannica e capacità di dettaglio, raggiungendo livelli di purezza e naturalezza espressiva che non dimentichi.

Roagna_ dagli AsiliMa cosa c’è alla base di questa unicità? Perché dei loro vini rischi follemente di innamorarti? Da cosa discende tutta questa bellezza senza filtri, dove istinto e complessità vanno a braccetto? Ebbene, i Roagna hanno da sempre un decalogo  – etico e metodologico – a guidarli. Prende spunto da una singolarità, una di quelle che non ti inventi: “l’antico” patrimonio di vigna. Non è raro qui incontrare ceppi di 90 anni. E a casa Roagna parlare di vigne giovani significa parlare di viti quarantenni, tanto per intenderci! Assecondare una vigna così “maritata” al terroir significa rispettarne la fisiologia senza forzarla. Casomai farsi guidare da lei, accettarne i suggerimenti. “L’habitat ideale a cui dovrebbe tendere il vigneto è il bosco”, sostiene Luca. A primavera infatti la vigna sembra un giardino, con il rigoglio dei fiori e delle piante spontanee. L’inerbimento è continuo, le radici di quei vecchi ceppi ben piantate negli strati sedimentari e profondi dei suoli di Langa. Non si fertilizza, non si irriga, non si cima. Solo rame e zolfo. E poi, un patrimonio di legni ricavati dalle piante madri dello stesso vigneto: selezione massale e non clonale.  In cantina, pied de cuve di lieviti indigeni in qualità di starter della fermentazione, lunghissime macerazioni sulle bucce a cappello sommerso (le tine vengono steccate con assi di rovere per mantenere il cappello costantemente sommerso fino a 90-100 giorni, in dipendenza della vendemmia), lunghi affinamenti in botte grande: dai 3-4 anni per i vini “di finezza” (Pira, Asili), fino a 5 anni ed oltre per i vini “di struttura” (Pajé, Montefico). Riposo finale delle masse in cemento prima dell’imbottigliamento. Etichettatura a mano, bottiglie numerate, marchio a fuoco sulle scatole di legno. Non ci si fa mancare niente!

Luca ha imbottigliato a fine giugno l’annata 2010 per i Barbaresco e i Barolo, la 2006 per il mitico Crichet Pajé, il Barbaresco ricavato dalla parcella di Pajé che nonno Giovanni iniziò a vinificare separatamente dal 1958 e che confluì nella omonima etichetta a partire dalla vendemmia 1978. Due annate dal potenziale straordinario, non a caso interpretate con maestria.

Roagna_in degustazione_2Dal Barolo Pira Vecchie Viti 2010 respirerai purezza, freschezza e soavità. Una potenza dissimulata la sua, un abbraccio amico. Elegiaco, dissetante, dai tannini soffusi e dal tratto gustativo ricamato in macramé, per integrità di frutto, fraseggio e complicità emozionale pare risentire della vicinanza di un dirimpettaio di lusso chiamato Rocche. Sotto l’egida di una finezza proverbiale ne sugge gli umori e al contempo li fa suoi, in un crescendo di intensità e garbo espositivo.

Il Barbaresco Asili Vecchie Viti 2010, semplicemente, sa di tutto. E’ carnoso, elegante, saldo, flessuoso, dai tannini puntiformi. E’ una nuvola che irradia sapore e ti inebria, confondendoti. Sono viola, menta e liquirizia. Grande la stoffa, integrata l’acidità, lunghissima la risonanza. Inarrivabile.

Roagna_in degustazione_3Il Barbaresco Montefico Vecchie Viti 2010 è quintessenziale. Lirico e sussurrato, solo apparentemente ossuto, in realtà è un autentico vin de soif, seducente, rarefatto, infiltrante. Fiori macerati, erbe aromatiche, liquirizia, candore, mineralità: difficile resistergli.

Il Barbaresco Pajé Vecchie Viti 2010 è privilegio. Fonde struttura ed eleganza in un sorso solo, e se la complessità si fa evidente, al contempo si abbina con la disinvoltura di una beva straordinaria, senza forzature, senza ammiccamenti, senza sovrastrutture. Nella impareggiabile purezza misuri per intero la sua cifra e la sua valenza. Un vino libero.

logo-crichet-pajeInfine lui, il Barbaresco Crichet Pajé 2006. Intanto, non lo diresti che ha più anni degli altri: scalpitante, incisivo, terroso, vivo, fitto, dalla sua una energia insopprimibile, ché quasi pulsa. Una profondità cui solo il tempo ne svelerà le intimità. E’ nato per crescere. L’indole austera non ne frena l’intensità gustativa, il risvolto agrumato solo uno fra i tanti complici di una sicura immedesimazione.

Luca in vignetoOggi, giornata limpida e luminosa di un ottobre inoltrato, la Langa parla. Sa lei come farti innamorare. Tu ci caschi e sei contento di cascarci. Fra i colori cangianti delle viti senza frutto scorgi una discontinuità. Ci sei in mezzo: Montefico. Oggi, 20 ottobre 2015, c’è un solo vignaiolo che deve ancora raccogliere le sue uve. Luca ci parla della “goccia” del nebbiolo, della sua importanza, e ce la mostra. E’ linfa rossastra che fluisce da una screpolatura minuta dell’acino, stimolata dal lieve sfregamento delle dita che lo accolgono. Quello è il momento di cogliere, dice lui, quando la dolcezza del frutto e quella del tannino si fondono, ammantate di freschezza. Assaggiamo il chicco ferito: è un’invasione felice di sapori per il Montefico che sarà.

Visita a vigne e cantina effettuata nel mese di ottobre 2015

galleria fotografica

FERNANDO PARDINI

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