Recensione/”Un etnologo al bistrot”, di Marc Augé

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etnologo-bistrotUno dei segni più evidenti che la materia cibo e gastronomia possiede un più che discreto valore teorico è la quantità di studiosi di calibro nei campi più diversi che lo reputano degno di attenzione ed interesse. In questo caso, è Marc Augé, realmente un etnologo, o forse meglio etnologo-antropologo, ad applicare le sue riflessioni ad un tema intrigante come le dinamiche ed i comportamenti che si osservano fra il bancone e i tavolini di un bistrot, assorbiti a Parigi grazie agli studi e ad una carriera che a partire dal 1970 si sviluppò per un lungo periodo alla École des autes études.

Marc Augé è piuttosto famoso per la sua teoria del nonluogo, concetto caratteristico della modernità e che si applica ad esempio ai centri commerciali o agli aeroporti, “spazi dove si passa e nei quali non esiste a priori nessun legame simbolico immediatamente decifrabile tra gli individui che lo frequentano”, contrapposto a quello di “luogo antropologico” in cui “vi è una coincidenza perfetta tra disposizione spaziale e organizzazione sociale” (citazioni tratte dalla voce Nonluogo della IX Appendice della Enciclopedia Treccani diretta da Tullio Gregory). Viene spontaneo dunque chiedersi se Augé reputi il bistrot un luogo o un nonluogo, anche se la domanda posta così è piuttosto semplicistica, come si impara leggendo questo breve e scorrevole saggio.

L’autore dimostra innanzitutto di avere le carte in regola per parlare della materia, visto che, come afferma con orgoglio, “i bistrot […] hanno iscritto in me quella che i chiromanti chiamano ‘linea della vita'”. Naturalmente nella sua mano, come in quella di tutti, vi sono altre linee, “la linea dei paesaggi e quella dei volti, la linea delle canzoni e quella dei viaggi, […] la linea della testa e quella del cuore”. Eppure, “la linea del bistrot è trasversale ed attraversa tutte le altre”. Del resto, andare al bistrot da solo annunciava l’inizio della vita adulta, e l’esordio della sua carriera intellettuale passò per gli avvistamenti “gastronomici” di Sartre, Hyppolite, Althusser, Simone de Beauvoir…

Ma, dopo le opportune definizioni e ricapitolazioni storiche, è con il capitolo intitolato “Lo spazio-tempo del bistrot” che si entra nel vivo, e si capisce fin da subito che questo luogo, grazie alle sue trasformazioni nell’arco della giornata, è un interessante osservatorio di umanità e comportamenti, a seconda che sia l’ora della colazione, del pranzo, della cena o del bicchiere di vino di chi sta per rientrare a casa dopo il lavoro. Uno “spazio in movimento” che nella tradizione italiana ci sembra mancare, almeno fino alla scoperta dei precotti grazie ai quali bar risicati sfornano lasagne e risotti ai porcini.

Nel bistrot ideale, dal bancone di zinco, vero centro di gravità dove si attardano i solitari in cerca di una battuta che faccia compagnia senza eccessivi coinvolgimenti, si irradia uno spazio dove i clienti si sentono accolti e ignorati al tempo stesso, dove possono lavorare in pace ma sentendosi in compagnia. Insomma, un luogo di “presenza/assenza modulabile” che il gestore deve esser bravo a realizzare mediante uno spazio “senza alcuna cesura netta”. Un luogo al tempo stesso pubblico e privato (Hemingway “usava” La Closerie anche per scaldarsi), dove l’uso libero di uno spazio e di un tempo “fa” il bistrot quasi più che il cibo e il vino che vi si consuma.

Verso il finale il libro perde di mordente teorico per diventare più una rapsodia di riflessioni personali e letterarie, fra Simenon e l’Aragon di “Un paesano a Parigi” (vien voglia di andarselo subito a leggere, ma purtroppo è introvabile). E un fatto è certo: dopo aver letto questo libro, quando a Parigi entreremo in un bistrot, lo faremo con occhi diversi e più acuti.

Marc Augé
Un etnologo al bistrot
Raffaello Cortina Editore (ottobre 2015)
98 pagg. – 10 euro

 

 

Riccardo Farchioni

2 COMMENTS

  1. Peccato io abbia scritto il mio nome e la data di acquisto allo inizio… era da restituire al libraio che me lo ha rifilato: le pagine più noiose mai lette su argomenti che odio: alcol e ritrovo al bar… ovvero al Bistrot per l’illustre professore frequentatore… se poi si aggiunge il menzionare più volte panini al prosciutto e burro, con il forte disgusto che ho per il burro e per chi lo usa, il fastidio provocato diventa pure fisico… credo che la descrizione in retro copertina come sintesi del libro sia fin troppo lunga…

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