Riflessioni su Vinitaly 2016

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c_day1_entrance2_vinitaly16_fotoenneviVinitaly, manifestazione principe del mondo enoico italiano e non, è a un bivio. Lo si è visto con l’edizione 2016, che ha voluto porre una linea di demarcazione tra il visitatore professionale e i cosiddetti wine lovers. L’innalzamento del prezzo a 80 euro al giorno (ma con un pacchetto di 4 giorni a 120 euro), l’unico ingresso giornaliero concesso anche alla stampa, la realizzazione di eventi off  Vinitaly, hanno dichiarato la cifra di questo cambiamento. L’evento,  che anche nella scelta dei giorni della settimana segue la via di altre importanti manifestazioni internazionali (vedi Vinexpo), non ha voluto però seguire tal tendenza nell’accesso gratuito agli operatori professionali e nell’organizzazione della viabilità e dell’accesso alla sede fieristica. All’interno, il tentativo di “diversificare” gli spazi espositivi è proseguito con le aree dedicate al vino Biologico (Vinitalybio) e ai vini di territorio (ViVit), tentativi di diversificazione già adottati in altri eventi ( Salone Internazionale dei vini della Loira ) per i quali è difficile dare una valutazione.  L’opportunità  del biglietto elettronico è, a mio modesto parere,  completamente naufragata di fronte al blocco della possibilità di scaricare il documento il giorno prima della fiera e non accettare il documento digitale su smartphone,  come accesso (cosa che fanno molte compagnie aeree). Ma quello che conta, in fondo, non sono gli espositori?  Dalle dichiarazioni degli stessi organizzatori,  rispetto all’anno precedente, sono diminuite le presenze da 150.000 a 130.000: qualcuno non avrà visto molti “passaggi”, ma forse ha visto più qualità.

Per quanto concerne invece l’aspetto prettamente enologico, Vinitaly 2016 è stata l’occasione per valutare come sta evolvendo la situazione produttiva italiana. Di fronte alla reale crisi del mercato interno e alle sempre crescenti difficoltà economiche e burocratiche per le piccole aziende, si è percepita, in tre giorni di visita ai vari stand, una reale volontà di rinnovamento e di riportare vino e territorio al centro della comunicazione aziendale. In questo senso, come già accennato l’anno scorso,  è apprezzabile per esempio il processo di qualificazione e di identificazione intrapreso da un colosso della cooperazione siciliana come la Cantina Settesoli di Melfi, della quale siamo stati ospiti anche quest’anno. L’occasione ci è stata fornita dalle novità presentate a questo Vinitaly, ovvero il Nerello Mascalese e il Vermentino. Li abbiamo assaggiati con la responsabile della comunicazione Roberta Urso (foto). Il Vermentino della linea Settesoli, linea dedicata alla grande distribuzione (mentre il nome Mandrarossa accorpa la linea più ambiziosa e di fascia alta dell’azienda), si presenta di un bel colore giallo paglierino scarico, profumi floreali e iodati, beva lineare e fresca, ottima tipicità.  Il Nerello Mascalese Settesoli si caratterizza invece per il colore rosso rubino scarico, per una gamma di profumi che vanno dal floreale al fruttato e per una bocca fresca e rotonda. Un assetto che consente di ben riconoscerne tipicità e territorialità.

100_4387Altra realtà vitivinicola di qualità, anch’essa di natura cooperativa, sta all’altro capo della penisola: la Cave des Onze Communes, sita ad Aymavilles, in Valle d’Aosta. Rinnovato lo staff tecnico e dotatasi di una nuova cantina all’avanguardia, presenta una gamma di vini ben disegnati e molto territoriali. Tra quelli maggiormente apprezzati ricordiamo il Pinot Grigio 2015  (bel colore luminoso dai riflessi verdognoli, naso floreale e varietale di caffè verde e frutta tropicale, bocca fresca ma consistente, finale lungo) e il Traminer Aromatico 2015, dal bel colore giallo chiaro e dai profumi varietali che rammentano la rosa canina e l’agrume, con note di incenso che ritroviamo più lievi in bocca. Bella la freschezza all’assaggio e alla persistenza. Infine, il Petite Arvine  2015, che si presenta di un giallo più intenso e con aromi floreali e di frutta bianca dolce. In bocca si a100_4390mplifica nella dolcezza e nella rotondità, mantenendo però una apprezzabile corrente acida e salina in evidenza.

Altra cantina molto interessante, ma dalla “consistenza” artigianale, la incontriamo ancora nello stand della Valle d’Aosta: è Elio Ottin. Sita in frazione Porossan, nel comune di Aosta, nasce come azienda negli anni novanta, ma ha tradizioni familiari molto più antiche. La vinificazione inizia soltanto nel 2007 e dalla sua gamma assaggiamo il Pinot nero. Derivato da un vigneto posto a 590 metri slm, piantato nel 1989 , il vino si presenta di un rosso granato medio limpido, ha bella fluidità, ottime aromaticità e freschezza, elegante espressività varietale.Vallée d'Aoste Pinot Noir 2013 - Ottin

Concludiamo qui la nostra riflessione sul Vinitaly, che a nostro parere, se vuole consolidare questa nuova tendenza, deve da una parte proseguire nella selezione degli operatori professionali ma dall’altra facilitarne la partecipazione e stimolarne maggiormente l’interesse e l’interattività.

La foto del Pinot Noir di Ottin è di Roberto Giuliani

Lamberto Tosi

4 COMMENTS

  1. Beh, in fondo Vinitaly di quest’anno ha dato una risposta a quello che abbiamo sempre chiesto ad una fiera professionale: visitatori qualificati. Ottimi riscontri particolarmente dall’estero. Brava fiera!

  2. Gentile Angela, sono d’accordo sulla scelta di privilegiare i visitatori professionali, molto meno , sul modo in cui questo viene fatto. La digitalizzazione del biglietto oramai è cosa ordinaria , così come l’organizzazione di un servizio navetta efficiente e ad ampio raggio . Vinexpo le navette raccolgono visitatori fino a 70 km di distanza dalla fiera. Questo avrebbe anche molto senso da noi visto che si consentirebbe il riverbero turistico su una ampia zona intorno a Verona. Per il resto come vede dall’articolo la senzazione è stata positiva.

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