Un vignaiolo antagonista se n’è andato. Lunga vita a Stanko Radikon

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Stanko RadikonSotto la corazza apparentemente impenetrabile delle sue convinzioni, Stanko Radikon  – friulano di confine – tradiva un lato gigionesco che a me piaceva molto. Perché concedeva chance all’ironia, e con l’ironia alla leggerezza. Per lui da giovane qualcuno aveva immaginato un futuro da calciatore professionista, tipo un’ala. Era veloce, guizzante, aveva fiato. Vai a vedere poi la vita cosa ti riserva! Stanko amava la motocicletta. Amava muoversi e guardare avanti. Così nel suo mestiere di vignaiolo, quantomai affollato di visioni.

Sì, appunto, il mestiere: era un battitore libero non allineato, nel suo mestiere, innamorato follemente delle plaghe di Oslavia, la sua terra. E’ stato una delle voci fondanti per un’intera genìa di vignaioli “consapevoli”. Il suo era un modo diverso di intendere il vino e la sua essenza, un modo che andava alla radice delle cose e che pure si ricollegava ad antichi gesti. Recuperare il senso perduto per tramutarlo in un senso nuovo, rigenerato, ecco cos’era. Io dico che ci è riuscito. Non senza scatenare dibattiti circa la compiutezza di quei vini, la loro fisionomia, la loro fruibilità. Quei vini però erano i suoi, non ci sono dubbi. E lui era quei vini.

Conservo dei bei ricordi di Stanko. In cantina, negli anni delle prime sperimentazioni alle prese con la macerazione sulle bucce per i vini bianchi, che furono gli anni della mia istintiva infatuazione, prima che qualcosa cambiasse, forse maturando. In sua compagnia, al Cavatappi di Calcinaia (PI), quando fui chiamato a guidare una degustazione in suo onore, sentendomi oltremodo lusingato. Ricordo poi le discussioni, e di come si arrabbiava quando qualcuno apparentava i suoi vini a bevande tipo il tè. E la soddisfazione di averlo avuto fra i protagonisti del nostro evento “Vigneto Friuli in Versilia”, correva l’anno 2006. O le spiegazioni, argute e arzigogolate, attorno a certe sperimentazioni sui tappi e sui diametri rivisitati di un collo di bottiglia. E ancora, dietro al banchetto sempre affollato nelle cento tappe dell’associazione Vini Veri, e le prese di distanza, e il ritorno al Vinitaly dopo anni di assenza.

Stanko Radikon era un uomo-vignaiolo caparbio, coraggioso, autentico, pensante. Conosceva molto bene il suo mestiere, al punto da osare. Ma non per interesse, bensì per leale aspirazione al meglio. Mi posso solo immaginare con quale forza d’animo abbia lottato contro un male insidioso che non si è stancato di logorarlo. Oggi Stanko ci ha lasciati. Ma non ci ha lasciato il suo ardire, non ci ha lasciato il suo Jakot, non ci ha lasciato il suo pensiero visionario. Lui credeva nel suo agire, e credeva nei suoi vini. Li aveva disegnati, elaborati, concepiti così per sincera immedesimazione. Contro ogni moda imperante, contro ogni facile scorciatoia. Questa la virtù che non si dimentica, quella da tenere a mente per il futuro che viene.

Nel salutare con affetto la moglie Suzana ed il figlio Saşa, mi riapproprio di quanto scritto qualche anno fa. E’ contenuto in un vecchio “Appunto al Vino”. Lascio al pezzo le parole. A noi piace Stanko.

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L’immagine di Stanislao “Stanko” Radikon è stata tratta dal sito www.triplea.it 

FERNANDO PARDINI

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