Dievole e Rocca delle Macie in Chianti Classico. Nuovi orizzonti, nuove pulsioni. Ovvero: anche i “grandi”, nel loro piccolo……

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Dievole_vecchia fattoriaLa Fattoria di Dievole sta a Vagliagli, Rocca delle Macie a Castellina in Chianti. Sono quasi certo, e comunque lo suppongo, che abbiano poco a che spartire l’una con l’altra. Semplicemente vantano storie, percorsi, attori, intendimenti e territori differenti, sia pur rientrando entrambe nella galassia Chianti Classico. Sono accomunate semmai da una dimensione strutturale importante, dal punto di vista produttivo e degli ettari vitati a disposizione, ma soprattutto, e qui sta il senso di una trattazione congiunta, da una “coincidenza temporale” in cui tutto sembra accadere e andare nello stesso verso. Tanto per intenderci, verso cambiamenti (o “affinamenti”) negli indirizzi stilistici assunti, a concretizzare nuovi traguardi espressivi.

A Dievole si è recentemente assistito ad un passaggio di proprietà importante, forse epocale. Dopo oltre venticinque anni di “dinastia” Schwenn, nel 2013 è entrato in campo Alejandro Bulgheroni, importantissimo magnate del petrolio argentino (di origini italiane) invaghitosi del wine world. E nel rivoluzionare pressappoco tutto, ha immaginato la sacra triade vino-olio-ricettività a fondamento di un progetto composito, ambizioso e a largo raggio, che intende arricchirsi di peculiarità, non di normalità.

Rocca delle Macie_vigneti macieA Rocca delle Macie invece la proprietà è sempre la stessa, ovvero la famiglia Zingarelli, capitanata da Sergio, l’attuale presidente del Consorzio di Tutela del Chianti Classico, oggi coadiuvato dalle giovani leve Andrea e Giulia, figli suoi. Questa continuità familiare non ha impedito all’azienda di mettere in moto un processo di crescita e di conseguente rivisitazione stilistica, che è partito prepotentemente dal vigneto per poi coinvolgere gli estri cantinieri. E’ ciò che va ridisegnando la composita produzione in rosso della casa, nel nome di una superiore esigenza di identità.

Per spiegarci meglio partiamo dalla fine: i vini. A loro l’onere e l’onore di parlare in proposito. E i vini, in entrambi i casi (per Dievole le prime avvisaglie, per Rocca delle Macie una china già intrapresa qualche vendemmia fa) parlano. Stimolati da un respiro nuovo, parlano. Quel respiro contempla sfumature, sottotraccia, trasparenza espressiva, e scava ben sotto la confortevole corazza della manifattura tecnica e della correttezza formale. La sensazione prevalente, ad assaggiare le produzioni più recenti, è che abbia decisamente assunto un peso maggiore il concetto di territorialità, e quindi di riconoscibilità. Certo, oltre alle capacità tecniche, doti attinenti alle consapevolezze umane, contano i terroir. Ma in questo senso sia Dievole che Rocca delle Macie possono contare su una estensione notevole e variegata di suoli e microclimi, per esplorare l’esplorabile ed esaltarne al meglio le specificità.

Podere Brizio_RdM_etiPoi, a supporto dell’asserto, nel caso di Dievole c’è un’ulteriore appendice da considerare: la nuova proprietà non si è limitata infatti ad acquisire solo Dievole, ma nello stesso tempo ha operato a Montalcino, acquistando dapprima un vasto podere vitato appartenente ai Barbi di Stefano Cinelli Colombini (Poggio Landi), poi, tout de suite, Podere Brizio della famiglia Mazzi/Bellini. Ed è così che il nuovo corso stilistico che abbiamo subodorato a Dievole a partire dall’annata 2014 trova adeguato pendant nei recentissimi imbottigliamenti di Podere Brizio curati dallo staff tecnico del gruppo. Ed il Rosso di Montalcino 2014 di Podere Brizio ci racconta infatti in modo eloquente i dettagli di una storia diversa, andando ad intercettare traiettorie espressive molto interessanti, in cui il generoso ed eclettico terroir di Tavarnelle ne disegna una fisionomia più sfumata ed elegante rispetto a un tempo, giocando le carte migliori su un delicato intreccio floreal-minerale, su un candore fruttato che non scordi e su una provvidenziale spigliatezza, probabilmente favorite dall’annata, abbandonando così quell’aura di robustezza, potenza estrattiva ed avvolgenza alcolica che era solita marcarne i confini. Questo ritrovato senso dell’equilibrio ha partorito un vino di inusuale eleganza e compiutezza, il cui ricordo sensoriale si insinua a mezza via fra un Soldera e un Poggio di Sotto, tanto per essere chiari!

Dievole_Chianti Classico etiSulle stesse frequenze d’onda, sia pure in tono minore per qualità tannica e persistenza, ma egualmente tratteggiato “in sottrazione”, si muove il Chianti Classico 2014 di Dievole, blend di sangiovese, canaiolo e colorino. Un rosso che non tradisce né l’indole aromatica spigolosa e boschiva tipica dei vini della zona (dove la ghianda del sangiovese incontra la balsamicità del sottobosco) né il proverbiale profilo affusolato regolato dal pungolo acido di quelle terre. Ma al contempo lascia altresì emergere avvincenti note di ciliegia e violetta ed una carnosa tattilità in grado di stimolare, di incuriosire, di convincere.

Rocca delle Macie_CC 2014_etiPer Rocca delle Macie i due esempi calzanti di quella che io considero una vera e propria renaissance enoica si posizionano agli estremi esatti di una teorica scala di valori interna. Da una parte il Chianti Classico “annata”, il celebre “etichetta viola” che in tanti già conosceranno, anche perché assiduo frequentatore degli scaffali della GDO. Ebbene, scordatevi le svagatezze del passato, e tenete sempre ben presente che trattasi di tirature pari a centinaia di migliaia di bottiglie annue. Vi accorgerete che da due o tre stagioni a questa parte il vino ha svoltato. Intanto, alla cieca, non potrai che assegnargli la terra sua, che di nome fa Castellina. Poi, non potrai che giudicare un bel conseguimento la versione 2014, quella attualmente in commercio, che in barba all’annata magra e insidiosa si conferma decisamente elegante, dove il nitore e l’indole colloquiale non profumano di “chirurgia estetica”. Sinuoso, bilanciato, di ottima dolcezza tannica, è instradato da coinvolgenti sentori di frutti rossi e fiori, e da una trama polposa, rotonda, dai tratti aggraziati e mai ammiccanti. Difficile fare a meno di lui quando ti trovi alle prese con una tavola imbandita.

CC GS Sergio Zingarelli_etiDall’altra parte della scala ci sta l’ultimo nato, il Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli. Un’etichetta, e un progetto, in cui la proprietà ha messo decisamente la faccia, a partire dal nome assegnatogli, approdando così alla discussa (e discutibilissima) categoria delle Gran Selezioni in un modo perlomeno “sano”: sole uve sangiovese provenienti da un particolare appezzamento. Il resto lo fa la sensibilità interpretativa, che va a scavare nel profondo per assegnargli una silhouette proporzionata, articolata, complessa, dove a rifulgere è uno straordinario potenziale sapido, figlio legittimo del terroir di appartenenza. Così è per l’annata 2012, che in misura anche maggiore rispetto alla precedente è in grado già oggi di svelare nelle intimità la nobile compostezza di un Sangiovese d’autore. Il terroir di provenienza dimora proprio lì, alle Macìe, nelle famose terrazze ridisegnate per contenere le erosioni di un suolo a forte dominante calcarea. Sia pur rinnovato a vigna nei primi anni duemila, sta imprimendo ai vini un’accelerazione caratteriale impensabile e propizia, che punta dritto al futuro, per sposare senza indugi le ragioni di una classicità -di forma e di sostanza- tanto apprezzabile quanto profondamente chiantigiana.

Contributi fotografici, in ordine di apparizione: vecchio casale a Dievole; vigneti alle Macìe, sullo sfondo Rocca delle Macìe

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FERNANDO PARDINI

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