Verdicchio fuori dal coro. Si può fare, quando il canto è intonato

0
11760

Verdicchio_anforaC’era una volta l’anforetta “fazibattagliana”. La sua missione il proselitismo. Casa per casa, negozio per negozio, supermercato per supermercato, a conquistare le masse. Con metodo, instancabilmente. Ci furono poi i risvolti opachi di una medaglia, che rischiava fortemente di non luccicare più. Per fortuna, dall’arcipelago Verdicchio, emersero isole felici in grado di direzionare attenzioni nuove su questo eclettico e straordinario vino-vitigno italico. Quando mi interessai più seriamente alla materia, negli anni Novanta, ricordo che riscuoteva ampi consensi da parte della critica imperante, e quindi fra le fila degli appassionati, il “tardivo” Balciana della famiglia Sartarelli, un bianco opulento e profumato dai rimandi alsaziani. Pareva costituisse allora l’avanguardia espressiva di quei luoghi. Ma c’era (già) anche il Riserva di Ampelio Bucci, il vino che ha segnato il passaggio dei Verdicchio all’età matura. O che perlomeno ne ha indicato la strada, stracciando in un sol colpo tutte le pagine scure di una storia a fasi alterne per illuminare a giorno le enormi potenzialità sottese. Insomma, per dimostrare al mondo, e a se stessi, che anche nelle Marche “si-può-fare!”. Il panorama si è allora fortificato di casate storiche, ovviamente già esistenti ma rinvigorite negli assunti (Umani Ronchi, Garofoli, Fazi Battaglia), di strutture cooperative dal grande volano produttivo (Terre Cortesi Moncaro, Colonnara) e, via via, di uno stuolo sempre più motivato e consapevole di vignaioli, in qualità di ideali successori della generazione precedente, quella rappresentata dai Peppe Bonci (Vallerosa) o dai Mario Brunori. Avrebbero regalato al Verdicchio di Jesi un profilo maggiormente “dialettico”, sfaccettature nuove, distinzione e stile.

Oggi non c’è occasione in cui le istituzioni locali e regionali non sbandierino orgogliosamente il vessillo del “vino bianco più premiato d’Italia”. Il territorio jesino, d’altronde, è innervato da un bel numero di produttori competitivi. Indubbiamente forte l’espressività di alcuni loro vini, vini capaci di far innamorare o di far discutere, a seconda. L’eclettismo di una proposta lo si misura invece anche dal fatto che qui assistiamo con nonchalance alla produzione tanto di bianchi à l’ancienne, affinati in acciaio e in riduzione, a temperature super controllate, quanto di bianchi dal respiro più nature e ossidativo; oppure di esemplari affinati nel rovere, piccolo o grande che sia, per approdare poi alle vendemmie tardive, ai passiti, finanche alle bollicine (non prive peraltro di un loro perché). Nel frattempo, i nomi alternativi di qualche anno addietro, fatti oggetto di un fitto tam tam sentimentale fra gli appassionati, sono divenuti i capisaldi di una produzione  tanto apprezzabile quanto stilisticamente delineata. Hanno perduto quindi l’aura di outsider per ergersi a protagonisti di una renaissance enoica, l’ennesima. Si va dalla coscienza critica di un Corrado Dottori (La Distesa), vignaiol-intellettuale bastian contrario e antagonista, ai felici approdi espressivi sul fronte dei vini di più ispirata matrice artigianale, quelli targati La Staffa, La Marca di San Michele, Natalino Crognaletti o Pievalta. Con alcune novità degne di nota come Ca’ Liptra, Andrea Felici….

Mentre sul fronte dei Matelica, il versante “montanaro” del Verdicchio d’autore, ben oltre la cantina sociale Belisario si sono fatti avanti, con mosse vincenti e vini molto caratterizzati, Aldo Cifola e la sua Monacesca, Fabio Marchionni e il suo Collestefano. E poi Borgo Paglianetto, gli storici fratelli Bisci, altri ancora.

Ora, ci chiediamo, in un panorama enoico regionale nel quale, apparentemente, i valori sembrano consolidati, è ancora possibile parlare di alternative e nomi nuovi, aldilà dei deja-vu? Beh, dal punto di vista del mio stato di conoscenza, tutto men che esaustivo o appropriato, direi proprio di sì. Quando subodori certe preziose accordature fra intendimenti e conseguimenti, significa forse che è giunto il momento di parlare anche di altri attori. Grazie a loro non è che si va alla rivoluzione, intendiamoci, casomai possiamo comprendere ancor meglio di quanta sana diversità si nutrano oggi le terre del Verdicchio, di quanta sensibilità interpretativa e di quanti talenti.

TENUTA DI TAVIGNANO

Teruta di Tavignano_panoramaSarà che con apprezzabile regolarità i vini “di confine” fanno quasi sempre gioco a sé, palesando sovente l’ardire della singolarità; certo è che queste autorevoli referenze sembrerebbero appannaggio anche di Cingoli, “il balcone delle Marche”, se ci affidiamo alla produzione in bianco della Tenuta di Tavignano. Oddio, non è che stiamo propriamente parlando di viticoltura eroica o di condizioni microclimatiche estreme, ovvero di ciò che vorremmo solitamente associare a una idea di confine, o di frontiera. Ma pur sempre di confine trattasi, se è vero come è vero che ci troviamo al confine esatto fra le province di Macerata (sotto cui Cingoli ricade) e di Ancona. Ed è stato proprio grazie ad una antica vocazione vitivinicola se si è riusciti qui ad ottenere il rispetto da parte del disciplinare di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Il quale ha acconsentito di includere questo lembo di terra nell’areale a denominazione d’origine. La Tenuta di Tavignano, intesa come impresa vitivinicola, nasce proprio lì, negli anni ’90 del secolo scorso, per volontà congiunta delle nobili famiglie Aymerich e Lucangeli.

Tenuta di Tavignano_Misco etiE’ passato anche del tempo, ma l’etichetta Misco di Stefano Aymerich Lucangeli di Laconi merita oggi ascolto attento ed adeguate ribalte. Perché si muove sicura fra le maglie di una trama proporzionata, agile e snella, intrisa di umori sottili. Sono erbe e fiori di tiglio, anice e mela a comporre il quadro aromatico della gioventù, un quadro che pulsa e si tende. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Misco 2014, poi, mette sul piatto dei ragionamenti brillanti doti di contrasto e salinità. La beva se ne esce corroborata, esaltandosi nel dinamismo e nel contrappunto, senza smancerie ad effetto o tecnicismi di maniera.

Sulla stessa lunghezza d’onda si muove il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Misco 2013, che profuma di erbe e fiori di campo. Nel coniugare in modo ispirato droiture, articolazione e tonicità, annuncia senza tentennamenti una fisionomia stilizzata e convincente.

TENUTA SAN MARCELLO

Tenuta San Marcello_ etiUn’autentica sorpresa. Dall’entroterra di Senigallia, in contrada Melano, la piccola/piccolissima produzione di Massimo Palmieri e Pasquale Marquey, nell’affiancare l’attività agrituristica, incrocia ed interpreta con inattesa autorevolezza i destini di vitigni autoctoni quali lacrima e verdicchio. Ebbene, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Buca della Marcona 2013 possiede una spigliatezza e una naturalezza espressiva da non lasciare indifferenti. Le sue movenze fanno lampeggiare un gesto agricolo pulito e un’enologia poco interventista. Erbe aromatiche, mela golden, anice e mandorla lieve orientano i profumi nel verso della tipicità e della freschezza, senza mai sfiorare la didascalia; al gusto è scattante, incisivo e ritmato, senza ostruzioni né costruzioni: l’indole verace è al servizio del sapore.

VICARI

Vicari_ etiA casa Vicari il cuore della produzione resta comprensibilmente il Lacrima di Morro d’Alba (ci troviamo nell’epicentro della zona di produzione), ma da qualche stagione in qua va facendosi strada un’intrigante produzione in bianco, ovviamente frutto del vitigno verdicchio nella sua variante jesina. E se il padre Nazzareno guarda al vigneto con scrupolo certosino, è il figlio Vico ad occuparsi della cantina. Debbo dire che mi hanno colpito la nitidezza e la profilatura di questi vini, che sotto l’egida di una manifattura tecnica attenta non si depauperano di significati e di sfumature, riuscendo brillantemente nello scopo di risultare al tempo stesso precisi ed espressivi. Così è per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore L’Insolito del Pozzo Buono 2014, che a una silhouette fresca e “acciaiosa”, di accurata focalizzazione aromatica, associa una trama diritta ed affusolata, in grado di assumere il passo elegante di un ostinato fondista.

E così è, in una veste finanche più compiuta, per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico del Pozzo Buono 2015, lì dove freschezza, cremosità e succo ne rendono il tratto accattivante ma senza ruffianerie. Con il pungolo dell’acidità ad instradarne la trama e a renderla infiltrante, raffinata, coinvolgente. Insomma, un vino flemmatico, da bere e ribere.

COLPAOLA

Colpaola_panNon potevamo lasciar fuori la variante matelicese del Verdicchio, ovvero l’enclave preziosa e appartata di Matelica. Lo facciamo puntando “in alto”. Sì perché 650 metri sul livello del mare hanno il loro peso sulla gestione di un lavoro agricolo e sulla fisionomia di un prodotto agricolo. Siamo in località Braccano, alle pendici del Monte San Vicino. La famiglia Porcarelli abita un autentico avamposto e imbottiglia a partire dal 2013. E forse è proprio di “vigna giovane” che soffre, questo Verdicchio di Matelica 2015 di Colpaola. Perché per il resto è quanto di più riconoscibile e territorialmente connotato possa esistere. E’ un vino educato, non urla la sua presenza, si muove con leggerezza giocando sulle mezze tinte e sul dico non dico. Eppure lo sviluppo è sicuro, la tensione propositiva, la densità bilanciata, l’alcol morigerato. C’è qualcosa semmai che ne frena la piena espansione e la piena complessità. Per quelle ci vuol tempo, ma il calibro e la misura sono quelli giusti: il futuro qui ha una prospettiva.

VIGNA DEGLI ESTENSI

Vigna degli Estensi_etiStefano Bondanelli nasce geologo ma cresce enologo. La sopraggiunta passione è forte e lo porta fin qua con la sua famiglia, non lontano dal mare di Senigallia, dove più che Verdicchio si produce Lacrima. Le vigne a verdicchio stanno a Castelleone di Suasa ed oggi hanno quarant’anni di età. Il marchio Vigna degli Estensi è un recente conio. La tecnica di mano sicura non comprime le potenzialità e il respiro a questi vini, c’è un buon equilibrio nell’aria, un apprezzabile compromesso. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Sotèria 2014 ha un bel carattere aromatico, dispiegato e a fuoco. Profuma di anice e agrume. In bocca è denso e cremoso, teso e saporito. Il vino è serio, ancora giovane, tendenzialmente maschio, “acciaioso nell’anima”.

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Lògos 2012, di contro, è silente ed introspettivo, stilizzato ma concreto. Vibra sotto, questo fa, scattando e filando via spedito al gusto. Non può fare affidamento su una enorme diffusione o su una enorme persistenza, quelle no. Ma è stilisticamente connotato, ed è ciò che oggi conta, perché subodora l’approdo, un approdo salvifico, dove il termine precisione potrà scrollarsi finalmente di dosso l’accezione sua chirurgica.

FERNANDO PARDINI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here