Brunello di Montalcino 2012: un’annata di luce che non ha escluso le ombre. Terza parte

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montalcino_fortezza-2MONTALCINO (SI) – Ed eccoci arrivati alla terza ed ultima puntata dedicata agli assaggi ilcinesi di febbraio. Per completare (quasi) tutto lo scibile targato Brunello 2012. Peraltro, l’inflessibile disciplina dell’ordine alfabetico ha riservato a questa ultima sessione alcuni dei bicchieri migliori….

Rimandando alle precedenti puntate (vedi link in calce) tutti coloro i quali, stoici e mai domi, desiderino (ri)leggersi l’analisi dell’annata e le altre lenzuolate di commenti, chiudiamo la parata con la solita raccomandazione: se non troverete proprio tutto tutto è perché l’incontro con alcuni vini non è stato così fortunato. Spesso e volentieri a causa di campionature poco probanti. E tanto fa.

FULIGNI

Eleganza, tono, portamento. E un intrigante accennare sulla scia di una trama succosa, minerale e diffusiva, ampia e ben accordata. Sì, è un conseguimento raro per l’annata, tanto da stagliarsi fra i ricordi migliori.

GIANNI BRUNELLI LE CHIUSE DI SOTTO

Distensione, frutto, fragranza. La morbidezza nel tratto, se non fa proprie le ragioni di una piena reattività, accoglie quelle di una piacevole rilassatezza, capace di conservare – di preservare- sufficienti garbo ed ariosità.

IL BOSCO DI GRAZIA

Stimoli silvestri, sensazione di purezza. E una ricchezza non ostentata, corrisposta da una pienezza di forme che sa di buono. Le mostrine dell’eleganza, invece, deve ancora guadagnarsele.

IL MARRONETO

Attitudine alle sfumature, sinuosità, sapore: gioca di sottigliezze e gioca bene. Semmai, nelle intimità, nasconde una traccia più dolce e calda, lascito legittimo del particolare millesimo. Ma resta un bel componimento.

IL MARRONETO – MADONNA DELLE GRAZIE

Note officinali e fragranza di frutto annunciano un gusto succoso e fresco per l’acidità, con uno sviluppo che tende però a chiudersi sui tannini, concedendo margini all’intransigenza. Contrariamente a tutto il mondo (o quasi) della critica enologica, continuo a preferirgli il Brunello “annata”.

IL PARADISO DI FRASSINA

Ad un naso aggraziato e delicatamente boisé, che ricorda i frutti rossi del bosco, fa da contraltare una dinamica gustativa mutuata dalla dolcezza, a renderne il tratto piuttosto monocorde. Il finale affusolato, invece, appare in debito di espansione e complessità.

IL PARADISO DI MANFREDI

Naturalezza espressiva, che se non trascina ispira simpatia. E’ vino da ascolto attento, un po’ libero nella grammatica enologica, che profuma di piccoli frutti rossi e a cui non appartiene -forse- la complessità. Buona la pulizia del disegno però, virtù non così scontata.

IL PINO

E’ una indefinita rilassatezza (o una rilassata indefinitezza), con gli umori di saggina e sottobosco, a trasmettere un piacevole senso di purezza a questo bicchiere. Non brilla per intensità, quello no, pur riuscendo a proporsi con continuità e dedizione. Quantomeno fino a mezza via, da quando l’incidenza del rovere si farà più ostinata ed il finale accoglierà accenti persino amaricanti.

IL POGGIONE

Buon succo, buon ordine. Saporito, brillante, caldo ma non troppo, è classico negli accenti, compatto nelle trame e per nulla incline alle smancerie ad effetto. Insomma, una personalità di Brunello confortevole e amica.

LA FORTUNA

Il pizzico di dolcezza in esubero lede poco o niente l’ampiezza e il “sentimento” di fondo che intridono questo bicchiere. Gustoso, compiuto, con l’acidità in rilievo e una dote tannica altrettanto fresca, sa farsi rispettare certo che sì.

LA FORTUNA – GIOBI

Buona scansione aromatica; articolato, succoso, ampio e ritmato, leggermente caldo per l’alcol, è un bel conseguimento per l’annata. Davvero.

LA GERLA

Il rovere ottunde e veicola, elargendo dolcezza e coprendo dettagli preziosi ad un vino generosamente fruttato e dai tannini ben fusi. Diamogli tempo.

LA LECCIAIA

Lo stile è apprezzabile, il disegno fin troppo essenziale. Di trama stretta ed affusolata, per fortuna risolve in sapidità gli stimoli incerti di un gusto a corrente alternata.

LA MAGIA

Una inattesa snellezza (se sto alla classica fisionomia dei vini della casa) e, soprattutto, una buona propensione al dettaglio, sono i vettori ideali per consentirne la giusta distensione. Per questa ragione se la cava più che dignitosamente, checchennedica l’annata calda.

LA PALAZZETTA

Il temperamento verace si fa portavoce di autenticità. Largo e voluminoso, la generosità alcolica brucia sul cammino alcuni dettagli preziosi, senza però far lo sgambetto alla sincerità espressiva.

LAMBARDI CANALICCHIO DI SOTTO

Dopo qualche annata all’insegna dell’abbondanza, il buon Lambardi ritrova qui silhouette e proporzioni: la densità è bilanciata, il frutto ispira sensualità, il tratto gustativo morbido e vagamente accomodante. Semmai è il timbro dolce del legno ad incrinarne la piena spontaneità.

LE CHIUSE

Integrità, ricchezza (interiore e non sbandierata), fitta intelaiatura sapido-minerale. E una profondità irraggiungibile ai più, amplificata da un finale lunghissimo e percussivo, che dichiara e ribadisce carattere e nobiltà.

LE MACIOCHE

Esotismi, snellezza ed equilibrio. E’ un vino sottile, apparentemente semplice, dal timbro alcolico dichiarato ma che sa giocare di dettagli, con i dettagli. Ringalluzzente il sale di quel finale.

LE RAGNAIE

Snello e profilatissimo, non esente da screziature vegetali, presenta uno sviluppo deciso e ficcante, rilasciando umori di menta e sottobosco, mentre in chiusura tende ad irrigidirsi e a rimanere sulle sue. Meglio attenderlo.

LE RAGNAIE – VECCHIE VIGNE

Bel ricamo aromatico, assecondato da uno sviluppo gustativo incalzante e diffusivo. Si espande bene, rilasciando succo e umori silvestri, scortato da un tannino di razza e sostenuto da un provvidenziale afflato di freschezza. Molto bene!

LE RAGNAIE  – FORNACE

Sanguigno, potente, aperto e concessivo, non manca certo di forza espressiva anche se proporzioni e finezza – almeno in questa fase evolutiva- non pare costituiscano le sue carte migliori.

LISINI

La scorta di frutto c’é, così come il succo e la sincerità. Ad un incedere calibratamente dolce non corrisponde forse la tensione delle migliori edizioni.

MASTROJANNI

Sentori di ghianda, robustezza. E una solidità divenuta ormai proverbiale. Oltremodo rigoroso, si avvantaggia di un brillio sapido nel finale, a ravvivare uno sviluppo caldo, roccioso ed intransigente, pur senza sconfinare verso derive amare.

MASTROJANNI – VIGNA LORETO

Qui una ottima caratterizzazione, più “libera” di manifestarsi rispetto a precedenti edizioni. Viene confermata da una dinamica avvincente, da un bel timbro salino e da un provvidenziale contrasto gustativo. Bene!

MOCALI

Stimoli esotici e speziati rendono un po’ eterodosso il quadro dei profumi; carnoso, ricco e sanguigno al gusto, non va per il sottile ma in fondo ricorda l’alloro, e per questo ti rinfranca.

PACENTI FRANCO CANALICCHIO

Sui registri dell’evoluzione, assume un timbro classico, di un suo fascino. E se di tensione non difetta, sono i tannini a “restringere” il sorso orientandolo su cadenze più severe.

PIAN DELLE QUERCI

“Aulico” negli accenti, tenero e composto nella trama, sia pur non dotato di una tensione superiore ritrova in questa annata disegno e proporzioni, muovendosi (pericolosamente?) sul crinale di un registro un po’ evoluto.

PIAN DELLE VIGNE

L’energia e la spinta propulsiva fanno fatica ad incanalarsi in una trama che possa ritenersi scorrevole, per via delle interferenze di un rovere in qualità di generoso dispensatore di dolcezze.

PIANCORNELLO

Umori di sottobosco, menta e liquirizia accompagnano un gusto pieno, ampio e generoso, sostenuto dalla voce alcolica. Ammara largo, quello sì, pur garantendo il conforto di tipici risvolti varietali.

PIETROSO

Sentori leggermente laccati e boisé fanno lampeggiare l’idea che non è ancora il tempo. E che ce ne vorrà ancora dell’altro affinché le varie voci gustative si fondano in un insieme più armonioso. Sicuramente ben dotato, corredato da un frutto tonico e maturo, è una sensazione di generalizzata dolcezza a restare in attesa del dovuto contraltare.

PININO

Ispirato da uno stile classico, conserva un buon disegno segnato però da una “montata” tannica astringente e rugosa, ciò che tende a smorzarne ariosità e respiro.

PODERE BRIZIO

Sorprende per l’assenza di “sdolcinate dolcezze” e per la fiera essenzialità del tratto, che non significa pochezza. C’è equilibrio, brillantezza e un senso di freschezza a corroborare la beva. Solo la complessità non è a mille, ma la strada intrapresa è quella giusta.

PODERE LE RIPI

Si fronteggiano, da una parte, elementi (pro)positivi che richiamano saldezza assieme ad intriganti sentori ferrosi, dall’altra elementi meno dinamici che tendono ad addolcire la trama e a renderne più indolente lo sviluppo gustativo. Un riassaggio più attento non ha risolto la diatriba.

POGGIO ANTICO

Materia e compattezza, doti certe, non trovano la quadra ideale per tradursi in un disegno e in una articolazione efficaci. Insomma, “si muove” a centrocampo senza proporre le attese verticalizzazioni.

POGGIO ANTICO  – ALTERO

Qui la consueta timbrica austera, dalle profonde accensioni balsamiche, scorta e governa un profilo coriaceo ma di trama saporita, in grado di espandersi adeguatamente nel segno e nel nome della forza espressiva. Buono!

POGGIO DI SOTTO

Garbo, freschezza, sottigliezze. Poggio di Sotto ritrova l’incanto delle edizioni migliori grazie ad una scioltezza, a una finezza, a una armonia e a una dinamica interna a dir poco coinvolgenti, riuscendo ad unire in un sorso solo istinto e complessità. Assieme a Stella di Campalto (i cui vigneti sono peraltro quasi confinanti), il mattatore indiscusso di questo millesimo.

Analisi dell’annata e prima parte di assaggi

Brunello 2012, gli assaggi. Seconda parte

FERNANDO PARDINI

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