La “Sciampàgn” Experience del “Prof” Venturelli

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modena-champagne-exp-logoMODENA – Non era cominciata per niente bene la Champagne Experience di Modena. L’ingresso era fissato per le 14 ma alle 14.30 molta gente era ancora accalcata davanti all’unica porta d’accesso del Forum Monzani, un pericoloso imbuto che creava disordini e malcontenti, che l’organizzazione non riusciva a gestire e i bodyguard a governare. Sembrava di essere all’ingresso di una discoteca («Tu puoi entrare, tu no») o di un privé esclusivo, mentre tutti (giornalisti in attesa di accredito, avventori con il biglietto già pagato in mano ma in attesa di ritirare il ticket) erano fuori, la folla rumoreggiava, cominciando a spingere, e i bodyguard con l’auricolare ripetevano indicazioni contraddittorie («Entri solo chi ha il ticket», «Entri anche chi ha il biglietto online») che peggioravano solo la situazione. Facevano entrare gruppi di poche persone alla volta come agli Uffizi, mentre l’unica porta aperta di tutto l’ingresso era sempre più asserragliata. Mai visto niente di simile, e di potenzialmente pericoloso (dov’erano finite le norme sulla sicurezza?), in un evento dedicato al vino. Meno male che non pioveva!

Organizzata in un ambiente forse un po’ troppo angusto rispetto al pubblico previsto, la manifestazione organizzata dal Club Excellence dei Distributori e Importatori Nazionali, presieduto da Massimo Sagna e diretto da Lorenzo Righi, ha riunito per la gioia degli appassionati il gotha degli Champagne (tra le maison di rilievo mancavano a occhio giusto Krug, Salon e Selosse), disponendoli lungo due piani e cinque sezioni: Vallèe de la Marne e Montagne de Reims al piano terra, Maison classiche, Côte des Blancs e Aube al primo piano.

pro-venturelli-5Non ero lì solo per gli Champagne, benché mi sia dedicato con piacere a diversi assaggi. Ero soprattutto lì per il primo seminario di degustazione della giornata, probabilmente il più sottovalutato, dedicato al “Prof” Vincenzo Venturelli. Titolo della master class: Lo ‘Sciampàgn’ di Modena. L’incredibile storia del “Prof ” Venturelli e dei suoi Trebbiani Metodo Classico, dagli anni ’70 a oggi. Una degustazione epocale, sia per l’eccezionalità dell’evento sia per la prospettiva verticale degli assaggi, condotta con passione e competenza da Filippo Marchi e Antonio Previdi.

prof-venturelli-3Chi è Vincenzo Venturelli? Ex professore di matematica e fisica delle scuole superiori, un passione per la musica classica, i cani da caccia e le vacche da latte, Venturelli produce vini per passione con la vocazione dell’hobbista e il piglio del perfezionista. Niente etichette, niente prezzi: le bottiglie del Prof, diventate nel tempo oggetto di culto, sono destinate a pochi eletti. La fattoria è a Saliceto Panaro, poco fuori Modena, ma non sperate di identificarla con facilità, né di essere invitati a entrare: per farlo bisogna prendere appuntamento e per prendere appuntamento bisogna essere persone conosciute. img_9491Lo si vede però spesso gironzolare nelle fiere con il suo cestello pieno di bottiglie presso gli stand degli amici vignaioli. Il cestello contiene le sue rifermentazioni in bottiglia: sia i frizzanti di Lambrusco di Sorbara (che per lui è l’unico Lambrusco, il Grasparossa non lo prende nemmeno in considerazione) e di Trebbiano di Spagna, sia gli spumanti a metodo classico che lui chiama Sciampàn. Le bottiglie sono spesso chiuse con tappo a corona, sopra il quale sono riportati dei numeri o delle lettere o ambedue. Indicano la sequenza degli imbottigliamenti: il prof può vinificare solo un tino alla volta per problemi di spazio.

Ho dedicato al Prof un capitolo nel mio libro “Effervescenze”, così come hanno fatto Filippo e Antonio in “Tutti lo chiamano Lambrusco” (scritto insieme a Camillo Favaro), ma uno dei primi a parlarne pubblicamente, se non il primo in assoluto, è stato Carlo Merolli – fine conoscitore del mondo del Lambrusco e importatore di vino italiano in Danimarca – su un numero di «Ex Vinis» del 2003.

image2Sornione nell’atteggiamento quanto tranchant nell’eloquio, il prof parla spesso in dialetto modenese e ama schermirsi indossando una maschera di modestia, ma gli piace essere al centro dell’attenzione e spiazzare i propri interlocutori con sguardi in tralice dietro la montatura degli occhiali. Ha imparato a fare vino dal padre Umberto quando era ancora studente universitario, e ha avuto come maestro Enrico Montanini, al tempo enologo della cantina Chiarli. È stato amico di Gino Veronelli, di Gianni Brera e di Edoardo Valentini, così come lo è di Beppe Rinaldi, Lino Maga ed Anselme Selosse.

Il suo principio guida è la pulizia, ottenuta attraverso oculati travasi per caduta (il vino non passa da pompe né da filtri) per evitare le riduzioni, retaggio di un’enologia d’antan che qui non ha mai attecchito.

image3Il primo vino della degustazione è il Trebbiano di Spagna Frizzante 2016. È un’uva difficile, che produce poco e soffre di acinellatura, ma diversa nel carattere da tutti i trebbiano conosciuti: più colorata, più fragrante, più succosa, più persistente. Ancora utilizzata come varietà principe nella produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, è quasi scomparsa nel mondo del vino. Il colore è giallo dorato brillante, il naso, quasi aromatico, è rinfrescato da note di agrumi, da sentori balsamici, da nuance candite: quasi un Moscato Giallo! Il palato ha invitante freschezza, vivo contrasto, sale in allungo. Che grazia, che slancio, che levità!

Segue il Trebbiano Metodo Classico 2013 (sboccatura 7 ottobre 2017). Paglierino intenso e luminoso. Profumi di fresca dolcezza: agrume candito, panettone. Bocca di carbonica calibrata e ariosità balsamica. Sviluppo intenso, sottile, iridescente, succoso e salino, tonico e contrastato.

Il Trebbiano Metodo Classico 2007 (lotto TF D2, sboccatura 7 ottobre 2017) ha colore paglierino brillante e velato, un olfatto intriso di note di mandorla sbucciata, idrocarburo, nocciola tostata, un palato teso ed empireumatico, salino e persistente.

image10Il prof è stranamente silenzioso. Interpellato, diventa laconico. Preferisce far parlare i vini. È un linguaggio inequivocabile, il linguaggio della purezza e del carattere. O della trasfigurazione. Come accade in un vertiginoso salto temporale di trent’anni al Trebbiano Metodo Classico 1976. Il quadro organolettico è stupefacente. Il colore è giallo dotato intenso. Il naso un’esplosione di idrocarburi in puro stile renano: il metallo liquefatto del Riesling. Al palato la carbonica è soave, intensa, finemente effervescente, mentre lo sviluppo gustativo s’insinua tra metallo e minerali, con un allungo prepotente e continuo di petrolio e cherosene: pura Mosella. Un impressionante Riesling con la carbonica nato dalle ceneri risorte del Trebbiano di Spagna. Emozionante, indimenticabile. Come già per una vecchia annata del Fondamentale .Z di Umberto Marchiori, mi tornano in mente le parole di Alexander DeLarge nella scena del deliquio di Arancia meccanica: «Oh, deliziosa delizia e incanto! Era piacere impiacentito, e divenuto carne. Come piume di un raro metallo spumato o come vino d’argento versato in nave spaziale. Addio forza di gravità. Mentre slusciavo, quali visioni incantevoli!».

Seguono tre versioni di Sorbara.

image11Il 2015, frizzante rifermentato in bottiglia n. 3, ha tinta rosato intenso, profumi di rosa selvatica e talco, bollicina sottile sottile continua continua, sviluppo minerale, tagliente, assolutamente secco, di alto contrasto e con un irresistibile sale finale.

Più interlocutorio, e decisamente “artisan”, il Sorbara Metodo Classico 1988: naso un po’ introverso e contorto, vagamente rustico, palato morbido, quasi dolce.

L’ultimo assaggio è puro spettacolo. Un Sorbara Metodo Classico 1979 paglierino brillante: il prof dice che il colore è precipitato. Talvolta capita. Il carattere non è però solo intatto ma addirittura verticale. Il naso di nocciola tostata ha evoluzione e vivezza, il veemente palato sfoggia una carbonica continua e brillante, lo sviluppo è acido-sapido, la persistenza tutta di noisette, il finale ha un tratto salino, lungo e infiltrante. Aria di Champagne, anzi di Sciampàgn!

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

1 COMMENT

  1. Interessante articolo.
    Purtroppo non ho potuto partecipare alla degustazione.
    Ho sentito parlare del professore e vorrei avere di nuovo l’occasione di incontrarlo e assaggiare i suoi vini

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