Racconti di viaggio: Sudafrica, parte seconda

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mappa-tourDopo le prime due tappe (Kruger park, Blyde river canyon e Madikwe reserve) continuiamo con le seguenti ad eccezione di quella di Stellenbosch che sarà approfondita nei prossimi articoli con alcuni vini degustati.

3)  Kgalagadi Transfrontier Park: geograficamente è costituito da una lingua di Sudafrica che s’insinua tra la Namibia e il Botswana, nel grande deserto del Kalahari, più alcune aree delle nazioni confinanti, come testimonia il nome. Burocraticamente nasce dalla fusione di tre parchi di altrettante bandiere. Per chi, come il sottoscritto, ha già visitato il deserto del Kalahari in Namibia, ne ha già memorizzato forme e colori, forse può impiegare diversamente questi giorni di vacanza, altrimenti è una meta irrinunciabile. La sabbia arancione del deserto che traspare dalle dune ricoperte della tipica vegetazione della savana, è uno scenario unico. Le notti non sono da meno, la Via Lattea sembra palpabile e le stelle veramente infinite.

Entrati nel parco, lungo la via principale costellata di pozze ai margini, si possono ammirare tante antilopi – orici e springbook soprattutto – gli struzzi, i simpatici suricati, le procavie e qualche volatile interessante. Pure un paio di leoni a frescheggiare sotto un’acacia. All’appuntamento con il ranger, un ragazzo boscimane poco più che ventenne, ci siamo trasferiti sulla sua jeep attrezzata per fare un’ora di fuoristrada intenso, necessario per raggiungere il lodge. La cosa strana è che pensavamo di vedere chissà quanti e quali animali lontano dalla strada trafficata ed invece, abbandonati i pozzi d’acqua, gli avvistamenti sono stati rarissimi. Spettacolare e istruttiva la passeggiata tra le dune, dove ci sono state spiegate le piante (e il loro uso da parte dei boscimani) e le orme. Particolare il racconto che i boscimani considerano le dune il loro giornale, perché un occhio attento può capire tutto quello che vi è successo sopra durante la notte, gli animali che ci sono passati, quale era la preda e quale il predatore, ecc.. All’opposto ho trovato quasi noiosi i safari proprio per l’assenza di animali. Interessante la visita ad una abitazione di boscimani: il manager del lodge, unico bianco con la moglie, ci ha raccontato che quell’area, un tempo abitata dai boscimani poi mandati via, gli è stata restituita con l’intento di promuovere attività lavorative per i boscimani stessi ma negandogli la possibilità di tornarci a vivere. Dopo vari insuccessi di partnership per la creazione di un lodge, dovuti alle difficoltà di una zona così remota, sono riusciti a trovare una società sensibile all’ecologia e alla sostenibilità che vi ha investito.

Questo progetto è sfociato nel lodge in cui eravamo alloggiati – lo Xaus lodge – gestito dai boscimani e condotto dalla coppia in questione. Nelle immediate vicinanze una famiglia di boscimani che collabora con il lodge, più conservatrice e fiera delle proprie tradizioni, ha stabilito la propria “abitazione” continuando a vivere pressoché come un tempo. Durante la visita ci hanno mostrato come realizzano vari monili sfruttando quanto la natura offre: ossa di animali, penne d’istrice, uova di struzzo, arbusti e pelle di animali. Vestiti, anzi svestiti, come da usanza ci hanno raccontato come vivono ma, ad essere sinceri, il tutto ha avuto un sapore piuttosto turistico nonostante le raccomandazioni del manager che questi fossero veri boscimani e che vivessero realmente così.

In definitiva è stata una due giorni comunque piacevole, meglio però, come premesso, se non si è visitato il Kalahari namibiano. Lo Xaus Lodge poi, considerate le difficoltà della posizione, è una sistemazione più che soddisfacente nonostante alcuni aspetti possano essere migliorati (pasti senza possibilità di scelta, durata dei safari, spazio dove muoversi intorno al lodge senza bisogno della guida).

Ribadisco l’importanza del vestiario: la partenza alle 6,30 del mattino (ancora buio) con un’ora di fuoristrada da fare seduti nelle jeep attrezzate da safari, e dunque all’aperto, ad una temperatura sotto lo zero (!), è stata un’esperienza veramente agghiacciante!!!

(Per visualizzare la meglio le foto delle gallerie sottostanti è necessario aprirle)

4)        Cape Town: lasciati i parchi alle frontiere del nord, siamo tornati nella “civiltà”. Secondo il feng shui è la città ideale dove vivere poiché ricorda una poltrona. Lo schienale è la magnifica Table Mountain, i braccioli le altre montagne ai lati, la seduta la città. E poi c’è il mare, l’ultimo pezzo di oceano Atlantico prima di divenire oceano Indiano, che ha sempre un fascino particolare. Cape Town è stato il primo insediamento europeo in Sudafrica verso la fine del XVII° secolo, qualche testimonianza storica è sempre visibile – ad esempio il Castello di Buona Speranza o gli edifici vittoriani della Long street – ma la maggioranza degli edifici sono essenzialmente più recenti. Un giro a piedi, sfruttando i bus del City Sightseeing, permette di visitare le attrazioni principali della città in tempi ragionevoli. Ottima idea è abbinare uno dei tour gratuiti (mancia a propria discrezione) organizzati sempre dal servizio bus. Così facendo, in compagnia di un simpatico signore che trasudava amore per la propria città, abbiamo visitato il caratteristico quartiere malese di Bo-Kaap. Da provare assolutamente uno o più caffè delle numerose caffetterie locali che torrefanno i chicchi in proprio. Tra le cose da fare, caldamente consigliate sono: la salita con la funivia in cima alla Table Mountain, cena e passeggiata al Waterfront (porticciolo turistico/lungomare) molto elegante e sicuro anche di notte, visita di Robben Island con la prigione dove fu detenuto Nelson Mandela divenuta un museo (a numero chiuso, noi non l’abbiamo potuta visitare perché occorre prenotare almeno un paio di settimane prima), brindisi al tramonto su catamarano o barca a vela, giro delle spiagge ed insenature della penisola fino a Capo di Buona Speranza, visita alla colonia di pinguini di Boulders Beach e all’acquario di Cape Town, quest’ultime sono mete obbligatorie se si hanno figli al seguito.

Tra i tanti ristoranti segnalo il Balthazar, famoso per avere più di 150 vini al bicchiere, il Signal, ottimo ristorante dell’elegante Hotel Cape Grace, e il Baia con bella vista sul porticciolo. Si trovano tutti all’interno del Victoria & Alfred Waterfront, molto comodi per noi che dormivano al Victoria & Alfred hotel, un albergo grande dalle stanze moderne e confortevoli, ottimi servizi e la colazione a buffet più sontuosa che abbia mai visto.

Come premesso le cene a base di pesce, nonostante il livello alto dei ristoranti, possono essere una delusione se si ama il gusto “vero” del pesce/crostaceo/mollusco non “inquinato” da salse stucchevoli. Chiudo su Cape Town con gli aspetti legati alla sicurezza: di giorno abbiamo girato senza problemi con le fotocamere bene in vista (cosa segnalata da evitare), senza aver mai visto movimenti strani o atteggiamenti particolari, la sera occorre fare più attenzione: girando nel Waterfront è sicurissimo perché molto controllato, ma se fossimo andati in centro avremmo seguito il consiglio di muoversi col taxi per raggiungere il locale scelto e per qualsiasi altro spostamento, evitando di andare a giro da soli o in coppia.

5)        Stellenbosch: le cantine e i vini di altre zone vinicole saranno raccontati nella prossima parte.

6)        Hermanus: è un paesino turistico lungo la costa a sud di Cape Town, ma soprattutto è il punto più famoso per l’avvistamento delle balene e degli altri animali marini. Avevamo in programma sia l’uscita in barca per vedere da vicino questi stupendi mammiferi sia l’immersione nelle gabbie per vedere gli squali bianchi partendo dal vicino paese di Gansbaai, ma il mare mosso ci ha negato queste emozioni. Ci siamo accontentati di vedere le balene dalla costa e di fare un salto a Capo Agulhas, il punto più a sud del Sudafrica. Durante le passeggiate s’incontrano spesso dei roditori che qualcuno potrebbe confondere inizialmente con dei grossi topi ma sono solo delle simpaticissime procavie. Capo Agulhas non è un posto particolarmente bello ma sapere che sei sullo spartiacque di due oceani e che di fronte hai solo l’Antartide per me ha un fascino particolare, spesso mi sono ritrovato a pensare ai veri viaggiatori/navigatori dei secoli scorsi e a quello che significava per loro passare lì davanti.

Al rientro verso Hermanus ho rischiato il linciaggio del resto della macchina perché ho voluto fermarmi “di legge” da Strandveld, la cantina più a sud del Sudafrica, ma, come accennato, ne parlerò nella prossima puntata. Abbiamo cenato all’Harbour Rock, ristorante nel porticciolo alla partenza delle barche per le balene ma non è stato niente di particolare. Invece ho gradito gli spaghetti neri all’abalone mangiati al Pentola (non è un ristorante italiano ma internazionale) proprio in centro. Molto bene il Whale Rock lodge, b&b di livello medio-alto con suite veramente ampia e raffinata.

7)        Knysna – Plettenberg Bay: lasciando Hermanus si prosegue inizialmente verso l’interno, lungo la Garden Route, dove si possono ammirare paesaggi collinari che possono ricordare anche le nostre campagne. Dalle parti di Mossel Bay si torna lungo la costa e a Knysna ci siamo fermati a mangiare le famose ostriche locali. Il 34 Degrees South è un locale un po’ nascosto nel porticciolo turistico, non elegante ma molto funzionale e dal buon rapporto qualità-prezzo. Le ostriche sono abbastanza grandi e della giusta carnosità ma non granché saporite, sinceramente ne ho mangiate di meglio anche in questa parte di Africa, ad esempio preferisco quelle namibiane di Walvis Bay vicino Swakopmund. Nel primo pomeriggio abbiamo raggiunto lo Tsala Treetops Lodge, un luogo incantevole con camere di lusso costruite su palafitte in cima agli alberi della foresta di Tsitsikamma e con piscine a sfioro con vista sugli alberi e sulla valle sottostante. Le singole sistemazioni sono collegate da passaggi sospesi in legno e con il corpo centrale dove è situato anche un raffinato e premiato ristorante, luogo deputato anche alla colazione e dove abbiamo avuto una delle cene migliori del viaggio. Niente male anche il Zinzi, ristorante distante poche decine di metri all’interno del solito parco abbinato ad un altro lodge, ma non ai livelli dello Tsala.

La vicinanza al mare, alla rinomata Plettenberg Bay, ci ha permesso di recuperare l’uscita in barca per vedere le balene e non solo. Osservare questi stupendi cetacei da vicino, sentire i loro soffi, è particolarmente emozionante. Divertente la visita alla colonia di otarie con un bel leone marino che nuotava nei pressi della barca. Rientro in spiaggia col brivido (e con una bella botta) quando l’imponente catamarano a motore ha spinto a tutta per arrivare direttamente in secco sulla spiaggia. Nel pomeriggio siamo andati al The Crags, un insieme di “santuari” e zoo di vari animali. La voliera gigante non ci ha persuaso alla vista sebbene molto consigliata, il santuario degli elefanti lo avevamo già fatto ad Hazyview e quindi siamo entrati al santuario dei felini. Si chiamano santuari perché ospitano animali che altrimenti non potrebbero sopravvivere se lasciati liberi, come ad esempio quei cuccioli cresciuti in cattività perché gli avevano ammazzato i genitori o gli animali sottratti ai circhi per maltrattamento o chiusura. Beh, non è come fare i safari, piuttosto è come andare ad uno zoo senza gabbie ma con recinzioni elettrificate, ma è interessante per vedere alcuni felini altrimenti difficilissimi da incontrare tipo il caracal o il serval. Inoltre siamo entrati nella gabbia dei ghepardi e un “gattone” simile a due metri senza alcuna protezione non lascia proprio indifferenti…

8)        Shamwari reserve: a circa un’ora dall’aeroporto di Port Elizabeth si trova questa riserva, uno dei più riusciti esempi di successo di ripopolamento e conservazione nell’ambito di un progetto di ecoturismo. La riserva, che ha ricevuto grazie alla professionalità dei suoi ranger numerosi premi internazionali, si sviluppa su circa 25.000 ettari lungo le sponde del fiume Bushmans ed ospita una notevole concentrazione di fauna, big five compresi. Abbiamo voluto chiudere alla grande: tre giorni al Sarili Lodge – lussuosa villa con solo cinque camere – con stupenda vista sulla savana, cucina interessante e due safari al giorno con ranger privato. Inutile dire che abbiamo visto di tutto di più, l’unico neo è stato la pioggia che ha reso meno piacevoli gli ultimi safari. Due strutture all’interno della riserva meritano un approfondimento. In primis il Born Free Big Cats Sanctuary dove, tra gli altri, tre leoni provenienti da altrettanti circhi ci hanno fatto commuovere: una leonessa si muoveva come ubriaca a causa dei maltrattamenti subiti, un leone cresciuto con gambe corte perché alimentato con pasta e altre schifezze per risparmiare, un altro magnifico maschio tenuto per ben cinque anni in una gabbia poco più grande di lui perché si rifiutava di fare spettacoli. Dopo tante sofferenze ora ci sono sembrati finalmente in pace. Poi la clinica veterinaria, il Rehab Centre: qui ci hanno spiegato molto bene e con immagini molto crude il dramma del bracconaggio a danno soprattutto dei rinoceronti, una strage che se non fermata in tempo porterà all’estinzione di questi maestosi animali entro il 2030. Sempre nella clinica poi si possono vedere gli animali curati al momento e, se fortunati, poter toccare qualche cucciolo. In questo caso gli animali, una volta curati, tornano in libertà a meno che non abbiamo subito traumi così gravi da dover essere inseriti in un santuario.

Bene, il resoconto del viaggio è concluso e non rimane che approfondire la parte più alcolica del tour nelle prossime puntate.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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