Locanda Margon a Trento: questioni di purezza

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locanda-margon-esterni-1Torno alla Locanda Margon che sono passati alcuni anni. Forse tre. Oggi me ne esco da lì con un paio di certezze in più: prima di tutto, che una cucina che pone il territorio a fondamento della propria vena creativa può aspirare ad un bonus che altre cucine, parimenti ambiziose ma sostanzialmente apolidi, non potranno mai vantare: l’unicità. Poi, che mantenere a distanza di sicurezza le convenzioni, i cliché e le rimasticate consuetudini gastronomiche che pure appartengono al mondo dorato dei ristoranti “altolocati” si può!

Alla base di tutto la curiosità, la perseveranza, l’amore verso il proprio territorio e l’umiltà di comprenderne limiti e virtù. Alla base di tutto uno sguardo lucido ed appassionato, e un’idea. Alla Locanda Margon di Trento, salotto buono di proprietà della famiglia Lunelli (do you remember le Cantine Ferrari?), il percorso di affrancamento dai cliché e la ricerca (seria) delle intime potenzialità di una terra sembrano avere intercettato le traiettorie giuste: per equilibri, suggestioni, incisività e compiutezza. Sì, dietro (sopra, sotto) la Locanda Margon c’è un’idea, e lo senti.

alfio-ghezziAlfio Ghezzi, trentino purosangue a capo della cucina della Locanda dal 2010, lo ha compreso talmente bene al punto che le sue reinterpretazioni vanno incanalandosi negli alvei della singolarità, “obbligate” da un orizzonte di purezza che travalica oramai le ragioni del gesto formale e della padronanza tecnica per tramutarsi in idealità ed esigenza interiore.

Alfio Ghezzi, non a caso, oltreché valentissimo cuoco è un volatore. Ama e pratica il parapendio. Io dico che c’è un’assonanza quasi euritmica fra il suo modo di interpretare la cucina e le motivazioni che lo portano ad essere, e a sentirsi, un uomo con le ali. Nobilitare i sapori di una materia prima di per sé eccellente significa per lui sfrondare, cucinare “in levare”, sottrarre senza depauperare. La proposta va sempre più orientandosi su una bellezza concreta, che non rinunci all’estetica (spesso rappresentata dall’aulica certezza delle forme geometriche classiche) per recuperare essenzialità e sostanza. In altre parole, per sapere di ciò che si è.

I piatti, mai affollati di ingredienti, sono sintesi folgoranti che si prendono a cuore un tema e un sapore, nobilitati tuttalpiù da jus, salse o riduzioni “parlanti” ricche di quelle sottodominanti in grado di esaltare il gusto principale del protagonista. E’ l’elegia della nudità, insomma, con la tecnica (pregevole) provvidenzialmente in subordine e Gualtiero Marchesi nel cuore.

Oddio, qualche piccola digressione resiste ancora in carta (la ricciola, la triglia….), quale comprensibile tributo ad uno status ingombrante (le mitiche due stelle Michelin) e ad una clientela che immaginiamo di derivazione internazionale, di quelle magari che si aspettano il mare anche dove il mare non c’è. Ma si tratta di marginali appunti di fronte ad una proposta esaltante che già sta andando a favor di vento, lì dove si incontrano le doti fondanti tipiche di un volatore: il “senso” del volo e il rispetto profondo verso ciò che ci circonda.

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locanda-margon-esterni-2Intanto, dal menu composito ed ispirato(re) di una sera, ho imparato che vi sono appetizers e appetizers. Qui non accadrà che l’appagante soluzione estetica si esaurisca in un mero esercizio di stile per lasciarci sostanzialmente interdetti al gusto, spesso e volentieri vacuo ed inconcludente. Qui l’estetica sposa la sostanza, l’incisività, la definizione, e “chiama” territorio.

Qualche esempio: davvero intrigante quanto orgogliosamente trentina la sfoglia di sesamo, mortandela piccante e miele; tradizionale ed originale al contempo il raviolo di mela, mortadella e mele marinate al Ferrari Perlé; confortante e saporoso il porcino di polenta, morbida e accogliente la mozzarella in carrozza versione Locanda, realmente evocativo il Grissino di grano saraceno, crema di pino mugo, erbe e fiori spontanei e vero e proprio apripista il piccolo cannolo di semi di lino, formaggio di pasta, lampone, olive e crescione.

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E poi ho imparato che il salmerino dei laghi glaciali non ha niente da invidiare al pescato nobile del mare, per grazia, finezza, consistenza… sensazioni in questo caso splendidamente “dilatate” da una versione in delicato carpione accompagnata da una salsa agra delle sue uova.

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Fra i primi piatti, due classici che indicano chiaramente, fin dalla loro apparizione sulla tavola, la direzione intrapresa. Ora, di un raviolo al basilico non si meraviglia più nessuno, d’accordo, eppure la sapienza di una pasta tirata come dio comanda (ma sottile come il divin Marchesi pretendeva) e la bontà di un ripieno opportunamente bilanciato dalla patata fanno squadra a sé, aprendo al gioco della gelatina di mozzarella e al lavorìo sgrassante favorito dal brodo di melanzana (servito a parte), piccoli tocchi di contemporaneità che non lasciano spazio all’ovvio.

Mentre il tipico gnocco alla Trentina, il cosiddetto strangolapreti, trova qui una consistenza tattile diversa, ed una speciale sobrietà, dovute ad una diversa disposizione degli ingredienti e ad una diversa architettura del piatto. A guadagnarci sono il grado di dettaglio, la purezza espressiva e la leggerezza.

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Prima delle pietanze principali c’è spazio per un altro protagonista di questa terra, la trota marmorata, splendidamente accompagnata da un rapanello marinato e da una salsa di sedano rapa alla griglia; un piatto subliminale, di sola essenza, il cui equilibrio sopraffino sembra correre su di un filo.

Il coscio di coniglio porta con sé il ritrovato gesto del finissage al tavolo. Fa tanto casa! Cottura perfetta, salsa succulenta e ficcante a base dei suoi fegatelli, cipolla al forno per addolcire. Tutto torna.

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L’agnello invece, nella sua apparente claustralità visiva, sprigiona il meglio di sé grazie anche ad una camicia aromatizzata dal dressing firmato Ghezzi e chiamato Ulidea, a base di olive gardesane frammentate, e al curioso contrappunto floreale della camomilla, presente nella riduzione. Sulla (unica) patata fondente poco da dire, se non che ne avrei mangiate ventisei.

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Il tourbillon dei dessert prevede come portata principale “La mela, pensando ad uno strudel“, decomposizione garbata e niente affatto strafottente di un monumento della pasticceria, apparsa riuscitissima per qualità di accenti e brillantezza.

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Fra le coccole finali c’è di che perdersi, dalle pizzette in agrodolce alle tartellette di pasta frolla, crema chantilly al mirtillo, mirtilli freschi e argento edibile, dai Ravioli di lampone ripieni con ganache al cioccolato aromatizzata ai frutti rossi alle Pere marinate nello sciroppo di sambuco e menta fresca, dai bocconcini di Torta de Fregoloti alle Pepite di nocciole pralinate al cacao e polvere d’oro.

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Il Cremino alla gianduia, il Cioccolatino 70% cacao con paprika affumicata e sale maldon e la Pralina fondente ripiena di crema alla grappa Segnana Solera chiudono il conto in bellezza. Ti sentirai bene. E anche un po’ volatore.

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Locanda Margon – Via Margone di Ravina, 15 – Trento. Tel, 0461 349401  – Email: contact@locandamargon.it

Menù degustazione Salotto Gourmet: Sensazione Terroir € 90 – Menù Bollicine € 180 (con abbinamenti al calice). Alla carta € 100 per 3 portate, o giù di lì. Nella Veranda proposta di cucina più easy e accessibile, di apparentabile qualità.

Contributi fotografici dell’autore, eccetto le foto in esterna, tratte dal sito trentocittà.it, e la foto di Alfio Ghezzi, tratta dal sito della Locanda

 

FERNANDO PARDINI

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